venerdì 8 gennaio 2016

ET TERRA MOTA EST : Antonio Calafati su un articolo di La Repubblica del 7 gennaio 2016 sul dopo terremoto



Ieri “La Repubblica” ha pubblicato un reportage – che inizia in prima pagina – sull’evidente e forte sovra-dimensionamento della città fisica che la ricostruzione sta determinando a L’Aquila (“L’Aquila rinasce ma si mette in vendita”). Il 31 dicembre scorso “Il Fatto Quotidiano” aveva pubblicato un altro reportage che poneva l’accento sullo stesso tema (“L’Aquila, lo Stato spende, la ricostruzione arranca”).
Il tono – come sempre quando si parla di L’Aquila – è quello della denuncia e della colpa. D’altra parte, difficile che nel dibattito pubblico italiano si possa parlare di “cause”, si cercano sempre delle colpe (e non si trovano mai le cause e spesso neppure le colpe).
Sul tema del sovra-dimensionamento della città fisica di L’Aquila come conseguenza del modello di ricostruzione che emergeva ho richiamato l’attenzione già dal 2012. Il sovra-dimensionamento di L’Aquila era al centro del Rapporto che ho coordinato nel 2012 (“L’Aquila 2030: una strategia di sviluppo economico”) su incarico del Ministro per la Coesione Territoriale del “Governo Monti”, Fabrizio Barca. L’obiettivo di ridurre il sovra-dimensionamento mi sembrava decisivo per il futuro della città.
Tra novembre e dicembre 2015 ho pubblicato alcuni post sul sovra-dimensionamento della città su questo blog – cercando le cause, non le colpe. Avevo poi richiamato il tema nell’introduzione al forum su “L’Aquila del futuro” (14/11/2015), nel quale sono stati presentati i risultati dell’attività di ricerca su L’Aquila in corso al GSSI.
Quindi insisto. A L’Aquila si è manifestato un clamoroso fallimento della cultura urbana italiana. Un fallimento, in particolare, della comunità scientifica, incapace di costruire un paradigma di riferimento per la ri-costruzione di L’Aquila.Un fallimento, inoltre, del giornalismo italiano, incapace di alimentare un dibattito pubblico informato, equilibrato e pertinente.
Quale paradigma di riferimento poteva avere una città come L’Aquila per la sua ri-costruzione? Una piccola città con alle spalle alcuni decenni di sviluppo spaziale sregolato e incongruo – non diverso da quello di gran parte delle città italiane? Il “dov’era, com’era” – proposto e interpretato dopo il terremoto del 2009 come l’orgogliosa rivendicazione di un progetto di ricostruzione identitario – nascondeva una completa afasia progettuale.
Incolpare il sistema politico locale (e nazionale) è consolatorio ma sbagliato. Chi ha proposto qualcosa di diverso? Chi è sceso in campo in Italia – e con quali competenze – per collaborare alla definizione di un paradigma sul quale fondare un progetto di ricostruzione moderno? Che strumenti aveva la società locale – oltre l’emergenza, che non ha gestito per ovvie ragioni – per definire una politica di ri-costruzione coerente? Che strumenti aveva lo Stato?
Sollevo di nuovo la questione perché è ancora possibile correggere la traiettoria di sviluppo spaziale ed economico ed evitare si rendere il sovra-dimensionamento della città fisica persino maggiore e insostenibile. Per perseguire questo obiettivo, però, è necessario provare a comprendere le cause, non evocare colpe.

Da    :  https://agcalafati.wordpress.com/2016/01/08/notizie-dallaquila/

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