lunedì 28 novembre 2011

OFFICINA : Due poeti, due poesie Carlo e Antonio Porta

OFFICINA  : Due poeti, due poesie  Carlo e Antonio Porta

El sarà vera fors quell ch’el dis lu,
che Milan l’è on paes che mette ingossa,
che l’aria l’è malsana, umeda, grossa,
e che nun Milanes semm turlurù.
Impunemanch però el mè sur Monsù
hin tredes ann che osservi d’ona cossa,
che quand lor sciori pienten chì in sta fossa
quij benedetti verz no i spienten puù.
Per ressolv alla mej sta question,
Monsù ch’el scusa, ma no poss de men
che pregall a addatass a on paragon.
On asen mantegnuu semper de stobbia,
s’el riva a mangià biava e fava e fen
el tira giò scalzad fina in la grobbia.
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Sarà vero forse quello che dice lei,
che Milano è un paese che mette nausea,
che l’aria è malsana, umida, greve,
e che noi Milanesi siamo zoticoni.
Ciò nonostante però, il mio signor Monsù, son
tredici anni che osservo una cosa: che quando
lor signori piantano qui in questa fossa quelle
benedette verze non le spiantan più.
Per risolvere alla meglio questa questione, Monsù
che lei scusi, ma non posso (fare) a meno di
pregarla di adattarsi a un paragone.
Un asino mantenuto sempre a strame, se
arriva a mangiar biada e fave e fieno tira giù
scalciate perfino alla greppia.
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Sto mè car Milan
Prometti e giuri col vangeli in man
de amà prima de tutt chi m’ha creaa,
e subet dopo sto mè car Milan
che impresa chì anca quij ch’en parlen maa.
Giuri vess grato a chi me dà el mè pan,
de no fa mai né lit né sigurtaa,
de lassà raggià i asen, bajà i can,
de tirà sempre drizz per la mia straa.
Giuri de scriv di vers fin che me par,
de dì el mè sentiment dove me occor
con tutta libertaa, redond e ciar,
e se manchi a sti coss, per mè castigh
me contenti perfin del disonor
d’on encommi stampaa sul “Cattabrigh”.
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Prometto e giuro col vangelo in mano
di amare prima di tutto chi mi ha creato,
e subito dopo questa
mia cara Milano
che impecia qui anche quelli che ne parlano male.
Giuro di essere grato a chi mi dà il mio pane,
di non fare mai né liti né malleverie,
di lasciare ragliare gli asini, abbaiare i cani,
di tirare sempre dritto per la mia strada.
Giuro di scrivere dei versi fin che mi pare,
di dire il mio sentimento dove mi capita,
con tutta libertà, rotondo e chiaro,
e se manco a queste cose, per mio castigo
mi contento perfino del disonore
di un encomio stampato dall’Accattabrighe.

Carlo Porta


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“Da grande farò il bambino”.
Così ho letto, così penso anch’io
e respiro le parole
e le continuo e cambio senso,
quello vietato, quello in salita
e corro per superare tutti gli ostacoli
e adoro il fruscio della
mia bici;
ma soprattutto significa
annullare il tempo.
Andate, mie parole,
calcate le tracce
dei linguaggi infiniti.
> (...)
qui i miei versi diventano semplici e chiari
spazio dove si incontrano i nostri progetti
per abitarci finalmente e dire: adesso
sappiamo che cosa dire
(tutto deve rinascere)
Antonio PortaAndate, mie parole 1983

La stanza della poesia
La luna tenuta al guinzaglio
gira per il teatro si posa sulla scena
dimenticata sul pavimento
continua a raccogliere riflessi di splendore
così la stanza della poesia
ha un suo fedele piccolo guardiano
con voce d’acqua il poeta-ragno scende dal soffitto
e la sua bava luccica
La tela è finita all’alba
quando il fiume spalanca la finestra
e la voce di uno che si alza dalla scrivania
rilegge le ultime righe ancora fresche:
“Se guardiamo lo sguardo di un bambino
(sì, ora ha quasi tre anni, incredibile
credevo fosse nato la scorsa primavera)
il nostro imbarazzo aumenta a dismisura
e ci chiediamo allora se l’opera
sia mai cominciata...”
O se invece comincia in questo istante
(dentro e fuori si moltiplicano gli specchi)    
Antonio Porta Da Sono biglie di vetro, poesia visiva

Eremo Via vado di sole , L'Aquila, lunedì 28 novembre 2011

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