sabato 9 gennaio 2016

APERTIS VERBIS : Sant'Agnese processo alla maledicenza




 

Per l’anno 2016 gli ideatori ed i promotori   de “Il pianeta maldicenza,undicesima edizione del festival della critica  sincera e costruttiva nella tradizione aquilana  della Sant’Agnese 2016”,hanno deciso di aprire le manifestazioni con un processo.)Il programma per l’anno 2016 si articola temporalmente  nello spazio di due week end ( in attesa del 21 gennaio) e precisamente dal  venerdì 8 a domenica 10 e da venerdì 15 a domenica 17.Angelo De Nicola ,presidente  dell’Associazione culturale  “confraternita aquilana dei devoti di 
Sant’Agnese “,in prima assoluta  nel telegiornale regionale rai tre  delle ore 14,00 di venerdì 8 gennaio  ha dato la motivazione di questa apertura così responsabilizzante ,per modo di dire ,ovvero quella di un processo al “pianeta maledicenza “ che in questi anni è stato messo in piedi a L’Aquila. Partendo proprio dal cuore del problema ,ossia alle numerose documentate critiche  a questa iniziativa  che viene ritenuta ,da chi la critica ,fuorviante, mortificante  e spesso lesiva di quella che è l’identità aquilana. De Nicola ci ha provato così, con un blitz,a recuperare una motivazione  ( quella di prendersi sul serio sia nelle forme che nei contenuti  della manifestazione ) che fa acqua da molte parti e si traduce attraverso una presunta  colpevolezza ( quindi nella finta recita di un mea culpa in alcuni momenti ) in una ulteriore subdola esaltazione  di una  a dir poco inesattezza storica. Con forzature tra le quali quella più significativa per non dire ingombrante : l’aver voluto attribuire a questo aspetto di una tradizione popolare libera e autentica  ,”il dir male  che non è però quello carnevalesco “( in cui il mondo si inverte ), un valore “ positivo “ atteso e documentato che quando si parla di “male “ va messo in evidenza  con forza la negatività  proprio stando nella prospettiva  della “ordinaria banalità del male “ .Non è certo qui il caso  ( ma si può fare rinviando il tutto ad un altro post su questo blog) di affrontare né riferire  la riflessione   e il dibattito, da sempre presente nella storia dell’umanità, sull’opposizione male-bene o sulla reciproca integrazione del male e del bene  come facce della stessa medaglia  perché non è questa la dimensione  delle manifestazioni  sulla maldicenza  tanto basso  ne è in realtà il contenuto culturale ( anche se nel sito http://www.maldicenza.it/santagnese/santagnese_manifesto.htm ,il manifesto dei devoti agnesini scomoda Socrate, Diogene, Giovanni Battista, Giovanni Crisostomo, Dante, Cervantes, Shakespeare, Voltaire, Zola, Foscolo, Montanelli e mille altri,per  affermare che “l’agnesino non dice male ma "dice il male" e non  chiaramente  ,perché le parole hanno un peso e un senso , denuncia, si oppone, rimedia al male .
Dunque il processo  nella sua finzione  scenica ma anche nella sua imitazione della realtà dove imitazione sta  per manipolazione della realtà ha visto protagonisti  e attori interessati  in vario modo ad un dibattimento innanzi alla Corte ( così pomposamente chiamata ,in realtà un tribunale  termine che evoca di più il senso della giustizia  ma bastava anche un iudice monocratico ) composta da Nicola Trifuoggi  Presidente  Fraanca Fanti ,Giudice, Enza Turco giudice,  Angela Giliberti  cancelliere  .Un dibattimento tenuto dalla pubblica accusa  sostenuta dall’avvocato Antonello Carbonara ,dalla parte civile prof. Vincenzo Battista  e dal collegio di difesa composto dagli avvocati Umberto Pilolli e Giulio Cesare   Primerano  con il teste a difesa  Tommaso Ceddia Presidente onorario  dell’Associazione culturale  Confraternita aquilana  dei Devoti di Sant’Agnese.
Naturalmente un processo che ha visto alcuni strappi al codice di rito  per le incursioni piratesche  di Angelo De Nicola  (un Giano bifronte ,un Dr. Jekyll e Mr. Hyde  che è capace di mettere assieme l’inconcludente retorica del pianeta maldicenza  con l’appassionata profusione  di energie  e risultati  per  il progetto  Mission Mani-La delle Celestine di San Basilio, in occasione delle iniziative  fiore all’occhiello dell’ultima Perdonanza 2015 ) accolte a suon di applausi  ( e non di ceffoni come in alcuni casi ci si sarebbe potuto aspettare ) da parte di un pubblico di astanti  chiaramente di parte. Né si sono viste fuori dall’aula ,come sempre più spesso nel pianeta giustizia accade nella realtà,  manifestazioni di sostegno alle tesi dell’accusa. Con una stampa  se non assente ma molto compiacente ( stando ai resoconti del day after).
Ma veniamo all’accusa .Si porta sul banco degli imputati  un contesto, una organizzazione   auto definitosi  ( con una punta di megalomania )  “ pianeta maldicenza “ ,reo di essersi appropriato  per il  Capo A ) dello stemma della municipalità aquilana,trasformando un’aquila reale in un inconsapevole  passeraccio ( ne esistono 16 sottospecie ) seppure rapace  senza  aver mai chiesto autorizzazione appunto agli organi competenti della municipalità, insomma una quisquiglia nei confronti del  Capo B )  che contesta di  aver perseguito , si fa per dire , un’indebita appropriazione .Stando anche al sito della manifestazione  dove  con “ ripetute ammissioni “ in più documenti  si mostra come si sia perseguito un indebito  profitto  inteso come lustro .riconoscimento di status, affermazione dello statu quo  per gli organizzatori per l’intero “pianeta maldicenza ,trasformando  una salutare tradizione popolare  in un nocivo  “processo culturale “ in cui nello scontro tra bassa ed alta cultura  quest’ultima è risultata vincente per le sue capacità di manipolazione. Con una operazione ,per così dire , di appropriazione ad “ usum delfini “ ossia riscrivendo  ( con la penna dello storico di parte ) una evidenza documentale  della storia delle famiglie aquilane  che si avvaleva della “ fonte orale “ come mezzo di trasmissione , e la trasformazione in un pomposo apparato  storico critico  capace di svuotare  il senso e il valore  iniziale di tutta questa storia per  consegnarla al tempo presente  e tramandare al futuro una inesattezza storica .Quello che è peggio una mistificazione  “in corso d’opera “ che alcuni  storici  hanno stigmatizzato e dimostrato .   
Scrive  Walter Cavalieri in un intervento su http://news-town.it/ del 16 gennaio 2014 “Si trattava di una simpatica e picaresca tradizione popolare, unica in Italia, legata al convento di Sant'Agnese (a ridosso delle mura urbiche del Quarto di Santa Maria Paganica), le cui ospiti derelitte, prestando servizio presso le famiglie nobili e borghesi, ne carpivano con facilità ogni sorta di segreto e di confidenza privata.

Quelle morbose indiscrezioni entravano in convento e ne riuscivano sotto forma di dettagliati pettegolezzi accreditati dalla citazione: "E' uscita da S. Agnese!" Pare che in occasione di fidanzamenti o matrimoni le rispettive famiglie, all'insaputa l'una dell'altra, s'informassero reciprocamente su di loro presso il convento (divenuto una formidabile agenzia di informazioni...) per sapere se risultasse qualche "magagna" tenuta nascosta. E sicuramente tra gli "utenti" c'erano anche molti padri, fidanzati o futuri sposi…
Col tempo le estemporanee comitive agnesine iniziarono a strutturarsi in vere e proprie confraternite, a cominciare dalla "Sancta Agnes garrulorum praesidium", nata il 21 gennaio 1955, con sede fissa presso la Trattoria San Biagio. Tutto ciò durò fino agli inizi del nuovo millennio, quando alcuni di questi stessi confratelli immaginarono di trasformare questo tipico momento goliardico e di divertimento malizioso in un fenomeno di "alta cultura" del quale la nostra città avrebbe dovuto farsi vanto.

La discutibile revisione, resa possibile dal vuoto culturale che la Città viveva in quel momento, nasceva da una leggenda risalente ai primi del 1300, quando alcuni nobili e borghesi aquilani, desiderando parlare senza peli sulla lingua di politica e di potenti, avrebbe iniziato a riunirsi vicino Porta Rivera, a fianco della appena costruita fontana delle 99 Cannelle. I governanti non avrebbero tardato ad individuare il piccolo gruppo di maldicenti sediziosi e a esiliarli dalla città, minacciando la pena di morte qualora vi fossero rientrati.

Poco dopo, però, i familiari dei proscritti, appoggiati da gran parte della popolazione, avrebbero chiesto e ottenuto il perdono, ma a condizione che ciascuno giurasse di non fare più maldicenza dentro le mura della città. Essendo stati espulsi il 21 gennaio, gli esiliati sarebbero stati riaccolti in città come "quelli di Sant'Agnese" e sarebbero tornati a dedicarsi alla maldicenza, ma (per non contravvenire al giuramento) lo avrebbero fatto in una mescita di vino collocata fuori le mura della città.
Nasceva così il racconto postumo che lega Sant'Agnese alla celebrazione della libertà di parola, dello spirito di comunità, della ribellione contro il potere costituito. Come se il pettegolezzo potesse identificarsi, grazie a un sottile sortilegio ermeneutico, con il "dire il male" e non più col "dir male". Per nobilitare "lavannare" e "mamme deji cazzi dej'atri", si scomodava nientepopodimeno che la "parresia" socratica, consistente nel parlare con coraggio e franchezza nell'ambito di un'etica della verità...
Mediante iniziative pseudo-culturali amplificate dalla presenza di ospiti illustri come Francesco Cossiga, Giulio Andreotti o il vescovo di Chieti Bruno Forte, L'Aquila agnesina giungeva a rivendicare con orgoglio il titolo di "Capitale della maldicenza", inventando un brand da esportare a fini turistici o addirittura da inserire, accanto alle vere eccellenze, nella velleitaria candidatura a capitale europea della cultura 2019
La politica e le istituzioni, anzichè stimolare la coesione e la dignità della comunità, hanno dunque sperperato per anni denaro pubblico assecondando e alimentando questa grande mistificazione borghese che rischia di mettere fine all'autentica natura popolare dell'evento.

La mentalità agnesina restata confinata per decenni a quel solo giorno di trasgressione collettiva simil-carnascialesca, è stata elevata a sistema e indicata quale modello virtuoso, esasperando al contrario la peggiore aquilanità: quella della critica improduttiva, della vis disfattista, del confronto politico fondato sul sotterfugio e la calunnia.
Per “aver spacciato  una tradizione popolare  per un momento culturale di alto livello, un motivo di vanto per la nostra città. Addirittura, si parla di Sant'Agnese come una tradizione che stimolerebbe la libertà di parola, lo spirito di comunità, la ribellione contro il potere costituito. Per aver reiterato l’iniziativa  rendendola un 'marchio' da esportare  senza rendersi conto  del danno che ha arrecato  alla  città. E soprattutto per aver proposto di diffondere nelle scuole aquilane lo spirito della maldicenza dando un  colpo di grazia a una generazione che già fatica a trovare valori positivi.
Lo storico  Raffaele Colapietra in un intervento su Il Centro del 12 gennaio 2014   racconta i fatti  e  afferma che  “ nel  1845 il vescovo Gerolamo Manieri, patrizio aquilano, vergò un lascito testamentario in virtù del quale s'istituisse un conservatorio per raccogliere ed educare le trovatelle dell'ex monastero delle Celestine di Sant'Agnese soppresso e vuoto da una quarantina d'anni e che era uno dei quattro presenti in città, accanto al confinante San Basilio, a Santa Maria Maddalena sostituito dal liceo scientifico in epoca fascista e oggi abbandonato a sé stesso ed a Santa Maria dei Raccomandati, già municipio, oggi destinato ad alte e misteriose fortune. Come la maggior parte delle buone cose all'Aquila non se ne fece nulla per molto tempo, fin quando cioè il nuovo vescovo Luigi Filippi, futuro primo arcivescovo, non fece venire le suore Stimmatine di recente istituzione, con la loro stessa fondatrice e superiora, la venerabile Anna Lapini, nel 1855, e l'istituto iniziò la sua vita meschina, indirizzata soprattutto a collocare quelle infelici come donne di servizio e, secondo il costume, a disposizione incondizionata del padrone e degli eventuali padroncini.
Le cose andarono avanti così fino al 1874 allorché l'ospedale, che nel 1820 era stato allocato a Collemaggio dalla sua antica sede presso San Bernardino, si trasferì a Sant'Agnese dove è rimasto fino ai giorni nostri, adibendo la chiesa a cappella ed estendendosi in epoca fascista all'attigua chiesa di Santa Maria del Guasto la cui facciata fu rimontata fuori porta Napoli. Le Stimmatine si trasferirono pertanto anch'esse a capo della costa della Rivera, dove i Cistercensi di San Bernardo (da cui il nome ancor oggi) avevano ricostruito chiesa e convento di Santa Maria del Rifugio distrutti dal terremoto del 1703 più o meno là dove è stato a lungo il mattatoio e dove fino al 1874 erano stati provvisoriamente gli Agostiniani, che rientravano ora in possesso della loro bella chiesa oggi deplorevolmente adibita ad uso profano. A San Bernardo le Stimmatine fondarono collegio, orfanotrofio, pensionato e quant'altro, fiorentissimi fino ai giorni nostri, né più si curarono della loro originaria missione caritativa.”  
Affermazione storica che lo porta a concludere  “ di conseguenza, mettendo da parte i secoli, la libertà e le altre infinite goffaggini pseudostoriche che si sono volute ammannire ai gonzi, l'etichetta di Sant'Agnese si riferì per non più di una ventina d'anni non alla santa, né alla data del 21 gennaio, bensì al luogo (che sarebbe potuto essere benissimo un altro) in cui erano in pratica recluse queste sventurate alle quali si affibbiava pretestuosamente e beffardamente la debolezza di parlar male dei padroni, cioè di rivelarne le magagne, più o meno come un quotidiano local-romano è stato chiamato per decenni il giornale delle serve per la larga parte che vi aveva la cronaca locale in dialetto romanesco e per la pessima carta in cui era stampato nell'Ottocento. Quando vediamo, il giovedì pomeriggio o in altra data, le badanti extracomunitarie raccogliersi in capannelli per confidarsi le proprie miserie possiamo farci un'idea di che cosa fosse in realtà Sant'Agnese: e dovremmo averne rispetto e pietà.
Quale lo scopo della gazzarra che, come tutte le menzogne, non è mai innocente, ma è figlia del diavolo, come insegna il vangelo di san Giovanni 8,45? Non lo sappiamo né c'interessa saperlo, dovremmo disprezzarla, ci limitiamo a compatirla: e compatiamo anche la fiera delle vanità che è stata messa in piazza pochi giorni dopo quella della Befana. Il maggiore degli espositori (Cossiga) avrebbe potuto snocciolare un'intera enciclopedia della maldicenza intorno ad un unico argomento: il cadavere di Aldo Moro».
Una iniziativa dunque quella degli ideatori e organizzatori del “pianeta maldicenza” capace di pietrificare come una medusa ( insieme a Steno ed Euriale, è una delle tre Gorgoni, figlie delle divinità marine Forco e Ceto ) chiunque avesse incrociato il loro sguardo  (in attesa di un novello Perseo che forse è in grado di decapitarla ) per un elogio  alla stupidità degli aquilani. Ma quanti sono gli aquilani che si vogliono far prendere per il naso? Quanti  consapevoli o inconsapevoli  affidano a questa iniziativa  il senso di rivalsa  della città nei confronti di un destino  “cinico e spietato” ignorando  la realtà  che  “faber est suae quisque fortunae”( letteralmente "Ciascuno è artefice della propria sorte") Voler dunque ridurre con le manifestazioni della Sant’Agnese  tutto alla maldicenza , seppure  intesa come  “critica sincera  e costruttiva nella tradizione aquilana “ è opera stolta perché  riduce ad identità aquilana un insignificante dieci per cento  di un fenomeno  sul quale si mette l’accento in modo positivo senza sapere che è la parte più negativa dell’intero racconto storico di un contesto aquilano  di altri tempi.
La sentenza . La sentenza  ha condannato qualsiasi forma di calunnia, diffamazione, pettegolezzo, volgarità ma ha mandato libero  il reo  che ha potuto beneficiare  della prescrizione ( i fatti imputati risalgono  almeno al 1300.E qui  avremmo potuto finire ma non possiamo  non dire che del resto ( come si dice sempre in questi casi  nel rispetto di un principio giuridico questo sì cosa seria )  le sentenze si rispettano e non si commentano  cosa che Angelo De Nicola sa bene  come navigato  cronista di giudiziaria. Cosa sulla quale comunque contava  nel proporre questo processo  che sarebbe potuto finire come è finito ufficiosamente    anche con un’altra  specificità all’italiana  ,quello della prescrizione   essendo stato commesso il reato  molti anni fa con una  capacità spettacolare di “ coazione a ripetere “ ma anche di capacità manipolativa  non essendo stati capaci gli aquilani  di usare la flagranza di reato per un arresto di massa  che avrebbe istituito un campo di concentramento di presunti innocenti fino a pronuncia  definitiva passata in giudicato.Avvertenza finale  Non se ne vogliano gli ideatori e organizzatori  protagonisti del festival Sant’Agnese  2016 se anche noi per una volta  abbiamo voluto giocare  ( e ci dichiariamo rei confessi di aver portato l’acqua  al mulino di una iniziativa  che semplicemente non condividiamo per non dire non apprezziamo ) con una nostra personale “ confraternita” al gioco della maldicenza  che anzi in questa ottica potrebbero anche esserci grati  per i servizi resi tanto  a lavare la testa ali asini si perde l’acqua e il sapone. In onjore si Sant’Agnese  poi abbiamo scherzato  ( ed è un modo per capire se gli organizzatori stanno allo scherzo  anzi alla maldicenza che gli è tanto cara ) . E anche se come si è capito non siamo per niente d’accordo su questa manifestazione ci sentiamo  di dire che in definitiva  che i problemi di L’Aquila sono altri  nella speranza che appunto pproprio questa iniziativa  non diventi un ulteriore problema.  Sono certo che ci sapranno stare. Perché in definitiva  ,sotto sotto ( si fregano le mani )  tutto questo giova loro  e gramscianamente parlando  (diceva Gramsci  che se mangi un piatto di fagioli  al giorno fai comunque  un atto politico )l’alternativa sarebbe il silenzio .E non a caso i critici di questa iniziativa sono da molto silenziosi .Perchè dal silenzio  nascono altre cose. Sono quelle di cui L’Aquila  ha bisogno  in questo momento . E la finisco qui per non trasformare  tutto in un pistolotto  da pulpito  di prediche parolaie, inutili e inconcludenti .  Anche se la tentazione è forte  e contraddittoria : perché non un processo d’appello ?




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