Convenuti per istituire un PRESIDIO DELLA MEMORIA che ricordi continuamente un solo dolore,una sola domanda di giustizia. Di legalità,verità giustizia gli aderenti alla manifestazione hanno fatto uno slogan che vuol dire :” Davanti a noi c’è solo una scelta: tacere per stanchezza o mettere ancora una volta le nostre energie al servizio della democrazia e dello spirito delle leggi poiché vivere di legalità fa bene”
Sono cresciuta in un Italia difficile. Dove si moriva in una manifestazione. Dove esplodevano bombe nelle piazze e nelle stazioni. Non ho preso l'Italicus con mia madre, perchè erano finiti i biglietti (mi porto dentro da sempre questa casualità). E negli anni ho assistito ai processi, alla verità inseguita e non toccata, alle sentenze e controsentenze, ai giudizi e controgiudizi dei giornali e dell'opinione pubblica, senza che, il più delle volte, si acclarassero delle responsabilità.Ieri, di nuovo, ascoltavo madri e padri dire: "Siamo soli" "Le autorità, passato il primo momento non ci sono più" "Nella mia città non ci hanno dato due minuti per leggere 31 nomi" "Non ci sono responsabili" "Andremo avanti perchè lo abbiamo giurato sulle bare dei nostri figli".E ho pensato che tutto questo è insopportabile.”
IL SILENZIO E LA SOLITUDINE IN CUI SONO CADUTE QUESTE TRAGEDIE :
SAN GIULIANO DI PUGLIA
(La storia siamo noi . Rai Educational Direttore Giovanni Minoli )
ACCIAIERIE THYSSEN KRUPP TORINO
In sei lottano per la vita
Antonio Schiavone aveva 36 anni e la sua è stata l’ennesima "morte bianca" italiana, conseguenza di uno dei più gravi incidenti sul lavoro degli ultimi anni, quello della scorsa notte alle acciaierie Thyssen Krupp di Torino, dove altri 8 operai sono rimasti feriti, sei dei quali, ustionati in modo gravissimo, stanno ora lottando fra la vita e la morte. A versare in gravi condizioni, in seguito all’incendio che si è sviluppato alla linea 5 dello stabilimento torinese in via di chiusura per il trasferimento della produzione a Terni, sono Bruno Santino e Giuseppe De Masi, 26 anni, ricoverati all’ospedale Maria Vittoria con ustioni sul 90% del corpo, in prevalenza di terzo grado, e entrambi sottoposti a decompressione dei tessuti e broncoscopia.
(La Stampa 6.12.2007)
VIAREGGIO
VAJONT
La storia di queste comunità venne sconvolta dalla costruzione della diga del Vajont, che determinò la frana del monte Toc nel lago artificiale. La sera del 9 ottobre 1963 si elevò un immane ondata, che seminò ovunque morte e desolazione.La stima più attendibile è, a tutt'oggi, di 1910 vittime.
Sono stati commessi tre fondamentali errori umani che hanno portato alla strage: l'aver costruito la diga in una valle non idonea sotto il profilo geologico; l'aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza; il non aver dato l'allarme la sera del 9 ottobre per attivare l'evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione. Fu aperta un'inchiesta giudiziaria. Il processo venne celebrato nelle sue tre fasi dal 25 novembre 1968 al 25 marzo 1971 e si concluse con il riconoscimento di responsabilità penale per la previdibilità di inondazione e di frana e per gli omicidi colposi plurimi. Ora Longarone ed i paesi colpiti sono stati ricostruiti.La zona in cui si è verificato l'evento catastrofico continua a parlare alla coscienza di quanti la visitano attraverso la lezione, quanto mai attuale, che da esso si può apprendere.(http.//www.vajont.net/
SARNO
Una tragedia che ha origini antiche. Una "fragilità intrinseca" di zone "con equilibri limite", "elevate probabilità di situazioni di crisi". Così viene descritto il territorio campano in una relazione del "Comitato tecnico scientifico per l'emergenza Campania" che elenca una lunga serie di catastrofi, a partire dal 1899, con "centinaia di vittime". Una relazione datata 1997 in cui il rischio frane e alluvioni viene segnalato con evidenza: "Le colate detritiche sono tipiche della coltre vulcanica dei versanti della penisola amalfitana, che costituiscono le aree a maggior rischio, come testimoniano gli eventi catastrofici del 1899, 1910, 1924 e 1954". (dal quaotidiano "La Provincia" di Como)
POLESINE
Lunedì 12 novembre 1951, alla Becca, località di confluenza del fiume Ticino con il Po, le acque raggiungono un livello molto elevato. Nell'Oltrepo pavese si verificano i primi gravi allagamenti.
Da monte a valle, la massa d'acqua continua ad aumentare, via via che gli affluenti di destra e di sinistra la gonfiano.
Le due rotte dell'argine destro in provincia di Parma e Reggio non servono ad abbassare il livello e la portata del colmo dell'onda.
Vengono allagate anche le campagne del Cremonese.
La prima grande rotta da segnalare non è del Po ma di un suo affluente il Crostolo.
Mercoledì 14 novembre, a Gualtieri, la pressione della piena dell'affluente, non ricevuta dal Po, rompe gli argini a poche centinaia di metri dal punto di confluenza; il riflusso del Po è violento, la cittadina è completamente allagata. L'onda di piena procede verso la foce e chi pagherà più duramente di tutte le altre località rivirasche sarà il Polesine.
Centinaia di ettari del territorio polesiano si trovano a quote inferiori al livello del mare. Le prime tracimazioni si verificano tra il 14 e il 15 a Paviole e a Occhiobello.
Sono invase le campagne di Polesella e la fiumana avanza verso Rovigo.
L'acqua invade tutta la provincia di Rovigo e una parte delle province di Mantova e Venezia. Nella notte del 18 novembre viene dato l'ordine di evacuare la città.
FREJUS
La diga Malpasset, sul fiume Reyran nella Francia meridionale, ha ceduto improvvisamente questa notte sotto la pressione del fiume in piena, rovesciando cinquantuno milioni di metri cubi d'acqua nella vallata circostante. Una stazione idroelettrica, magazzini e case sono stati travolti dalla paurosa valanga, che si è riversata sulla cittadina di Frejus, sulla costa mediterranea, a cinquanta chilometri da Nizza. Le strade ferrate sono sommerse, i treni bloccati. Secondo le prime notizie pervenute da Frejus, gli abitanti della parte settentrionale della cittadina hanno sentito un rumore 'come se parecchi treni si avvicinassero a forte velocità' allorchè la massa di acqua, alta da quattro a cinque metri, si è avvicinata alla città. Sotto la violenza dell'urto centinaia di case sono crollate e automobili e autocarri sono stati trasportati via. La massa di acqua ha attraversato la città impiegando circa mezz'ora ed è stata seguita da una massa di fango che si è riversata nelle cantine della parte bassa della cittadina. (...)
Sembra trattarsi di una vera e propria catastrofe. La diga che alimentava la regione del Var era stata costruita otto anni fa, ed era alta 61 metri. Il lago era lungo sette chilometri e mezzo e largo tre chilometri e mezzo. (da "L'unità", 3 dicembre 1959, p. 1)
SEVESO
L'apertura delle valvole di sicurezza evitò l'esplosione del reattore, ma l'alta temperatura causò una modifica della reazione con una massiccia formazione di 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), sostanza comunemente nota come diossina, una delle sostanze chimiche maggiormente tossiche.
La TCDD fuoriuscì nell'aria in quantità non definita e trascinata verso sud dal vento in quel momento prevalente (in diverse condizioni meteorologiche si sarebbe potuta colpire un'area di 30.000 abitanti). Si venne quindi a formare una nube tossica che ha colpito i Comuni di Meda, Seveso, Cesano Maderno e Desio. Seveso fu il Comune più colpito essendo immediatamente a sud della fabbrica.
Dopo 4 giorni dall’incidente inizia la moria degli animali, muoiono galline, uccelli, conigli. Le foglie degli alberi ingialliscono e cadono, e gli alberi in breve tempo muoiono come tutte le altre piante. Nell’area interessata vivono circa 100.000 persone. E solo dopo pochi giorni si verificano i primi casi d’intossicazione nella popolazione. Il giorno 15 il sindaco emana un ordinanza di emergenza: divieto di toccare la terra, gli ortaggi, l’erba e di consumare frutta e verdure, animali da cortile, di esporsi all’aria aperta. Si consiglia un’accurata igiene della persona e dell’abbigliamento. Ci sono i primi ricoveri in ospedale e gli operai dell’ICMESA si rifiutano di continuare a lavorare. Soltanto il 17 luglio appaiono i primi articoli sul “Giorno” e sul “Corriere della Sera”. L’accaduto diviene di dominio pubblico. Il 18 luglio parte un indagine dei carabinieri del comune di Meda ed il pretore decreta la chiusura dello stabilimento. Si procede all’arresto del direttore e del vicedirettore della fabbrica per disastro colposo. Ma ancora il 23 luglio dalla prefettura non viene ancora presa nessuna decisione su come far fronte VALTELLINA
Tanto che "quando dopo le elezioni ricomincerà l'iter parlamentare del processo breve andremo tutti a Montecitorio per fare sentire la nostra voce contro una legge che mette a rischio tutti i processi, a cominciare da quelli per i crolli del sei aprile" come dice Antonietta Centofanti, zia di uno dei ragazzi morti sotto le macerie della Casa dello studente, Davide Centofanti, e portavoce del Comitato vittime della Casa dello studente.
“Il processo breve ci fa paura" dice ancora Daniela Rombi, che ha perso una figlia nella strage di Viareggio. "Perchè non può essere che il 29 giugno non sia successo niente. Ci siamo sentiti soli, invece non lo siamo, e siamo qui anche per impedire che con il processo breve non si facciano le inchieste su queste tragedie".
ED E’ QUESTO che ti resta dentro con il silenzio delle 4000 fiaccole, alle luci soffuse del tramonto di sabato 6 marzo 2010.
Per realizzarlo, gli allievi sono stati guidati dall'insegnante di Lettere, L. Guaragna, che ha successivamente aggiornato e arricchito il lavoro con altri materiali (What's new?).)per altre informazioni circa il Presidio della Memoria contattare Comitato Familiari Vittime Casa dello studente cell. 347.0343505 e Il Popolo delle agende rosse Liliana Centofanti 320.1624461 e Antonio Mancini cell. 380.3511378)
Le foto della manifestazione sono di Grazia Marcone le altre sono tratte da siti e fonti citate nel corso del testo.

Nessun commento:
Posta un commento