domenica 10 gennaio 2016

VERSI D’ALTRI E ALTRI VERSI : Nazik al-Mala'ika,






Perchè abbiamo paura delle parole
quando sono state mani dal palmo rosa,
delicate quando ci accarezzano gentilmente le gote,
e calici di vino rincuorante
sorseggiato, un'estate, da labbra assetate?
Perchè abbiamo paura delle parole
quando tra di loro vi sono parole simili a campane invisibili,
la cui eco preannuncia nelle nostre vite agitate
la venuta di un'epoca di alba incantata,
intrisa d'amore e di vita?
Ci siamo assuefatti al silenzio.
Ci siamo paralizzati, temendo che il segreto possa dividere le nostre labbra.
Abbiamo pensato che nelle parole giaceva un folletto invisibile,
rannicchiato, nascosto dalle lettere dalle orecchie del tempo.
Abbiamo incatenato le lettere assetate,
vietando loro di diffondere la notte per noi
come un cuscino, gocciolante di musica, sogni,
e caldi calici.
Perchè abbiamo paura delle parole?
Tra di loro ne esistono di incredibile dolcezza
le cui lettere hanno estratto il tepore della speranza da due labbra,
e altre che, esultando di gioia
si sono fatte strada tra la felicità momentanea di due occhi
inebriati.
Parole, poesia, teneramente
hanno accarezzato le nostre gote, suoni
che, assopiti nella loro eco, colorano una frusciante,
segreta passione, un desiderio segreto.
Perchè abbiamo paura delle parole?
Se una volta le loro spine ci hanno ferito,
hanno anche avvolto le loro braccia attorno al nostro collo
e diffuso il loro dolce profumo sui nostri desideri.
Se le loro lettere ci hanno trafitto
e il loro viso si è voltato stizzito
ci hanno anche lasciato un liuto in mano
e domani ci inonderanno di vita.
Su, versaci due calici di parole.
Domani ci costruiremo un nido di sogno di parole,
in alto, con l'edera che discende dalle sue lettere.
Nutriremo i suoi germogli con la poesia
e innaffieremo i suoi fiori con le parole.
Costruiremo un terrazzo per la timida rosa
con colonne fatte di parole,
e una stanza fresca inondata di ombra,
protetta da parole.
Abbiamo dedicato la nostra vita come una preghiera
chi pregheremo... se non le parole?

LA FINE DELLA SCALA

Sono passati dei giorni senza incontrarci.
Tu sei là, dietro il traguardo dei sogni,
in un orizzonte circondato di ignoto.
E io cammino, e vedo, e dormo,
consumando i miei giorni e trascinando il mio dolce domani,
che fugge verso il passato perduto.
I sospiri consumeranno i miei giorni finché tu torni?

(da “Antologia della letteratura araba”)

Io
La notte mi chiede chi sono                                               
sono il segreto della profonda nera insonnia                   
sono il suo silenzio ribelle                                                
ho mascherato l’anima di questo silenzio                            
ho avvolto il cuore di dubbi                                            
immota qui                                                                      
porgo l’orecchio                                                                  
e i secoli mi chiedono
chi sono

E il vento chiede chi sono
sono la sua anima inquieta rinnegata dal tempo
come lui sono in nessun luogo
continuiamo a camminare e non c’è fine
continuiamo a passare e non c’è posa
giunti al baratro 
lo crediamo il termine della pena 
e quello è invece l’infinito

Il destino chiede chi sono
potente come lui piego le epoche
e ridòno loro la vita 
creo il passato più remoto
dall’incanto di una vibrante speranza 
e lo sotterro ancora
per forgiarmi un nuovo ieri
di un un domani gelido

Il sé chiede chi sono
come lui vago, gli occhi fissi nel buio
nulla che mi doni la pace
resto ancora e chiedo, e la risposta
resta nascosta dietro il miraggio
ancora lo credo vicino
al mio raggiungerlo tra
monta
dissolto, dispare

INVITO ALLA VITA

Arrabbiati, ti amo arrabbiato e ribelle,
rivoluzione cocente, esplosione.
Ho odiato il fuoco che dorme in te, sii di brace
diventa una vena appassionata, che grida e s'infuria.

Arrabbiati, il tuo spirito non vuole morire
non essere silenzio innanzi al quale scateno la mia tempesta.
La cenere degli altri mi è sufficiente, tu, invece, sii di brace.
Diventa fuoco ispiratore delle mie poesie.
Arrabbiati, abbandona la dolcezza, non amo ciò che è dolce
il fuoco è il mio patto, non l'inerzia o la tregua con il tempo
non riesco più ad accettare la serietà e i suoi toni gravi e tranquilli.
Ribellati al silenzio umiliante
non amo la dolcezza
ti amo pulsante e vivo come un bambino
come una tempesta, come il destino
assetato di gloria suprema, nessun profumo
può alterare le tue visioni, nessuna rosa...
La pazienza? È la virtù dei morti.
Nel gelo dei cimiteri, sotto l'egida dei versi
si sono addormentati e abbiamo dato calore alla vita
un calore esaltato, passione degli occhi e delle gote.
Non ti amo oratore, ma poeta
il cui inno esprime ansia
tu canti, sebbene alterato, anche se la tua gola sanguina
e se la tua vena brucia.
Ti amo boato dell'uragano nel vasto orizzonte
bocca tentata dalla fiamma, disprezzando la grandine
dove giacciono desiderio e nostalgia.
Odio le persone immobili
aggrotta le sopracciglia, mi annoi quando ridi
le colline sono fredde o calde,
la primavera non è eterna
il genio, mio caro amico, è cupo
e i ridenti sono escrescenze della vita
amo in te la sete eruttiva del vulcano
l'aspirazione della notte profonda a incontrare il giorno
il desiderio della sorgente generosa di stringere le otri
ti voglio fiume di fuoco, la cui onda non conosce fondo.
Arrabbiati contro la morte maledetta
non sopporto più i morti.

(da Non ho peccato abbastanza, antologia di poetesse arabe contemporanee, a cura di Valentina Colombo, Oscar Mondadori 2007)

IL CONVITATO ASSENTE

Già trascorsa la sera
volge la luna al tramonto
ed eccoci a contare
le ore di un’altra notte,
guardando la luna
scivolare nell’abisso
e con lei l’allegria
senza che tu sia venuto
perso con le mie speranze,
fissando la tua sedia vuota
in compagnia della tristezza
dopo aver chiesto invocato
in silenzio la tua venuta.

Mai avrei immaginato
dopo tutti questi anni
la tua ombra ancora
in grado di sovrastare
ogni pensiero ogni parola,
ogni passo ogni sguardo,
né potevo sapere che tu
saresti stato più forte
di ogni altra presenza
e che l’unico assente
fra tutti i convitati
eclissasse ogni altro
in un mare di nostalgia.

Certo se tu fossi venuto
ci saremmo intrattenuti
a conversare con gli amici
finché fossero partiti
e allora anche tu forse
saresti parso come gli altri,
ma la sera è già passata
e il mio sguardo gridando
interrogava ogni sedia vuota
cercando fra gli astanti
sino alla fine della sera
l’unico che non è venuto.

Che tu arrivi un giorno
ormai non lo desidero:
dai miei ricordi all’istante
svanirebbero il profumo
e i colori di quest’assenza,
rotta l’ala alla fantasia
languirebbero le mie canzoni.

Stringendo le dita
intorno ai frantumi
dell’ingenua mia speranza
ho scoperto di amarti
nelle sembianze del sogno,
e se anche tu fossi qui
adesso in carne ed ossa
io seguiterei a sognare
quell’invitato assente.

Nazik al-Mala'ika, (in arabo: نازك الملائكة‎) (Baghdad, 23 agosto 1922Il Cairo, 20 giugno 2007), fu una poetessa irachena.È considerata una delle prime poetesse che introdussero l'uso del verso libero nella rigida struttura poetica araba.
Per  rendere la poesia-scrive Lisa Davide in  http://www.terza-pagina.it/blog/?p=7990 -  un mondo più accessibile anche alle donne che meno avevo usufruito dell’istruzione degl’insegnanti, la poetessa irachena operò una grande rivoluzione nella poesia araba, quella dell’introduzione del verso libero. Nello scegliere il verso libero piuttosto che quello sciolto, Nazik Al-Mala’ika intese conservare alcune strutture della rigida metrica araba, innovare un tradizione, facendo comprendere che così avrebbero dovuto fare anche le sue conterranee: per migliorare la propria vita, bisogna comprendere e ripartire dalla propria storia. La stessa vita di Al-Mala’ika può essere considerata un esempio di tutto ciò; basti pensare che entrambi i genitori aspiravano ad essere poeti, ma mentre il padre poté essere tale, la madre non riuscì a realizzare il suo sogno. E Al-Mala’ika ha desiderato così partire dalle vicende della madre cercando, attraverso se stessa, di poter essere una donna libera di esprimersi e di scegliere. La poesia che esprimerà meglio il suo dissenso verso la passività politica nei confronti di un miglioramento della condizione femminile sarà sicuramente “Orazione funebre per una donna insignificante” , nella quale la poetessa dirà addirittura che “La notizia si è dissolta nei vicoli | senza che il suo eco si diffondesse | e si è rifugiata nell’oblio di alcune fosse | la luna ha pianto questa tragedia”. Si tratta della stessa posizione ideologica confermata anche in un saggio del 1954 intitolato “Donne fra due estremi: passività e scelta etica”, uno dei vari saggi pubblicati dalla scrittrice su questo tema. Tuttavia l’opera che ha suscitato più scalpore fu “Schegge e cenere”(1949), opera poetica contenente una singolare prefazione nella quale si trovava una spiegazione del metro introdotto dall’Al-Mala’ika, per la nuova poesia araba. Nonostante i dissensi e gli scontri accademici che seguirono questa eccezionale pubblicazione, la poetessa riuscì a far valere la sua dignità di donna e poetessa, dando grande seguito al verso libero e dimostrando ancora una volta che la libertà di essere se stesse non è una vuota utopia ma un segno di grande maturità intellettuale, politica, sociale.

Eremo Rocca Santo Stefano domenica 10 gennaio 2016

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