mercoledì 21 settembre 2011

MEDITERRANEO : Festivaletteratura, Ala al-Aswani e le paure dell'Egitto che cambia

MEDITERRANEO : Festivaletteratura, Ala al-Aswani e le paure dell'Egitto che cambia

MANTOVA - Chi ha amato l'“Egitto plurale” di Ala al- Aswani tutto raccolto nel suo Palazzo Yacoubian, con gli eleganti borghesi impoveriti, i nuovi ricchi arroganti, i giovani tentati dall'integralismo, le donne usate e violate, gli intellettuali coraggiosi e sfortunati, ritrova una voce amica e inconfondibile anche in questo suo ultimo libro, “La rivoluzione egiziana” (Feltrinelli) che viene presentato oggi al Festivaletteratura di Mantova. Storica voce di opposizione al regime di Mubarak, il cinquantaquatrenne narratore traccia un affresco del suo paese, con la mano del ritrattista che usa il trapano della sua satira di dentista- scrittore, di cui va molto fiero.

Al-Aswani: lei è stato travolto dal 25 gennaio 2011 a Piazza Tahir che è diventata come la Comune di Parigi.

«In Egitto c’era molta frustrazione, poche voci pensavano che ci sarebbe stata la thawra, la rivoluzione. Io ero tra queste. Due giorni prima stavo firmando alcune copie del mio libro e ho detto: “il cambiamento è vicino”. Non immaginavo così vicino… Diciotto giorni in strada sono stati l’esperienza unica di questa rivoluzione: che si avvicina per molti aspetti alla Comune: in piazza c’era gran parte della realtà sociale egiziana. Mentre l’autorità del regime crollava, è stata l’autorità del popolo a prendere il suo posto».

La thawra l’ha prevista ed attesa… Ma perché gli egiziani non si sono ribellati prima?

«Per la stessa ragione per cui gli spagnoli hanno avuto Franco per quaranta anni e l’Unione Sovietica il comunismo per settanta anni La ragione è semplice: quando la morsa dell’oppressione è forte, ci vuole tempo per rappresentare il proprio desiderio di libertà».

Quali sono le questioni aperte del processo rivoluzionario e i rischi di una controrivoluzione sempre in agguato per evitare che il regime travolto tenti di ricostruirsi con altre forme?

«La rivoluzione ha avuto due momenti: quando Mubarak si è dimesso, la manifestazione pacifica ha dimostrato di poter sconfiggere una delle macchine oppressive più evolute al mondo. Ha avuto successo perché ha ottenuto ciò che voleva. Il secondo momento è quando Mubarak è stato portato davanti al giudice e ha detto: “yes, sir”. Si è aperta una pagina importante: non era più nostro padre, il simbolo della nazione, ma un semplice funzionario pubblico che poteva essere giudicato. Ora preoccupa che chi ha vinto non abbia preso il potere, affidato all’esercito in una fase di transizione. E positivo perché l’Egitto è stato protetto dai crimini del dopo rivoluzione, ma è anche negativo. L’esercito non è rivoluzionario e oggi bisogna combattere contro la controrivoluzione per avere elezioni e democrazia. L’esercito tende a riformare, ma le riforme non sono rivoluzione. La thawra è l’eliminazione del regime in modo totale. Le riforme sono alternative al regime, per poterlo salvare. Se applichi riforme durante la rivoluzione dai la possibilità alla controrivoluzione di intaccare i valori rivoluzionari».

Corruzione, sistema repressivo, assenza di uno stato di diritto, raccomandazioni, nepotismo, mediocrità fuga dei cervelli:quali sono i guasti più gravi e più difficili da correggere del regime di Mubarak?

«E’ tutto da riparare. Non posso immaginare l’Egitto in una situazione più catastrofica rispetto ad oggi. Se paragoniamo le potenzialità del mio Paese alle performances che abbiamo imparato a conoscere, capiamo che tipo di criminale fosse Mubarak».

L’emigrante a New York il cuoco a Roma , lei descrive con empatia gli egiziani della diaspora Un popolo costretto a fuggire dal proprio paese per costruirsi il proprio futuro non solo di individui, ma di cittadini.

«Un solo dato: tra diplomati, laureati e specializzati 824mila egiziani –una popolazione simile a quella di uno stato del Golfo – sono all’estero. Compresi tremila scienziati che si occupano di settori importanti come l’ingegneria nucleare, la genetica, l’intelligenza artificiale. Con un regime tirannico ed oppressivo i talenti d’Egitto, la nostra creatività. sono stati sprecati, il loro potenziale disperso».

Il regime non è riuscito a controllare Internet, mezzo docile e sfuggente, non è riuscito a comprenderne il linguaggio, le regole,le capacità aggreganti. Eppure non è stata solo la rivoluzione dei giovani: lei scrive che è come se la rivoluzione avesse fatto rinascere un egiziano di tipo nuovo, migliore. Quell’umanità dolente del suo “”Palazzo Yacoubian”, attanagliata dalla disperazione, piegata dall’umiliazionne si è riversata in Piazza Tahir?

«In Egitto c’è un numero di blogger che è superiore a quello di ogni paese arabo, ma certo non venivano tutti da lì i venti milioni che sono scesi in piazza. E in piazza mi è sembrato di vedere tutti i personaggi dei miei romanzi. Abbiamo assistito ad un fenomeno straordinario, quello di avere migliaia di donne rimaste a dormire per strada senza che nessuno le violentasse. La gente ha lasciato i propri effetti personali in piazza, nella profonda consapevolezza che nessuno glieli avrebbe rubati. La rivoluzione è come una vera storia d’amore. Tira fuori il meglio dalle persone. E’come se non avesse solo liberato gli egiziani, ma ne avesse curato anche i difetti sociali».

Lo scrittore non organico, l’intellettuale critico e scomodo che ha anticipato gli avvenimenti… E ora, dopo la thawra con i suoi tentennamenti e riflussi, quale ruolo pensa di avere nel nuovo Egitto.

«Non credo che la letteratura sia uno strumento di cambiamento politico. Sono un'attivista della democrazia, ho scritto articoli in suo nome, li avrei scritti anche se non fossi stato un romanziere. Ma è la politica che cambia le situazioni. Come intellettuale continuerò ad essere molto critico, continuerò a criticare. Non più contro Mubarak, è l’esercito che mi preoccupa».


Lei ha sempre rivendicato il diritto dell'intellettuale a occuparsi di politica. Non si può separare la letteratura dalla politica?

«Mi chiedo: è possibile separare la politica dalla vita? Se la risposta è negativa, allora la letteratura è la vita scritta sulla carta, ciò che si separa dalla letteratura si separa dalla vita».

Renato Minore Il Messaggero Venerdì 09 Settembre 2011

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, mercoledì 21 settembre 2011

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