giovedì 4 febbraio 2010

STORIE DI CALZOLAI E DI UN ALCHIMISTA DEI FAGIOLI

STORIE E VOCI DAL SILENZIO

STORIE DI CALZOLAI E DI UN ALCHIMISTA DEI FAGIOLI

Nella vita quotidiana raccontiamo eternamente delle storie su noi stessi .Quello che riferiamo ha appunto un referente, un lettore immaginario sul quale modelliamo l’immagine che di noi vogliamo proporre.
Il nostro sviluppo personale giorno per giorno non è altro che un cambiamento delle domande a cui è più urgente ed essenziale rispondere.
Il referente autobiografico è a volte un referente esterno ,quasi sempre un referente interno,un sé a cui si affida la narrazione.
Voglio narrare allora qui, seppure velato da un vago autobiografismo ( si può dire ?) nel senso di cui dicevo sopra, storie che vengono da lontano,dal silenzio della memoria, per la necessità di dare risposte a domande che a questo punto della vita mi ritornano frequentemente in mente ( domande reali quanto a valore esistenziale con un intenso bisogno di significato , quasi di filosofia).
Storie della mia infanzia vissuta a Sulmona nel borgo di Santa Maria della Tomba tra Via Capitolina, Vico Spezzato, Vico del Tempio, fuori Porta.
Mi ricordo un vecchio calzolaio che aveva la bottega vicino la Chiesa di Santa Lucia, su Corso Ovidio in prossimità di Porta Napoli e abitava a Vico del Tempio all’angolo con Via Capitolina.
Un uomo alto, magro, con i capelli già bianchi con gli occhi miti e i gesti semplice ma che quando si arrabbiava faceva tremare le mura delle case.
Me lo ricordo come inventore e costruttore formidabile. Mi ricordo quella grande stanza che agli occhi del fanciullo che ero appariva grande ma che era in realtà uno sgabuzzino a piano terra della sua casa, a fianco della stanza di ingresso.
In quella stanza nel mese di dicembre di ogni anno allestiva un fantastico presepe animato da luci che si accendevano e spegnevano, da fontane da cui zampillava acqua, fuochi che ardevano veramente,scenari notturni e diurni che si alternavano.
Una delle sette meraviglie del mio mondo di bambino.
Ebbene tutto costruito a mano nel tempo libero con piccoli modelli di paesaggio, ingranaggi e ruote e argani e leve di legno. Anche loro costruiti pezzo per pezzo a mano. E poi la grande avventura di quando cominciò a sostituire qualche pezzo con recuperi fatti da motorini di lavatrici,ventole, pezzi di altri apparecchi elettrici. Li prendeva in una specie di mercatino dell’usato detto in termini moderni ma che oggi sarebbe un mercato antiquario vero e proprio. D’Antino Settevendemmie lo aveva allestito in un capannone visino la Chiesa di San Francesco fuori Porta Napoli dove vendeva anche il ferro a peso .
Ma il mio calzolaio inventore e costruttore era bravo anche a fare le scarpe. A quel tempo si facevano a mano e per le famiglie contadine un paio di scarpe era un lusso. Costavano e si pagavano con buona parte del ricavato della vendita del raccolto di un anno ,già decurtato della “parte” data al proprietario del terreno.
Le scarpe si facevano a mano e a Sulmona c’era un barone che se le faceva fare da un calzolaio di Londra. Tanto che presso la bottega di quel calzolaio aveva depositato lo stampo in gesso dei suoi piedi. E così avevamo un modo di dire “ E’ arrivato il barone… che ha depositato i piedi a Londra.”
Un calzolaio inventore dunque morto ormai da tempo.
Ma c’è ancora un calzolaio, in un paese del teramano , come mi racconta il mio amico Nicola, che è capace di fare le scarpe a mano , di qualità per i materiali che usa anche se i modelli sono solo standard e collaudati nel tempo. Il prezzo di un paio di scarpe te lo articola secondo il costo della pelle,della tomaia , dei tacchi dello spago e della pece usati per cucire, le stringhe, gli occhielli , le fibbie. E se vai a farti riparare un paio di scarpe anche lì ti fa la lista della spesa con il costo di ogni cosa compreso cinquanta centesimi per la lucidatura o un euro per la verniciatura.
E sempre Nicola mi racconta l’acquisto di legumi per fare una minestra. E’ la storia di un uomo che vive dietro un banco di vendita dalla mattina alla sera con i suoi tempi, le sue abitudini, le sue fisime , in definitiva il suo sapere, la sua filosofia della vita. Ignavo e ignaro del mondo attende a queste sue pratiche quotidiane costringendo i compratori a volte a lunghe file . Usa la bilancia a mano per pesare la merce, fa i conti sopra pezzi di carta paglia quella che usava per incartare gli spaghetti, meglio i zitoni quando la pasta si vendeva sciolta oppure le “pesce di baccalà” e fa ancora il prezzo in lire che poi il registratore di cassa converte in euro.
Puoi comprare anche il miele sciolto . Se porti il barattolo ce lo versa dentro altrimenti te lo dà su un foglio di carta oleata. E poi ti dà le istruzioni per metterlo dentro il barattolo una volta che sei a casa. Ti spiega come si fa a raschiare il miele con il cucchiaio dalla carta oleata e con mille esortazioni ti invita a non sprecare niente ,a pulire fino a fondo la carta fino a leccarla se occorre. Fedele ad una economia di altri tempi in cui lo spreco era un peccato mortale.
E ti dosa e confeziona le porzioni per una minestra di legumi . Per la cottura ti segna l’ordine con cui i vari legumi vanno messi nella pentola e gli intervalli di tempo tra gli uni e gli altri: prima i fagioli , anzi prima i vari tipi di fagioli: a pane, bianchi , cannellini, poi le lenticchie che restano a cuocersi un certo tempo e poi ci aggiungi per esempio il farro e via dicendo.
Come pure è in grado di darti la ricetta delle “cicerchie”, sempre una minestra di legumi che si fa nel teramano, indicandoti se vuoi la minestra di cicerchie che si fa a Bellante o a Castellalto o a Teramo . Ognuna di queste minestre varia a secondo di alcuni legumi che vengono tolti o aggiunti appunto come da tradizione di quel luogo.
Non un venditore ma un alchimista che ti racconta , in questo modo che la vita appunto è un’alchimia di bene e di male , di bello e di brutto di fagioli a pane, bianchi o cannellini.



Ha collaborato all’impaginazione del post Grazia Marcone.
Eremo di Via Vado di sole, L’Aquila, sabato 16 gennaio 2010

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