mercoledì 18 aprile 2012

INTERSTIZI : Iconografie dal medioevo

INTERSTIZI   :   Iconografie dal medioevo

Qualche tempo addietro entrando in una chiesa in stile “romanico” del XV secolo mi trovavo ad osservare alcuni affreschi venuti alla luce dopo recenti lavori di restauro. Vi erano rappresentate scene di caccia, e tanti personaggi: frati, arcieri, soldati, mendicanti. Un tipico panorama medioevale. Colori sgargianti e luminosi: rosso, cobalto, indaco, porpora, bianco, nero.

Quella che riluceva davanti ai miei occhi era la scenografia che faceva da contorno alle funzioni religiose di un qualsiasi individuo del Quattrocento.

Riflettevo su quanto queste rappresentazioni potessero “occupare” l’universo mentale del paradigmatico contadino medievale venuto ad ascoltare la funzione religiosa. Considerando la lingua latina in uso durante le celebrazioni e l’analfabetismo medio dei tempi, non è difficile immaginare il ruolo “pedagogico” e formativo svolto dai cicli e dagli affreschi come quello dispiegato davanti ai  miei occhi.

Una “pastorale delle immagini”, ecco cosa avevo davanti.

Un assoggettamento produttivo capace di generare mondi per noi incomprensibili.

Inutile dire che oggi  queste rappresentazioni non sono in grado di trasmetterci nulla i più rispetto alla immediata “impressione estetica”. Quasi tutti i simboli, i gesti, i colori, che per l’individuo del medioevo erano un tramite ricco di semantica (un “segno” secondo l’accezione di Deleuze), sono per noi privi di significato. Quasi nulla oltre alla sollecitazione del giudizio estetico.

Immagini e cicli  facevano da “sfondo” ad un officio liturgico totalmente estraneo, nella sua prassi, a quello attuale, figlio delle riforme conciliari e delle “ristrutturazioni” ideologiche post-Tridentine.

Riflettiamo sulla differenza più “vistosa”, quella legata all’odierna interazione tra fedeli e officiante. Gli uni  e gli altri “partecipano” secondo le rigide modalità liturgiche del “Mysterium Fidei”  e esperiscono direttamente, attraverso gesti e rituali, il “Sacrificio” in atto. Ordine, disciplina e ritualità tendono a coincidere, nell’immaginario attuale, con questa esperienza del “Sacro”. Ben diversa era la declinazione prassica del fedele medioevale abituato ad una certa “caoticità” e ad una maggiore “distanza” rispetto all’officiante. La conseguenza era una certa libertà ed un maggior disordine durante le funzioni: fedeli che si alzavano nel corso della celebrazione, altri che pregavano (simili a tante vecchiette che anche oggi non riescono a star dietro al “ministro”), altri ancora che chiacchieravano tra di loro, litigavano, concludevano affari. A dimostrazione di quanto affermato  pensiamo alla conclusione delle rivolte palermitane del 1517, quelle culminate con l’eccidio dei rivoltosi facenti capo a Gianluca Squarcialupo. La strage avvenne durante una celebrazione liturgica, secondo modalità bestiali difficilmente immaginabili anche per l’epoca della “morte di Dio”.

Il fedele medioevale viveva, quindi, il “sacrificio Eucaristico” secondo modalità ben diverse da quelle attuali. La scenografia, in tale ordine, era non soltanto lo sfondo ma anche il medium capace di costituire l’immaginario attraverso il quale il singolo esperiva il proprio rapporto con la Divinità. Cicli pittorici rappresentanti vite dei santi, miracoli, ex voto, lotte con i diavoli e con creature bestiali plasmavano l’universo trascendentale in misura molto maggiore rispetto a tante prediche pur molto più celebrate dalla tradizione. In tale ottica, e solo a titolo d’esempio, si potrebbero formulare alcune questioni.  Quanto, e secondo quali modalità, i cicli pittorici fiamminghi influirono sulla mentalità religiosa pre-protestante? Quale l’influsso sull’immaginario di streghe, beghine e indemoniati?

Per cercare di non perdersi del tutto in mezzo a foreste popolate di orsi, di pastori, di lupi, per cogliere la semantica celata dietro ad un gesto di benedizione, ad una postura, ad un sorriso o, viceversa, ad un gesto di disperazione, voglio consigliare un bel libro di Chiara Frugoni (foto): “La voce delle immagini”. Pillole iconografiche dal Medioevo”, edito per i tipi dell’Einaudi.

Tutta una simbolica, legata ad un universo religioso a noi sconosciuto, qui trova delucidazione. Non è scorretto pensare al volume della Frugoni come ad una completa grammatica della semiotica medievale e proto moderna.

Osservando le centinaia di immagini che accompagnano il libro resteremo sorpresi nel constatare come alcuni dei gesti che ancora oggi compiamo affondino le proprie “radici” nel medioevo dei bestiari e dei demoni.

“Le immagini medievali si esprimevano con una loro lingua fatta anche di gesti in codice, di convenzioni architettoniche, di dettagli allusivi, di metafore e di simboli:se non li conosciamo quelle immagini non hanno voce” (C.Frugoni).

Il volume è composto da 6 capitoli più una completa bibliografia e un utile indice dei nomi.

Vengono analizzati: i linguaggi del potere, quelli del dolore, le convenzioni simboliche, ovvie per i medievali ma non per noi, le rappresentazioni dell’Altro, la semantica relativa a Gesù, Maria e le vicende loro correlate.

Alla fine della lettura ci si rende conto di quanto quel “mondo sia così diverso eppure uguale” dal nostro. Le chiavi di lettura forniteci rappresentano il primo passo per entrare in un mondo che troppo spesso immaginiamo per stereotipi e luoghi comuni che poco hanno a che dividere con “quello che fu”.

Chiara FRUGONI, LA VOCE DELLE IMMAGINI. Pillole iconografiche dal Medioevo, Einaudi, Torino 2010, pagg. 328, euro 35.
ott8 by sentieri erranti  di Fabio Milazzo

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, mercoledì  18 aprile 2012

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