martedì 12 gennaio 2016

APERTIS VERBIS : Ma queste cose nelle cene di Sant’Agnese non si dicono




Non ho più parlato di terremoto e di ricostruzione su questo blog dal 2011 . Qual è il bilancio di questi ultimi anni? Prendo a prestito questa riflessione di Giustino Parisse su Il Centro di oggi  perché mi sembra non solo equilibrato , essendo l’autore un testimone privilegiato, autorevole, autonomo e che soprattutto ha pagato in anticipo il costo della ricerca della verità che  i temi affrontati nell’articolo richiedono con forza. In due post pubblicati i giorni scorsi ho ritenuto di parlare del “pianeta maldicenza” e delle manifestazioni che si svolgono  nel mese di gennaio  perché  pur essendo da sempre  critico su questa manifestazione( è una mia opinione personale alla pari con altre opinioni ) non ho nulla contro la stessa manifestazione e gli organizzatori ma perché ( ed è questa la mia critica)  se ne vuole fare un esclusivo blasone di identità quanto mai sconveniente perché in città non si sentono parole chiare .Ovvero Sant’Agnese si fa complice  del non detto, del sussurrato ,del sotterfugio  che se volete  è  innocente maldicenza,pettegolezzo ma colpevole rifiuto di parlar chiaro  e della trasparenza nell’agire .




Ricostruire la rendita unica idea di città viaggio nel post terremoto di Giustino Parisse.Il Centro


W L’AQUILA Dalla maldicenza, al pettegolezzo, al parlar chiaro, alla trasparenza nell’agire. La tradizione aquilana di Sant’Agnese, partita secoli fa dalle chiacchiere delle “servette” contro i padroni-nobili (e che negli ultimi decenni si è nutrita di buon cibo e ottimo vino), oggi tenta di rifarsi il look. Ma in realtà di parole chiare in città se ne sentono poche. Meglio il non detto, il sussurrato, lo sguardo complice, il sotterfugio, l’occhietto, il favore reciproco da non rivelare mai e da esplicitare solo nel segreto dell’urna.
PARLARE CHIARO. Forse il “dire le cose con chiarezza” andrebbe applicato _ più che ad amenità varie in cui la chiacchiera libera diventa parlarsi addosso _ anche alle vicende legate alla ricostruzione. È lì infatti che si gioca il futuro di una città che è capace di passare senza colpo ferire dal messaggio di pace e perdono di papa Celestino V allo sberleffo spinto in nome di una presunta goliardia a cui tutti sottostanno godendo e vantandosi della “carica” assegnata. A estremizzare si potrebbe parlare di una città che si esalta sia con l’acqua santa che con il diavolo. E questo accade anche per le vicende del post-sisma. Ultimo esempio, il dibattito seguito agli articoli del Centro sull’Aquila che “si sta mettendo in vendita”. 

LE CAUSE. C’è chi si è chiesto quali siano le cause di un fenomeno che nei prossimi anni, se non si metterà un argine serio al declino economico del capoluogo, sarà sempre più evidente da diventare a un certo punto inarrestabile. Per parlar chiaro bisognerebbe dire che anche in questa congiuntura storica L’Aquila non sta tradendo il suo Dna: la cultura della rendita. Solo se si parte da questo si può spiegare perché invece di scegliere una “rifondazione” si è preferita la strada della ricostruzione copia-incolla. 


L’OCCASIONE PERSA. Si poteva rifondare dando un senso alla città universitaria puntando su un campus _ come ce ne sono tanti in Italia _ dove lo studente potesse trovare tutto senza fare ogni giorno il tour fra sedi e mense disperse sul territorio con l’aggravante di servizi che non ci sono. Si poteva puntare su una città della cultura e della musica e non riproporre una miriade di strutture (auditorium soprattutto) che avranno in futuro enormi problemi di gestione. Si poteva puntare a “un’isola” per lo sport invece di continuare a buttare soldi su impianti ormai fuori dal tempo (lo stadio di Acquasanta, a 30 metri in linea d’aria dal cimitero cittadino, è forse un unicum in Italia), o peggio su strutture rifatte ma quasi inutilizzabili o ingestibili (piazza d’Armi). Si poteva rifondare ipotizzando un luogo funzionale (parcheggi e servizi) per gli uffici pubblici, soprattutto quelli comunali, e invece il sindaco si rifugia a palazzo Fibbioni (in pieno centro) e il resto è ovunque e in nessun posto. Senza contare il fatto che si continuano ad affittare nuovi locali solo a vantaggio dei proprietari degli immobili e non certo degli utenti che avrebbero bisogno di luoghi facilmente raggiungibili evitando di dover mettere in conto la solita mezzoretta, se non di più, per trovare un posto auto fra ansie e arrabbiature. L’idea del museo alla “Rivera” è ottima ma cosa accadrà quando il Forte spagnolo tornerà funzionale? Avremo due musei a chilometri di distanza: saranno gestibili, saranno assicurati parcheggi e trasporti adeguati? La giornata del jazz è bellissima ma cosa accadrà quando il ministero non tirerà più fuori i soldi? Finirà forse come con i Cantieri dell’Immaginario? L’OCCUPAZIONE. Il lavoro rischia di essere altra occasione persa. Oggi la politica cittadina spera nei circa 300 milioni che stanno per arrivare per il rilancio produttivo. Saranno la miccia per far risvegliare con un botto il sonnolento tessuto economico cittadino o il fuocherello che servirà a riscaldare la minestra cucinata vent’anni fa? Per il turismo basterà qualche decina di milioni di euro pubblici per dare una risistemata ai conti del Centro turistico e offrire poi su un piatto d’argento la gestione ai privati? Naturalmente a tutte queste domande i reggitori della città hanno risposte pronte ed esaurienti che si concludono con il solito ritornello: lei parla senza sapere. Come dire: stia zitto. Il problema è che il cittadino dovrebbe valutare i risultati concreti e non le scartoffie prodotte da una burocrazia sempre più distante dalla realtà e su quei risultati basare il giudizio politico. E se i risultati non ci sono o sono insoddisfacenti ha il diritto di “parlare chiaro” e magari anche di gridare. Ma prendersela solo con la politica non basta e qui casca l’asino e rispunta il Dna aquilano: la rendita. 

LA RENDITA. La rendita di per sé non è il male assoluto. C’è chi magari ha lavorato una vita per poter investire nel mattone e pensa di trarci un profitto. Questo andrebbe bene se tutti avessero le stesse opportunità. Invece la ricostruzione aquilana viaggia su due binari: quella del centro storico cittadino e quella delle frazioni. Della periferia è meglio non parlare, è vero che è stata ricostruita per oltre il 90 per cento, ma alzi la mano chi può indicare un posto dove sono stati migliorati i servizi, creati spazi pubblici funzionali, ripensata in senso innovativo un’area urbana; è stato tutto un copia-incolla con aggiunte a caso e il caos _ se possibile _ è aumentato rispetto all’ante sisma. 


CITTÀ-FRAZIONI. Lo scollamento città-frazioni è evidenziato da un fatto che spesso viene dimenticato: per la ricostruzione degli edifici vincolati nel cuore del capoluogo non ci sono tetti di spesa (a parte il giusto controllo da parte degli uffici preposti) e si arriva a superare anche i 2500-3000 euro a metro quadrato. Nelle frazioni ci sono immobili che rischiano di avere appena 700 euro a metro quadrato. Qualsiasi tecnico sa che con quella cifra si ricostruisce a malapena lo scheletro di una casa (a scapito pure della sicurezza) mentre nel caso dei palazzi vincolati vengono finanziati anche i restauri delle opere d’arte: come dire si creano musei privati a spese di tutti. Ma da ciò il “parlar chiaro” si tiene ben lontano. E non si tratta solo di un problema di soldi. Con la ricostruzione (finora lo Stato fra cose serie e minutaglie varie ha già speso ben oltre 10 miliardi) poteva essere avviato un grande progetto di “ricucitura” (come dicono i filosofi dell’urbanistica) città-frazioni, valorizzando i piccoli borghi in modo da farne gioielli per impreziosire la corona dell’Immota manet, integrando tutto con l’ambiente circostante (buona l’idea, ad esempio, della pista ciclabile sull’Aterno). Invece la strategia politica (più o meno consapevole) è sempre la stessa: si va nei paesi, si organizza una riunione, si fa un po’ di propaganda, si dice che se le cose non vanno la colpa è di altri, e si fa passare il messaggio che tutto quello che i cittadini (di serie B s’intende) avranno, dovranno considerarlo un favore di cui ricordarsi andando alle urne. La solita storia che richiama un periodo semi-feudale che L’Aquila non ha mai completamente cancellato dalla sua storia. E la gente (non tutta per fortuna) continua ad abboccare. 


I SOTTOSERVIZI. Piccolo esempio: i sottoservizi. Nelle frazioni sembra che sia un “non problema”. È partita una manciata di cantieri, ma a nessuno viene la curiosità di sapere dove verranno allacciati acqua, gas, elettricità, fogne, telefono. Se qualcuno pone il quesito la risposta è una pacca sulle spalle: non ti preoccupare, ci penseremo noi (il solito favore futuro). Come noto nelle frazioni non esistono veri e propri piani di ricostruzione (a cui il Comune si è opposto strenuamente combattendo una battaglia feroce con l’ex commissario governativo Gianni Chiodi). In un paio di borghi (grazie alla volontà popolare e in un caso a sollecitazioni teutoniche) quel piano esiste. Bene ora sta diventando un problema perché si scopre che non si può fare proprio tutto a caso, ma ci sono delle regole da rispettare. E questo crea un intoppo. Anche qui il solito dire e non dire: ve lo avevamo preannunciato che il piano di ricostruzione non serviva, lo avete voluto, ora pagatene le conseguenze. 

SOSTITUZIONE EDILIZIA. C’è chi di fronte a tanta confusione ha scelto la strada più breve: la sostituzione edilizia (circa seicento pratiche finora). Che significa: soldi maledetti e subito e acquisto dove meglio mi aggrada e andatevene tutti a quel paese (non vanno dimenticate le 50 pratiche che hanno consentito ai proprietari di comprarsi casa nuova ed estinguere il mutuo che avevano acceso per la vecchia abitazione. Tutto secondo legge). Questo sta impoverendo i centri storici senza che ci sia uno straccio di idea su come riutilizzare le aree che sono diventate o diventeranno pubbliche. Ma sì, per ora basta la solita pacca sulle spalle. L’importante è arrivare immuni da critiche alle elezioni 2017, il resto si vedrà. Ammesso che qualche reggitore legga queste righe, penserà: ecco il solito sfigato a 309 gradi (non è un refuso) con il cervello malato che sfoga la sua rabbia contro chi lavora 24 ore al giorno per far rinascere la città. Che ingratitudine! Forse ha ragione, ma il gioco del “parlar chiaro” ha un prezzo ed è noto che le verità le dicono solo i pazzi, gli altri, della verità, si vergognano. Se questo è il quadro in cui i puzzle sono stati messi a caso, come meravigliarsi se il Dna della rendita ha preso il sopravvento su un disegno organico capace di guardare al futuro della città e alle sue nuove generazioni? 


CONGRESSO DI VIENNA.Dunque alla rifondazione si preferisce la ricostruzione pura e semplice (a parte il caso di Porta Barete che nasce da una idea di monsignor Orlando Antonini e non certo dagli strateghi di palazzo che anzi hanno fatto solo un bel casino a scapito dei cittadini in loco). I maggiorenti della città sono riuniti in un perenne Congresso di Vienna con l’obiettivo di ridare a Cesare quel che era di Cesare (ex nobili, ricchi proprietari, amici degli amici, compagni di forchetta, sodali a vario titolo, massoni alla porchetta secondo una geniale definizione del professor Raffaele Colapietra, lui sì che non ha problemi a parlar chiaro e meriterebbe la laurea honoris causa in santagnesismo). Gli altri (il popolo bue) zitti e muti. A parte il fuoco delle “carriole” durato, nel 2010, lo spazio di qualche mese (da marzo a novembre), la protesta o non esiste o viene messa a tacere con insulti e minacce che ipotizzano dossieraggi segreti: attento a come parli perché io so chi sei e conosco i tuoi scheletri nell’armadio. Tanto qualche piccolo abuso, volenti o nolenti, l’hanno fatto tutti. Chi pensa al domani prossimo, a fronte di questo panorama fosco, si fa due conti: avevo una casa e un pagliaio, mi faccio rifare la casa per tornarci a vivere e nel pagliaio cadente realizzo un bell’appartamentino da affittare e così in futuro almeno un paio di volte al giorno mangerò anche se non ho un lavoro (perché non si trova) e non so dove sbattere la testa. Quindi gli Affittasi e Vendesi si moltiplicano. E fra due o tre anni (quando la legge non imporrà più vincoli temporali) ne vedremo a migliaia di cartelli. Anche sulle pareti di quelli che tempo fa erano porcili. Poco male se a questa mancanza di creatività facesse da contraltare un’idea diversa dal “semplice” puntare a vivere di rendita. 

TUTTO GRATIS. Idea, vivere di rendita, a cui si aggiunge la “maledizione” causata da come è stato gestito a livello psicologico il post-sisma: tutto a tutti, e gratis. E ora ci si lamenta perché professionisti con il portafoglio pieno non pagano le bollette del piano Case: “E perché dovrei pagare? Sono più fesso degli altri?”. Ma queste cose nelle cene di Sant’Agnese non si dicono. La ricostruzione (soprattutto delle case A e B della periferia) ha creato nuove categorie sociali, un po’ come le cariche agnesine: il fesso (che si è accontentato del giusto), il furbo (che ci ha provato a farsi rifare anche quello che non era danneggiato e in parte ci è riuscito) e il dritto (che grazie alla legge ha lucrato alla grande sul terremoto e vivrà felice e contento lui e tutti i suoi eredi). Poi ci sono i ladri, i criminali, i malviventi, i mafiosi. Per loro una sola speranza: che li acciuffi la magistratura e qualcuno per fortuna è stato acciuffato. (1/continua)

Eremo Rocca Santo Stefano  martedì 12 gennaio 2016

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