giovedì 8 dicembre 2011

LETTERE DALL’EREMO : ( 3 ) Dalla Dives in misericordia alla Deus Caritas est: il cammino della Chiesa di oggi all’insegna dell’Amore Misericordioso

LETTERE DALL’EREMO    :  (  3 )  Dalla Dives in misericordia alla Deus Caritas est: il cammino della Chiesa di oggi all’insegna dell’Amore Misericordioso



3. La testimonianza della carità nelle sue forme più alte

A questo punto, Benedetto XVI richiama la attenzione sul cammino che la Chiesa è chiamata a fare all’insegna dell’Amore Misericordioso: un discorso, questo, – così lo definisce egli stesso – «di grande attualità e di significato molto concreto». Il Papa insiste, in modo particolare, a) sulla identità e b) sulla testimonianza del cristiano: occorre – egli dice – ripartire da Cristo e dalla carità.



a) Ripartire da Cristo

La identità vera del cristiano sta nella sua identificazione con Cristo: «È ciò che rileva san Paolo nella Lettera ai Galati: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (2,20). […] Diventiamo così "uno in Cristo" (Gal 3,28), un unico soggetto nuovo, e il nostro io viene liberato dal suo isolamento. "Io, ma non più io": è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro il tempo, la formula della "novità" cristiana chiamata a trasformare il mondo»23.

Questa testimonianza di Cristo risorto è particolarmente necessaria nell’Italia di oggi – commenta Papa Ratzinger –, perché anche il nostro Paese è segnato dalla «nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Così Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più direttamente, sembra divenuto superfluo ed estraneo»24.

La vera risposta a queste sfide sta nell’annunzio e nella testimonianza dell’Amore Misericordioso. Può sembrare una utopia o una ingenuità, ma non è così, dice il Papa; infatti, siamo in presenza di un risveglio di religiosità e «le tradizioni cristiane sono spesso ancora radicate e continuano a produrre frutti»; la sensazione che staccarsi dalle radici cristiane sia un rischio è diffusa nel Paese, tanto che è avvertita e «formulata espressamente e con forza da parte di molti e importanti uomini di cultura, anche tra coloro che non condividono o almeno non praticano la nostra fede»25; il Papa invita perciò a cogliere anche questa opportunità. Un po’ come ha fatto il card. Martini a Milano – aggiungiamo noi –, che ha istituito perfino una «Cattedra dei non credenti». Ciò ovviamente non significa affatto andare a braccetto con chi tenta di strumentalizzare il cristianesimo a fini politici, come nel caso dei cosiddetti «atei devoti», sostenitori della «religione civile». Si tratta, invece, di «rendere visibile il grande "sì" della fede» non cedendo alla tentazione di sovraesposizione mediatica o di collusione con il potere, ma dando alla testimonianza cristiana il contenuto concreto e praticabile della vita di tutti i giorni, negli ambiti nei quali si articola l’esperienza umana, oltre che nell’animazione cristiana della realtà sociale.

Ritorna ancora il compito insostituibile di un laicato maturo, attento al dialogo: «Il cristianesimo è infatti aperto a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà, a ciò che allieta, consola e fortifica la nostra esistenza. […] I discepoli di Cristo riconoscono pertanto e accolgono volentieri gli autentici valori della cultura del nostro tempo, come la conoscenza scientifica e lo sviluppo tecnologico, i
diritti dell’uomo, la libertà religiosa, la democrazia», senza che ciò significhi un semplice adattarsi alle culture, poiché l’opera di evangelizzazione «è sempre anche una purificazione» 26.

Ciò sarà possibile – ripete il Papa –, se non dimenticheremo mai che «all’inizio dell’essere cristiano – e quindi all’origine della nostra testimonianza di credenti – non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro con la persona di Gesù Cristo», che dà alla vita una direzione decisiva e porta a un incontro fecondo tra fede e ragione, apre la razionalità alle grandi questioni del vero e del bene, coniuga tra loro teologia, filosofia e scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, pur nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme.



b) Ripartire dall’amore

L’autenticità della nostra trasformazione in Cristo trova la sua verifica nell’amore verso i fratelli, nella sollecitudine concreta specialmente verso i più deboli e i più poveri.

La testimonianza della carità verso i fratelli è altrettanto fondamentale della nostra comunione con Cristo. Benedetto XVI aveva dedicato a questo tema la seconda parte dell’enciclica DCE e ora vi ritorna nelle «riflessioni» al Convegno di Verona. Colpisce che alla antica e tradizionale «forma alta» di carità, che si esprime nella vicinanza e nella solidarietà verso i bisognosi, gli ammalati e gli emarginati, il Papa non esiti ad accostare come altra «forma alta» di carità l’assunzione di responsabilità civili e politiche da parte dei cristiani. Tornano in mente le parole di Pio XI alla FUCI nel lontano 1927: la politica è «il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, essere superiore»27.

Perciò, a Verona, Benedetto XVI riprende i concetti fondamentali, già espressi nella DCE. Insiste sulla distinzione e autonomia reciproca tra Stato e Chiesa: «La Chiesa, dunque, non è e non intende essere un agente politico. Nello stesso tempo ha un interesse profondo per il bene della comunità politica, la cui anima è la giustizia e le offre a un duplice livello il suo contributo specifico. La fede cristiana, infatti, purifica la ragione e l’aiuta a essere meglio se stessa», e irrobustisce «le energie morali e spirituali che consentano di anteporre le esigenze della giustizia agli interessi personali o di una categoria sociale o anche di uno Stato».

Spetta invece ai laici «il compito immediato di agire in ambito politico per costruire un giusto ordine nella società […]: si tratta di un compito della più grande importanza, al quale i cristiani laici italiani sono chiamati a dedicarsi con generosità e con coraggio, illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa e animati dalla carità di Cristo»28. Certo, dice il Papa, oggi è richiesto un forte impegno per vincere le grandi sfide che affliggono l’umanità, come le guerre e il terrorismo, la fame e la sete, le epidemie; ma «occorre anche fronteggiare, con pari determinazione e chiarezza di intenti, il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicano fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere umano»29.

Il Papa quindi ribadisce quanto ha detto nella DCE30: la fede «purifica» la ragione, aiutandola a svolgere in modo migliore il suo compito. Non si vuole affatto conferire alla Chiesa un potere sullo Stato. Neppure si vuole imporre a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di comportamento che appartengono a questa: «La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini della lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell’argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare»31. Ecco perché è l’ora di un laicato maturo, di una rinnovata testimonianza delle forme alte di carità.

Concludendo. È evidente che questo discorso fatto a tutta la Chiesa interpella in modo particolare la Famiglia dell’Amore Misericordioso. Perché non pensare a che cosa essa può fare sul piano della formazione spirituale e dell’impegno operativo della carità, per formare quel laicato maturo di cui lo Spirito Santo oggi chiede una piena valorizzazione nella vita della Chiesa e della società? Potrebbe avere valore esemplare.

1 BENEDETTO XVI, enciclica Deus caritas est (2005), n. 1.-  2 PAOLO VI, Lettera apostolica Octogesima adveniens (1971), n. 23. -  3 Ibi, n. 43. -4 Ibi, n. 23.-  5 GIOVANNI PAOLO II, Angelus (13 febbraio 1994). -6 PAOLO VI, Discorso ai campesinos (Bogotà, 23 agosto 1968), in L’Osservatore Romano, 25 agosto 1968, 3. -7 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai rappresentanti delle varie religioni del mondo (Assisi, 24 gennaio 2002), n. 3.-  8 Giovanni Paolo II, Enciclica Dives in misericordia (1980), n. 12.- 9 Ibi, n. 10.-10 Ibi, n. 11.-11 Ibidem.-12 Ibi, n. 14.-13 BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno di Verona (19 ottobre 2006), in L’Osservatore Romano, 20 ottobre 2006.
 14 Ibidem-  15 Statuto dell’Associazione «Amore Misericordioso», n. 4, Collevalenza, settembre 1999.-16 CONCILIO VATICANO II, costituzione dogmatica Lumen gentium, n. 32.-17 Ibi, n. 31.-18 GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici (1988), n. 9.-19 Concilio Vaticano II, costituzione dogmatica Lumen gentium, n. 31.-20 Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes , nn. 1,.3.-21 Concilio Vaticano II, Decreto Apostolicam actuositatem, n. 3.-22 Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 43.
 23 BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno ecclesiale di Verona, cit., ivi.-24 Ibidem -25 Ibidem -26 Ibidem -
27 L’Osservatore Romano, 23 dicembre 1927, 3.-28 BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno ecclesiale di Verona,cit., ivi.-29 Ibidem -30 Benedetto XVI, Enciclica Deus Caritas est, nn. 26-29.-31 Ibidem

(Bartolomeo Sorge S.J.)

  Eremo Via vado di sole, L'Aquila, giovedì 8 dicembre 2011

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