venerdì 10 agosto 2012


SILLABARI :  Diritti  (I )


Charles Beitz è un filosofo politico americano professore a Princeton. Noto per  essere stato tra i primi a occuparsi di giustizia globale, Beitz ha pubblicato di recente per Oxford University Press un libro, The Idea of Human Rights, in cui esamina la dottrina dei diritti umani nella prospettiva della politica globale. Scrive nella recensione  sul libro Sebastiano Maffettone su Il Sole 24 Ore del  28 febbraio 2010 “L’ analisi è di natura fìlosofica, e il suo scopo principale sta nel mostrare in che cosa consistono la forza e il valore del linguaggio dei diritti umani. La tesi centrale è che dipendano da una pratica di successo moralmente difendibile. In questo modo, Beitz rovescia un'intera tradizione filosofica in materia. Non si tratta di argomentare a favore di una teoria della giustizia da cui far dipendere una lista ideale di diritti umani in base alla quale poi criticare l'esistente. Si tratta invece di valutare le teorie normative dei diritti umani confrontandole con la pratica attuale.
Questo metodo innovativo è capace di numerose sorprese. In base a tale scelta, infatti, Beitz riesce a criticare con successo quelle che sono oggi le due visioni filosofiche più popolari in materia di diritti umani. Mi riferisco alla teoria del diritto naturale, da San Tommaso al naturalismo contemporaneo, e a quella consensualistica, cui si possono associare nomi illustri della fìlosofia sociale e politica contemporanea come quelli di Habermas e Rawls.Con rigore argomentativo straordinario, Beitz dimostra come la "pratica" dei diritti umani non sia giustificata a sufficienza da queste teorie. C'è quindi bisogno di un punto di partenza innovativo ("a fresh start"), che egli trova in un modello a due livelli. Questo modello deve giustificare una pratica sociale sulla base della rilevanza degli stati nazionali e del valore della tutela dei diritti umani nella politica globale. Ciò vuol dire che i diritti umani richiedono tutela istituzionale da parte di soggetti del tipo degli stati e che proteggono gli interessi delle persone che sono ritenuti essenziali dal punto di vista della . comunità internazionale. Questa stessa visione teorica è applicata poi a casi complessi come quelli della povertà, della democrazia e della tutela delle donne.
Nel proporre questa teoria, Beitz fa un uso spregiudicato dell'ultimo Rawls e ne difende le tesi anti-cosmopolitiche in maniera brillante. Soprattutto, mostra come la filosofia analitica possa essere applicata a problemi concreti in maniera del tutto persuasiva. Si tratta di un libro impegnativo e originale che sicuramente farà discutere molto quanti si occupano di teoria delle relazioni internazionali.
Charles Beitz. “  The Idea of Human Rights”, Oxford University Press, pagg. 236, $ 20,50.


SILLABARI : Diritti ( II)


Carlo Carbone sul Sole 24 Ore del 14 febbraio 2010 aveva scritto  la recensione ad un volume di Michele Ainis  intitolato la cura. In questo volume si affronta l’esame dei diritti in Italia in un momento di crisi che a distanza di alcuni mesi  palesa tutta la sua importanza e richiede appunto come il libro di Beitz  un’attenta lettura.Scrive Carbone :”Nonostante i recenti tentativi di tessere un dialogo tra governo e opposizione e le reiterate sollecitazioni del Presidente della Repubblica per avviare quel riformismo istituzionale e operativo che serve al paese, la cura al capezzale dell'Italia malata tarda ad essere prescritta e, soprattutto, somministrata. Nel migliore dei casi, è rinviata a dopo la tornata elettorale di fine marzo.(2011, che non c’è stata n.d.r. ). Intanto, nell'arena politica aumenta la confusione, tra l’eco dei rischi di default degli anelli deboli dell'area euro, nel Mezzogiorno europeo (Grecia, Portogallo e Spagna) e l'amara sorpresa del recente impeachment del nostro vertice della Protezione civile. Eppure si era detto che la crisi finanziaria internazionale avrebbe dovuto rappresentare un'opportunità per indurre la politica a "cambiare registro" al fine di apportare le necessarie riparazioni ad un motore - il sistema Italia - che ha denunciato malfunzionamenti.

Del resto, il termine crisi in latino, in senso figurato, significa scegliere, decidere e tutti sappiamo quanto il nostro paese avrebbe bisogno di un ceto politico che lo facesse con serietà, responsabilità e determinazione. Servono riforme istituzionali democratiche e costituzionali in grado di rendere più competitivo il paese e di intercettare una struttura sociale sempre più sfuggente e liquida: soprattutto, cambiare alcuni meccanismi di funzionamento che contribuiscono a paralizzare l'Italia, malata di precoce invecchiamento, di un latente quanto subdolo declino economico, di relazionalità nepotistica e corporativa, di mancanza di merito e di adeguate politiche dr inclusione sociale. Il paese è perciò in una situazione certo non incoraggiante (ulteriormente depressa dalla crisi), che è ribadita da un'analisi collettanea ltaly Today. The Sick Man oJ Europe che uscirà  a Londra da Routledge, con contributi in prevalenza di studiosi stranieri. Dunque, il malato deve essere curato e, se cerchiamo terapie adeguate, conviene iniziare a consultare La cura di Michele Ainis (Chiarelettere), un volu­me che prescrive una terapia, proposta nel format di un deca­logo, tanto suggestivo quanto radicale. «Se volete nuove leggi, bruciate quelle vecchie», sug­gerisce Ainis, costituzionalista e autore di un bel saggio, La leg­ge oscura. « Una guerra silenzio­sa - egli scrive - arma l'uno con­tro l'altro gli italiani. È la guerra del diritto contro il privilegio, dell'equità contro l'ingiustizia. È anche la guerra dei più giova­ni contro il potere degli anziani. Delle donne contro le strettoie d'una società maschile. Dei sin­goli contro il concistoro delle lobby. Dei talenti contro i paren­ti. Più in generale degli spiriti li­beri, dei senza' partito,' contro l'obbedienza cieca e serva recla­mata dalla politica». C'è insom­ma una camicia di forza da  mandare in pezzi per promuovere una democrazia fondata sul me­rito, la legalità, l'uguaglianza (in­tesa come pari opportunità "ai nastri di partenza"). Per rimuo­vere “l'ingessatura'' occorre una cura adeguata, riforme" del fare" che riguardino le classi di-­rigenti e la società, i loro mecca­nismi di formazione e quelli di selezione. Bisogna anche esse­re animati da una pretesa tecno­cratica che è, forse, specchio di quei cambiamenti nel software culturale e istituzionale che l'in­certa rivoluzione borghese ita­liana non è stata in grado di in­trodurre nei centocinquanta anni di unità del paese. Istitu­zioni e classi dirigenti italiane. avrebbero riscosso maggior fi­ducia e legittimità se avessero adottato una linea culturale in. grado di mettere in valore meri­ti e competenze, piuttosto che ricorrere ai moltiplicatori della disuguaglianza, quali sono i cri­teri di fedeltà e di mera apparte­nenza di ceto.Come dar torto a questa idea tecnocratica, di buona democrazia come meritocrazia elettiva, che sembra ispirare Ainis e accomunarlo al forum di pensiero  che va da Platone a Giovanni Sartori? Perciò proviamo a girare pagina, raccogliendo la sfida riformista per disarmare il potere delle lobbies che agiscono "sottotraccia" e remano a favore dei propri interessi, come fanno del resto le oligarchie dei partiti politici e dei sindacati o ancora, gli ordini professionali e i baroni universitari: per non parlare della necessità di evitare di essere guidati da élite inette. Altrimenti assisteremo all'evaporazione della centralità dell'interesse nazionale e all' affermazione arrogante di singoli, gruppi e piccole patrie. Il decalogo di Ainis spazia da cure specifiche per i concorsi pubblici (con sorteggio dei commissari), a regole capaci di disciplinare la democrazia interna di partiti e sindacati, ad un'emersione delle lobbies con una legge dedicata, che, tra l'altro, preveda il depotenziamento del ricorso alla cooptazione, ad una nuova legge elettorale che cancelli le nomine di fattto dei parlamentari, ad un ricambio delle classi dirigenti che rispetti la regola dei due mandati al massimo' per gli incarichi di vertice. Dunque abbiamo più, che un'idea delle terapie necessarie e, volendo, disponiamo di mezzi e soluzioni per inaugurare una stagione riformista in grado di cambiare le istituzioni e il  paese. Resta appunto il problema del soggetto innovatore. Chi . si farà parte e guida di un simile cambiamento? Ma a questa domanda è chiamato a rispondere il ceto politico, di governo e d'opposizione. È nell' arena politica la "porta stretta" da attraversare per cambiare l'Italia.


Eremo Via vado di sole, L'Aquila, venerdì 10 agosto 2012

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