lunedì 10 marzo 2014

SILLABARI : Bellezza

SILLABARI  : Bellezza

Metto qui il bel pezzo scritto da Gianluca Sperasul film di Paolo Sorrentino ‘La Grande Bellezza’, pubblicato su OttoStorie l’8Marzo 2014


Su “La grande bellezza”, ormai, si sono sprecatii commenti, più o meno pertinenti, che hanno scatenato il consueto dibattitoinfuocato sulle pagine di facebook o twitter tra improvvisati criticicinematografici, equamente divisi tra estimatori e detrattori di Sorrentino,intenti a discettare, senza alcun timore di sfidare il senso del ridicolo, dicopione, trama, sceneggiatura, fotografia e recitazione. L’impressione che sen’è ricavata è piuttosto deprimente perché molti degli audaci commentatori,nella migliore delle ipotesi, si erano soffermati solo su qualche spezzonedella pellicola tralasciandone la visione integrale. L’errore di fondo è statoquello di incentrare la contrapposizione soltanto sull’opportunità diassegnare, o meno, l’Oscar al film di Paolo Sorrentino. Molti degli intrepidicinefili, essendo sprovvisti delle capacità e delle conoscenze indispensabiliper poter conferire attestati od esprimere giudizi, avrebbero fatto meglio, purgarantendo a ciascuno la possibilità di esprimere una critica più chelegittima, tenuto anche conto che certe incongruenze del racconto non sonoproprio esenti da censure, a concentrare la discussione sulla visionecomplessiva della società italiana che ci ha proposto il regista napoletano conferoce sarcasmo, insolito nelle produzioni nostrane appiattite su commediole dinessuna rilevanza.
Quello che ha descritto Sorrentino è un Paese molto vicino alla realtà,assomiglia spaventosamente a quello che viviamo e subiamo ogni maledettogiorno, alle storture che accompagnano l’affannoso incedere di una Nazione chesi sta condannando da sola all’inevitabile retrocessione. E’ l’Italia dellecongreghe autoreferenziali, del potere corrotto, dei circoli ristretti, dellavolgarità imperante, della tracotanza dilagante, dell’ignoranza elevata asistema. E’ un Paese fondamentalmente depravato che sta bruciando secoli esecoli d’Arte, sta relegando la Conoscenza a momento accessorio e non necessario, dove anchela lettura è diventato un fenomeno elitario. Se vogliamo, alcune situazionisono pure peggiori di come le ha tratteggiate il film perché Sorrentino, indefinitiva, ha indugiato su aspetti intellettualistici, che alla fine tracimanoaddirittura, non senza un’evidente forzatura, nel misticismo, evitandoun’analisi generale dei vizi e dei difetti ancestrali della società italiana edelle gravi conseguenze che ne derivano in termini di opportunità assenti edoccasioni mancate. Per tanti Jep Gambardella, o affini, che salgonoimmeritatamente alla ribalta, ci sono tanti sconosciuti che restano confinatiingiustamente nel loro avvilente anonimato.
C’è una parte del Paese che non emerge perché viene trattenuta con la testasott’acqua, in uno stato di perenne apnea da mani violente guidate da genteprepotente che non intende concedere nemmeno un millimetro ai potenzialiconcorrenti. L’Italia dei monopoli, costruita sul controllo capillare e dispoticodi tutti i settori di produzione, sull’occupazione degli Enti di gestione,sulla blindatura dei vertici delle professioni intellettuali, sull’abbassamentocomplessivo del livello di discussione, sull’azzeramento di ogni forma didissenso. In quest’epoca più che decadente, il lavoro, merce rara, vienedistribuito con parsimonia e secondo metodi tutti italiani. Il sistema devegarantire i già garantiti, perpetuare il potere di chi determina fortune esfortune altrui, assicurare rendite e ricchezze solo a quei pochi che sonoammessi e frequentano assiduamente le stanze dei bottoni. Non importa se tuttoquesto, prima ancora di ridurre il gusto estetico, ha distrutto l’economianazionale, l’idea di giustizia, progetti e prospettive delle giovanigenerazioni. Sul lungo periodo, privarsi delle menti migliori, costringeretanti ad emigrare, affidarsi ad una classe dirigente mediocre che, assuefattaal codardo servilismo in parte imposto ed in parte accettato senza fiatare, siomologa ad un’improduttiva bruttezza, risulta fortemente penalizzante, crea ungap difficilmente colmabile con il resto del mondo.
“Non si mangia con la cultura”, è stato lo slogan di questi ultimi anni in cuiè stato consentito ad una ristretta cerchia di persone di mangiare pure tanto,di appagare tutta la loro egoistica ingordigia, di sfamarsi fino a sazietà. Noncon la cultura, ma con gli appalti pubblici e le commesse di Stato. Quelli chesono stati riservati con estrema generosità a chi ha dimostrato fedeltà emilitanza, devozione e subordinazione più che preparazione e competenza,tendenza al compromesso più che un minimo anelito di progresso.
Questo tipo di mentalità ha bloccato sul nascere ogni tipo di iniziativa, hasfasciato quel poco che funzionava, ha arrestato sviluppo sociale ed evoluzionecivile. Ci ha reso ridicoli all’estero dove non arriva un’immagine deformatabensì la reale percezione del disastro. D’altronde, le rappresentazioniedulcorate, così come le cronache ruffiane, non agevolano certo la comprensionedelle problematiche né la cura dei mali endemici che impediscono la crescitadel Paese.
Quest’Italia, quella raccontata da Sorrentino, quella con cui ci troviamo acombattere nell’estremo tentativo di piegarla, senza riuscirci, ad un minimo diequità, ha delle vaghe similitudini con l’Irlanda di inizio novecento uscitadalla penna di Joyce. Le problematiche non sono del tutto coincidenti ma ilsenso della sconfitta incombente è lo stesso. Uno dei personaggi di “Gente diDublino”, all’apice dello scoramento, disilluso dall’impressione di unsoffocante senso di immobilismo, prendeva amaramente coscienza che l’unicasoluzione per sottrarsi alla disfatta era la fuga senza alcuna riserva orimpianto. “Non aveva dubbi: per aver successo nella vita, bisognavaandarsene”. Non si può fare nulla in Italia.
(dal Blog di Eliana Petrizzi  Crateri Il falò della volgarità di Gianluca Spera )

Eremo Rocca s.Stefano  lunedì 10 marzo 2014







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