mercoledì 11 aprile 2012

LUOGHI E NON LUOGHI : I luoghi di Guido Guidi

 LUOGHI E NON LUOGHI : I  luoghi di Guido Guidi

Capannoni, cantieri,  chiodi, mattoni, taniche, tubi, viti, garage prefabbricati, ex zuccherifici, silos, aie, fienili, cortili, muri di contenimento, recinzioni, cancellate, pali della luce, colonne di cemento armato che, nella loro scrostatura, rivelano un fantasma di ferro, trucioli avanzati da un taglio in segheria, il tornio di un' officina quando entra la luce da fuori, e scantinati di università o aule studio dimesse, la sedimentazione delle cose, e le persone. Sono alcuni frammenti del mondo di Guido Guidi. Nato a Cesena nel 1941 , Guidi ha partecipato a Viaggio in Italia, la mostra curata, tra gli altri, da Luigi Ghirri nel 1984. Ha fotografato le opere di Le Corbusier, van der Rohe, e CarloScarpa, di cui è stato allievo; le case popolari dell'Ina, i bunker europei della Seconda Guerra
Mondiale, i cantieri emiliani della Tav, l'industria a Marghera, e molto altro.
La peculiarità di Guidi consiste nell' aver fotografato coerentemente luoghi, oggetti, animali, persone, come se stesse fotografando con l'esattezza formale, ma con la vertigine. di un dubbio l'Italia dietro casa, il suo vissuto, in una frazione di Cesena; il tragitto  che si stende lungo la Strada Statale Romea, da Ravenna a Venezia, i due centri dove l' artista - all' Accademia ravennate e allo Iuav veneziano - ha insegnato fotografia per anni. L'editore americano Loosestrife - con la cura di uno dei maggiorifotografi statunitensi, Iohn Gossage - dedica a Guidi un ampio volume antologico: A new map of ltaly. L'Italia di Guido Guidi è l'Italia laterale, rimossa dagli stessi residenti, la nazione abitata raramente dagli artisti, se non per brevi periodi, utili a concludere un progetto, in attesa  della prossima incursione. E’ questa  la differenza tra coloro che attraversano, e coloro che, viceversa, vivono quei luoghi, giorno dopo giorno, fino a farne non solo la visione della propria arte, no, fino a farne la propria esistenza: sentirsi fratello di un palo della luce lungo la strada provinciale, di un mattone che ti guarda, di un animale morto e deposto da un cìclista amatoriale sopra la linea bianca continua. L'Italia di Guidi è la nazione passata dalla civiltà contadina a quella industriale. Il fotografo cerca, usando le parole di Paolo Costantini, «di esplorare un nuovo paesaggio della modificazione», traccia provvisoria di noi stessi, riscrivendo gli spazi gracili in cui viviamo, sebbene  utilizzi il mezzo che dovrebbe congelare quei luoghi, il mezzo a cui dovremmo chiedere la fissità negata dalla vita. Possiamo dire che l'opera dr Guidi sia la  sommatoria di due sottrazioni: gli avanzi del mondo contadino e le scorie del mondo industriale. Due sparizioni restano nella materia residuale, declinante,  e sono l'Italia, il brulicare sommerso, l'intersecarsi dei segni;nei luoghi dell'abbandono. «Tra un paracarro e un capitello,fotografo un paracarro:fotografo quello che c'è», dice Guidi. «Mi interessa il paracarro: chi l'ha costruito e chi l'ha usato, lo splendore e lo sfaldamento non il passato glorioso», Cose, animali e persone hanno uguale dignità e rispetto nelleimmagini del fotografo. Ciò non significa mettere tutto sullo stesso piano, in un'equivalenza indistinta. Il paracarro ha senso solo se inserito dentro un'immagine colta, risolta, e per Guidi un paracarro sta nella tradizione pittorica italiana e nella fotografia, soprattutto quella di Walker Evans.
Guido Guidi procede in una sorta di continuità, accetta il testimone del fotografo americano ma, mentre Walker Evans negli anni '30 del Novecento ha colto con la sua opera un'età prima del collasso, il lavoro di Guidi, al contrario, non certifica alcun crollo clamoroso. Suggerisce una malattia continua, debilitante,'che costituisce l' essenza stessa del nostro vivere. Una febbriciattola, 37,2 di temperatura, che muta in lievi oscillazioni e smottamenti siÌenziosi. Questo senso di leggero spossamento è sottolineato dal colore. Anche per una questione geografica, paiono evidenti i rimandi a Deserto rosso. «Sì, Antonioni mi ha influenzato. Ma, per il colore, mi sento più vicino a Morandi, quando lasciava i pigmenti al sole, per farti essiccare; e sembrava che il sole avesse lavorato, consumandoli». "Nelle immagini di Guidi, il colore dopo il processo di stampa è sbiadito, vicino alla liquidità.e come se fosse usurato dalla luce, è il colore della luce quando diventa stato mentale, utile per mantenere la giusta distanza, necessaria all' allenamento del vedere. E così, se  passate su qualche strada laterale attorno a Cesena o a Ravenna, e incontrate sul bordo della strada un essere formato da un cavalletto a tre gambe di ferro e due gambe di uomo, la testa nascosta sotto un panno nero; state tranquilli: non è una nuova forma di brigantaggio o di autovelox, è Guido Guidi, che sta cercando di ricomporre la mappa del nostro mondo, se stesso nell'immagine di noi, che lui guarda stupito, come se fosse la prima volta.


Giorgio Falco  Se garage e fienili raccontano l’Italia. La Repubblica  9 agosto 2011

Eremo Via vado di sole , L'Aquila, mercoledì  11 aprile 2012

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