sabato 6 marzo 2010

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI 2 : ERNESTINA

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI 2 : ERNESTINA
OVVERO LA TOMBA DELLE MUSE

E’ morta Ernestina. Qualcuno si domanderà : Chi è Ernestina? E’ il merlo parlante che Vincenzo teneva nella grande gabbia sulla veranda di ingresso della casa di Via Vado di Sole ,appena vicino a quella dove adesso abito. Un posto caldo d’inverno e fresco d’estate per ospitare Ernestina. Da tanti anni quel merlo anzi quella merla viveva in quella gabbia.
Ernestina aveva un pregio : sapeva ascoltare. Ti guardava prima con un occhio ,poi con l’altro e nell’alternanza dei due sguardi monoculari aveva capito chi eri e che volevi. Infatti poi ti trattava a suo modo. Curiosità interesse per il tuo capoccione che si avvicinava alle sbarre della gabbia o beccate feroci.

Io mi sedevo sul grande divano quando a volte andavo a trovare Vincenzo e tentavo un discorso con Ernestina. Non si faceva né blandire né corteggiare, né circuire con qualche boccone . Io le dicevo seriamente : “ Sai Ernestina abbiamo tanti problemi ,il terremoto, la ricostruzione che non parte, i soldi che mancano, il malaffare che cresce, il mal di testa per la cervicale, la pioggia di un inverno che non finisce più.” Erano le stesse cose che dicevo a volte a Sasha un cane sicuramente accondiscendente , rispetto ad Ernestina , perché sbuffava un po’ e poi tirava dritto per i suoi odori durante la passeggiata. Ernestina invece no. Curiosa e silenziosa ascoltava tutto il discorso con quella sua alternanza di sguardi e alla fine tranquilla , tranquilla osservava con quella sua vocina un poco stridula che gettava fuori le frasi tutte d’un fiato: “Paja Nicò” che tradotto sta per “ paglia Nicola” un modo di dire degli umani che per lei significava :” Che ci vuoi fare , e quando si risolvono questi problemi ? E chi li risolve di questo passo e con questa gente? “E poi voleva anche dire : “Non bisogna farsi coinvolgere dai problemi, basta a ciascun giorno il proprio affanno Bisogna guardare le cose ma non farsene coinvolgere troppo. “
Ernestina non si faceva coinvolgere. Aveva parole per molte cose e possiamo dire che era di “ Poche parole e lettere grosse “ .
Con i suoi due grammi di cervello e di memoria possedeva un vocabolario esteso come una Treccani a differenza di molti uomini che hanno un cervello per accogliere una Treccani e usano sempre le stesse parole ,le stesse tre parole : denaro, potere e sesso.

Ora Ernestina ha gli occhi spalancati sull’eternità e riposa in un angolo del giardino di Via Vado di Sole. Quando passo al mattino recito una preghiera a S. Francesco, il santo degli uccelli, perché l’accolga in quel mondo per il momento silenzioso per noi vivi dove sicuramente Ernestina con le sue parole gli starà raccontando le ultime novità di questo al di qua del suo al di là.
Quando passo vicino al giardino penso ad Ernestina che era per me la parola. La parola? –“Ma sei ammattito direte. Un merlo che al posto di fischiare ripeteva quattro parole che aveva sentito, e basta proprio come un pappagallo. - Mi tocca quindi rispondere in modo compiuto del perché Ernestina era per me la prola. A parte che poi si può fare anche una riflessione sui pappagalli ,la domanda che mi sono sempre posto quando sentivo Ernestina era : perché ripeteva alcune parole e non altre,perché le ripeteva per noi a caso,perché parlava quando voleva lei .
Perché ne sono quasi convinto ,lasciatemelo dire, Ernestina aveva capito. Le parole sono preziose,vanno custodite, non vanno sprecate , vanno usate nel modo giusto.
Sono il segno in un guscio di suono che racchiude, come in uno scrigno un sapere collettivo, astratto da innumerevoli esperienze e contesti. A questo scrigno ognuno attinge , ognuno si rifà per chiarire a sé e comunicare agli altri il proprio attuale vissuto,la propria coscienza,le sensazioni, le intuizioni, il pensiero.

Il segno è allora vivente. Le parole sono viventi perché attraversano lo spazio del conoscere lasciandovi la propria traccia come senso ( le cosiddette “parole alate” secondo Omero) e sopravvivono come segno nella realtà pronte ad apparire all’orizzonte della coscienza ad ogni richiamo.Le parole allora non si devono uccidere come facciamo noi , come fanno i politici , come non faceva sicuramente Ernestina.
Quindi quando passo di là e penso ad Ernestina mi viene in mente anche Giambattista Vico e la sua dottrina delle tre lingue e il problema dell’origine della parola.
La prima lingua è linguaggio muto,cioè intendere e significare le cose nella loro essenza,senza bisogno di ricorrere all’obiettivazione formale : in altri termini il puro intelletto che è proprio della divinità. Con un riferimento alla dottrina scolastica del linguaggio muto degli angeli che appare nel De vulgari eloquentia di Dante. La seconda lingua è il modo di esprimersi proprio dei tempi eroici , dove prevale non la parola ma il simbolo visivo, che coglie un aspetto sensibile delle cose al pari della scrittura ideografica dei geroglifici .La terza lingua è la lingua umana nei suoi primordiali poetici ,la quale non è naturale in senso stretto , ma non può dirsi nemmeno arbitraria ,” a placito” perché non è se non il riflesso fonico di processi attivi che si operano nella coscienza in rispondenza di una realtà “…perché cotal primo parlare, che fu dei poeti teologi ,non fu un parlar secondo la natura di esse cose (quale dovette essere la lingua santa ritruovata da Adamo , a cui Iddio concesse la divina onomathesia, ovvero imposizione dei nomi alle cose secondo la natura di ciascheduna) ma fu un parlare fantastico per sostanze animate ,la maggior parte immaginate come divine …” ( Scienza nuova sec.,401).

Mi viene in mente a volte che Ernestina era la parola perché penso alla parola come creazione e ai libri della genesi e alla espressione cassidica del tardo Settecento che appunto definisce la creazione come “ un precipitato di parole”.Per questo , d’altra parte allora la parola non è altro che il segno distintivo del vivente.. La parola è vita.
L’altra sera leggevo i Saggi di Thomas Emerson e ho pensato ad Ernestina per la quale ogni parola ripetuta era, per il suo intelletto un lampo di genio e la sua lingua era la tomba delle muse. Ecco che dice Emerson: “… Tutte le parole sono create da poeti: perciò la lingua contiene le fonti della storia del mondo e, se si vuole, la tomba delle Muse. Per quanto l’origine della maggior parte delle parole sia già dimenticata, può dirsi tuttavia che ogni parola fu dapprima un lampo di genio ed in seguito ebbe valore generale ,perché nell’attimo in cui il primo uomo la pronunciò e la udì fu un’interpretazione del mondo. L’etimologo scopre alle fine che anche il più freddo fossile fu un giorno un’immagine splendente. La lingua è poesia fossile; come il calcare della crosta terrestre è composto da innumerevoli gusci di piccolissime bestiole , così la lingua è un deposito di immagini e di figure , che oggi nel loro significato traslato non tradiscono più l’origine poetica:2 (Essays ,I, p. 55)

Le foto sono di Ida Rossi

Eremo di Via Vado di sole L’Aquila, giovedì 4 marzo 20010

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