lunedì 8 marzo 2010

STORIE E VOCI DAL SILENZIO 6 : PRESIDIO DELLA MEMORIA

STORIE E VOCI DAL SILENZIO 6 : PRESIDIO DELLA MEMORIA


Dieci , cento,mille ,duemila, quattromila fiaccole accese al tramonto di sabato 6 marzo 2010, undici mesi dopo il terremoto. Il tramonto di un sabato come molti di questo inverno che , a qualche giorno dell’entrata della primavera, porta ancora neve e gelo. Il tramonto di un giorno che vede a L’Aquila convenire parenti delle vittime non solo del terremoto del 6 aprile ma delle vittime delle innumerevoli catastrofi che hanno segnato la storia del nostro paese: Polesine, Frejus,Seveso , Valtellina,S. Giuliano del Molise, Acciaierie Krupp di Torino, Viareggio.
Convenuti per istituire un PRESIDIO DELLA MEMORIA che ricordi continuamente un solo dolore,una sola domanda di giustizia. Di legalità,verità giustizia gli aderenti alla manifestazione hanno fatto uno slogan che vuol dire :” Davanti a noi c’è solo una scelta: tacere per stanchezza o mettere ancora una volta le nostre energie al servizio della democrazia e dello spirito delle leggi poiché vivere di legalità fa bene”

Scrive Anna Guerrieri su Il Capoluogo .it:“Ieri, in un'oscurità fredda, illuminata dalle fiaccole di chi era al Presidio della Memoria abbiamo ascoltato parole, nomi, storie. Abbiamo ricordato chi il 6 aprile perdeva la vita mentre noi sopravvivevamo. Ma abbiamo soprattutto ascoltato e guardato negli occhi i famigliari e gli amici di chi non c'è più.Ci hanno parlato di "solitudine".Di quel che significa perdere dei figli. Di 6 anni a San Giuliano di Puglia, di vent'anni a L'Aquila e a Viareggio. Dei gesti quotidiani persi. Dei gelati che non si possono più comprare. Delle telefonate. Della vita assieme. Abbiamo poi ascoltato le promesse giurate sulle loro tombe: di non tradirli mai, di trovare le responsabilità e di non cedere mai.Questo resta, a chi rimane. Le promesse sulle loro bare.

Sono cresciuta in un Italia difficile. Dove si moriva in una manifestazione. Dove esplodevano bombe nelle piazze e nelle stazioni. Non ho preso l'Italicus con mia madre, perchè erano finiti i biglietti (mi porto dentro da sempre questa casualità). E negli anni ho assistito ai processi, alla verità inseguita e non toccata, alle sentenze e controsentenze, ai giudizi e controgiudizi dei giornali e dell'opinione pubblica, senza che, il più delle volte, si acclarassero delle responsabilità.Ieri, di nuovo, ascoltavo madri e padri dire: "Siamo soli" "Le autorità, passato il primo momento non ci sono più" "Nella mia città non ci hanno dato due minuti per leggere 31 nomi" "Non ci sono responsabili" "Andremo avanti perchè lo abbiamo giurato sulle bare dei nostri figli".E ho pensato che tutto questo è insopportabile.”

IL SILENZIO E LA SOLITUDINE IN CUI SONO CADUTE QUESTE TRAGEDIE :

SAN GIULIANO DI PUGLIA

“È il 31 ottobre 2002, un terremoto dell’8° grado della scala Mercalli fa tremare il Molise. La zona più colpita è San Giuliano di Puglia, uno dei 136 comuni della regione, a 60 km da Campobasso, 1.210 abitanti. In tutta la zona, crolla un solo edificio, la scuola: l'istituto “Francesco Jovine”. Sotto le macerie restano intrappolati 56 bambini, 4 maestre e 2 bidelle. Il bilancio definitivo delle vittime è tragico: 27 bambini e una maestra, oltre a 35 feriti, molti dei quali con lesioni permanenti.
(La storia siamo noi . Rai Educational Direttore Giovanni Minoli )

ACCIAIERIE THYSSEN KRUPP TORINO

Poco più di un mese fa Antonio Schiavone era diventato papà per la terza volta e ieri sera avrebbe dovuto essere a casa da tre ore, ma stava facendo straordinario perchè non era arrivato il suo cambio a fine turno, quando intorno a lui è scoppiato l’inferno, un inferno di fuoco che lo ha strappato per sempre alla sua famiglia che lo aspettava nella casa di Envie, il piccolo paese del cuneese dove viveva da tre anni.
In sei lottano per la vita
Antonio Schiavone aveva 36 anni e la sua è stata l’ennesima "morte bianca" italiana, conseguenza di uno dei più gravi incidenti sul lavoro degli ultimi anni, quello della scorsa notte alle acciaierie Thyssen Krupp di Torino, dove altri 8 operai sono rimasti feriti, sei dei quali, ustionati in modo gravissimo, stanno ora lottando fra la vita e la morte. A versare in gravi condizioni, in seguito all’incendio che si è sviluppato alla linea 5 dello stabilimento torinese in via di chiusura per il trasferimento della produzione a Terni, sono Bruno Santino e Giuseppe De Masi, 26 anni, ricoverati all’ospedale Maria Vittoria con ustioni sul 90% del corpo, in prevalenza di terzo grado, e entrambi sottoposti a decompressione dei tessuti e broncoscopia.
(La Stampa 6.12.2007)

VIAREGGIO
Un treno merci carico di gpl deraglia e causa un'esplosione nei pressi della stazione di Viareggio. Il bilancio è tragico: almeno 15 morti, 3 dispersi e una trentina di feriti di cui alcuni in gravissime condizioni, secondo i dati forniti dalla Protezione civile e confermati in un secondo momento dalla Asl. Il cadavere di una donna è stato ritrovato dai vigili del fuoco tra le macerie di un edificio al civico 32 di via Ponchielli, nella zona della stazione di Viareggio, dove la scorsa notte si è verificata un'esplosione. Lo si apprende da fonti dei vigili del fuoco. Con il ritrovamento, salgono a 14 le vittime del disastro. È successo tutto intorno alla mezzanotte di lunedì. La deflagrazione ha investito le case vicine, provocando il crollo di alcune palazzine. A causare l'incidente, sostiene una nota di Ferrovie, sarebbe stato il cedimento di un carrello di uno dei primi carri cisterna. Tra le vittime ci sono due bambini (i loro corpi sono stati recuperati sul posto) oltre ad alcune persone che si trovavano lungo la strada che costeggia la ferrovia e alcuni abitanti di due palazzine crollate. Tra i morti già identificati ci sono un operaio 42enne Rosario Campo, originario del Ragusano, e Hamza, un 17enne immigrato marocchino, morto per salvare la sua sorellina di 2 anni. Danni sono visibili anche su altri edifici limitrofi. Mille persone sono state evacuate dalle loro case. Testimoni e soccorritori hanno descritto la scena che si sono trovati di fronte come «un'altra Pompei». (Il Corriere della sera 30.06.2009)

VAJONT
Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso per confluire nel Piave, davanti a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno (Italia).
La storia di queste comunità venne sconvolta dalla costruzione della diga del Vajont, che determinò la frana del monte Toc nel lago artificiale. La sera del 9 ottobre 1963 si elevò un immane ondata, che seminò ovunque morte e desolazione.La stima più attendibile è, a tutt'oggi, di 1910 vittime.
Sono stati commessi tre fondamentali errori umani che hanno portato alla strage: l'aver costruito la diga in una valle non idonea sotto il profilo geologico; l'aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza; il non aver dato l'allarme la sera del 9 ottobre per attivare l'evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione. Fu aperta un'inchiesta giudiziaria. Il processo venne celebrato nelle sue tre fasi dal 25 novembre 1968 al 25 marzo 1971 e si concluse con il riconoscimento di responsabilità penale per la previdibilità di inondazione e di frana e per gli omicidi colposi plurimi. Ora Longarone ed i paesi colpiti sono stati ricostruiti.La zona in cui si è verificato l'evento catastrofico continua a parlare alla coscienza di quanti la visitano attraverso la lezione, quanto mai attuale, che da esso si può apprendere.(http.//www.vajont.net/

SARNO
Nei giorni 4, 5 e 6 maggio del 1998, una massa di fango e detriti si è staccata dalla montagna e dalla collina sovrastanti i paesi di Quindici (in Irpinia), Sarno, Siano e Braciliano (Salerno). In alcuni casi, come nella frazione di Episcopio (Sarno), la furia del fiume di fango ha distrutto tutto quello che c'era. La frana ha prodotto 159 morti.
Una tragedia che ha origini antiche. Una "fragilità intrinseca" di zone "con equilibri limite", "elevate probabilità di situazioni di crisi". Così viene descritto il territorio campano in una relazione del "Comitato tecnico scientifico per l'emergenza Campania" che elenca una lunga serie di catastrofi, a partire dal 1899, con "centinaia di vittime". Una relazione datata 1997 in cui il rischio frane e alluvioni viene segnalato con evidenza: "Le colate detritiche sono tipiche della coltre vulcanica dei versanti della penisola amalfitana, che costituiscono le aree a maggior rischio, come testimoniano gli eventi catastrofici del 1899, 1910, 1924 e 1954". (dal quaotidiano "La Provincia" di Como)

POLESINE

Lunedì 12 novembre 1951, alla Becca, località di confluenza del fiume Ticino con il Po, le acque raggiungono un livello molto elevato.
Nell'Oltrepo pavese si verificano i primi gravi allagamenti.
Da monte a valle, la massa d'acqua continua ad aumentare, via via che gli affluenti di destra e di sinistra la gonfiano.
Le due rotte dell'argine destro in provincia di Parma e Reggio non servono ad abbassare il livello e la portata del colmo dell'onda.
Vengono allagate anche le campagne del Cremonese.
La prima grande rotta da segnalare non è del Po ma di un suo affluente il Crostolo.
Mercoledì 14 novembre, a Gualtieri, la pressione della piena dell'affluente, non ricevuta dal Po, rompe gli argini a poche centinaia di metri dal punto di confluenza; il riflusso del Po è violento, la cittadina è completamente allagata.
L'onda di piena procede verso la foce e chi pagherà più duramente di tutte le altre località rivirasche sarà il Polesine.
Centinaia di ettari del territorio polesiano si trovano a quote inferiori al livello del mare. Le prime tracimazioni si verificano tra il 14 e il 15 a Paviole e a Occhiobello.
Sono invase le campagne di Polesella e la fiumana avanza verso Rovigo.
L'acqua invade tutta la provincia di Rovigo e una parte delle province di Mantova e Venezia. Nella notte del 18 novembre viene dato l'ordine di evacuare la città.

FREJUS

La diga Malpasset, sul fiume Reyran nella Francia meridionale, ha ceduto improvvisamente questa notte sotto la pressione del fiume in piena, rovesciando cinquantuno milioni di metri cubi d'acqua nella vallata circostante. Una stazione idroelettrica, magazzini e case sono stati travolti dalla paurosa valanga, che si è riversata sulla cittadina di Frejus, sulla costa mediterranea, a cinquanta chilometri da Nizza. Le strade ferrate sono sommerse, i treni bloccati. Secondo le prime notizie pervenute da Frejus, gli abitanti della parte settentrionale della cittadina hanno sentito un rumore 'come se parecchi treni si avvicinassero a forte velocità' allorchè la massa di acqua, alta da quattro a cinque metri, si è avvicinata alla città.
Sotto la violenza dell'urto centinaia di case sono crollate e automobili e autocarri sono stati trasportati via. La massa di acqua ha attraversato la città impiegando circa mezz'ora ed è stata seguita da una massa di fango che si è riversata nelle cantine della parte bassa della cittadina. (...)
Sembra trattarsi di una vera e propria catastrofe. La diga che alimentava la regione del Var era stata costruita otto anni fa, ed era alta 61 metri. Il lago era lungo sette chilometri e mezzo e largo tre chilometri e mezzo. (da "L'unità", 3 dicembre 1959, p. 1)

SEVESO
Verso le 12:37 di sabato 10 luglio 1976 nello stabilimento della società ICMESA collocato nel territorio del comune di Meda al confine con quello di Seveso, un reattore chimico destinato alla produzione di triclorofenolo, un componente di diversi diserbanti, perse il controllo della temperatura e si scaldò oltre i limiti previsti. La causa prima fu probabilmente un arresto volontario della lavorazione, senza azionare il raffreddamento della massa e quindi senza contrastare l'esotermicità della reazione; inoltre l'acidificazione del prodotto veniva fatta dopo la distillazione, e non prima.
L'apertura delle valvole di sicurezza evitò l'esplosione del reattore, ma l'alta temperatura causò una modifica della reazione con una massiccia formazione di 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), sostanza comunemente nota come diossina, una delle sostanze chimiche maggiormente tossiche.
La TCDD fuoriuscì nell'aria in quantità non definita e trascinata verso sud dal vento in quel momento prevalente (in diverse condizioni meteorologiche si sarebbe potuta colpire un'area di 30.000 abitanti). Si venne quindi a formare una nube tossica che ha colpito i Comuni di Meda, Seveso, Cesano Maderno e Desio. Seveso fu il Comune più colpito essendo immediatamente a sud della fabbrica.
Dopo 4 giorni dall’incidente inizia la moria degli animali, muoiono galline, uccelli, conigli. Le foglie degli alberi ingialliscono e cadono, e gli alberi in breve tempo muoiono come tutte le altre piante. Nell’area interessata vivono circa 100.000 persone. E solo dopo pochi giorni si verificano i primi casi d’intossicazione nella popolazione. Il giorno 15 il sindaco emana un ordinanza di emergenza: divieto di toccare la terra, gli ortaggi, l’erba e di consumare frutta e verdure, animali da cortile, di esporsi all’aria aperta. Si consiglia un’accurata igiene della persona e dell’abbigliamento. Ci sono i primi ricoveri in ospedale e gli operai dell’ICMESA si rifiutano di continuare a lavorare. Soltanto il 17 luglio appaiono i primi articoli sul “Giorno” e sul “Corriere della Sera”. L’accaduto diviene di dominio pubblico. Il 18 luglio parte un indagine dei carabinieri del comune di Meda ed il pretore decreta la chiusura dello stabilimento. Si procede all’arresto del direttore e del vicedirettore della fabbrica per disastro colposo. Ma ancora il 23 luglio dalla prefettura non viene ancora presa nessuna decisione su come far fronte all’emergenza. I casi d’intossicazione aumentano, i più colpiti sono i bambini. Si da nome ad una malattia finora quasi sconosciuta: la Cloracne. La cloracne è il sintomo più eclatante dell’esposizione alla diossina, colpisce la pelle, soprattutto del volto e dei genitali esterni, se l’esposizione è prolungata si diffonde in tutto il corpo. Si presenta con comparsa di macchie rosse che evolvono in bubboni pustolosi giallastri, orribili a vedersi e di difficile guarigione, e la pelle cade a brandelli. Può essere compromessa seriamente la funzionalità epatica. L’inalazione del composto crea problemi respiratori. Il 23 luglio dopo 13 giorni dall’incidente la verifica incrociata delle analisi effettuate dalle strutture sanitarie italiane e dei Laboratori Givaudan dell’ICMESA confermano una presenza notevole di TCDD nella zona maggiormente colpita dalla nube tossica. Il 10 agosto una commissione tecnico-scientifica stila una mappatura della zona contaminata. Si decide di evacuare l’area circostante l’impianto per circa 15 ettari, e le famiglie residenti n

VALTELLINA

Sabato 18 luglio 1987, attorno alle 17,30 un'enorme massa d'acqua, di alberi, di fango s'è abbattuta sul condominio "La Quiete, lo ha sventrato tagliandolo a metà, ha spazzato la strada sottostante e s'è riversata contro l'albergo "Gran Baita". Nel crollo hanno perso la vita undici persone, tra cui i titolari dell'albergo.


PRESIDIO DELLA MEMORIA dunque per LA LEGALITA’, LA VERITA’ ,LA GIUSTIZIA DA DARE A QUESTE TRAGEDIE ma anche per fermare ad esempio la possibile deriva del processo breve e le sue eventuali ripercussioni sulla richiesta di giustizia per queste tragedie.
Tanto che "quando dopo le elezioni ricomincerà l'iter parlamentare del processo breve andremo tutti a Montecitorio per fare sentire la nostra voce contro una legge che mette a rischio tutti i processi, a cominciare da quelli per i crolli del sei aprile" come dice Antonietta Centofanti, zia di uno dei ragazzi morti sotto le macerie della Casa dello studente, Davide Centofanti, e portavoce del Comitato vittime della Casa dello studente.
“Il processo breve ci fa paura" dice ancora Daniela Rombi, che ha perso una figlia nella strage di Viareggio. "Perchè non può essere che il 29 giugno non sia successo niente. Ci siamo sentiti soli, invece non lo siamo, e siamo qui anche per impedire che con il processo breve non si facciano le inchieste su queste tragedie".

ED E’ QUESTO che ti resta dentro con il silenzio delle 4000 fiaccole, alle luci soffuse del tramonto di sabato 6 marzo 2010.


(Le informazioni su alcune tragedie e disastri sono tratte dal sito risultato di un'esperienza didattica che si è svolta in una classe del biennio dell'ITIS "P. Carcano" di Como, nell'arco di due anni scolastici (1997-1999).
Per realizzarlo, gli allievi sono stati guidati dall'insegnante di Lettere, L. Guaragna, che ha successivamente aggiornato e arricchito il lavoro con altri materiali (What's new?).)per altre informazioni circa il Presidio della Memoria contattare Comitato Familiari Vittime Casa dello studente cell. 347.0343505 e Il Popolo delle agende rosse Liliana Centofanti 320.1624461 e Antonio Mancini cell. 380.3511378)

Le foto della manifestazione sono di Grazia Marcone le altre sono tratte da siti e fonti citate nel corso del testo.


Eremo di Via Vado di Sole, L’Aquila, domenica 7 marzo

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