mercoledì 3 agosto 2011

LUOGHI E NON LUOGHI : Dai borghi alle tendopoli , dalle tendopoli ai borghi

LUOGHI E NON LUOGHI : Dai borghi alle tendopoli , dalle tendopoli ai borghi

Diario di paese : l’Aquila terremotata. Paese in cui il tempo vira e va nella direzione del vento .Non sempre però , né avanti. Molte volte indietro. Indietro perché come diceva Garcia Lorca “ il tempo è un veleno”.

Un fragile legno esposto ad ogni intemperie. Esposto ad ogni accadimento. Dalla, dalla terra ferma noi guardiamo quell’esile legno,quell’esile naviglio. Così sembra aver posto qui, sulla terra compatta di montagna, di fronte al liquido mare una linea di frontiera, un confine.

Per rimanere fermi di fronte al disorientamento generale del paese. Di fronte al nostro disorientamento. Noi che non abbiamo più allegria ,noi che siamo ora inconcepibili e tristi. Noi che vogliamo andare contro le ragioni del tempo. Che sono quelle di un lento, inesorabile , continuo mutamento di quel grande spettacolo che è stato il terremoto.

Finalmente. La parola è pronunciata su questa quinta di terra tra montagna e montagna di fronte ,nella valle assolata dell’anno 2011.

Nella disillusione cerchiamo un varco in attesa di una ricostruzione che non si riesce a compiere.

Di fronte alla perdita delle radici da parte dei giovani e delle incertezze per il futuro. Di fronte alla sarcastica beffa della natura che ha così messo di nuovo tutto a posto. Si perché ce n’erano di cose fuori posto. Solo che il prezzo è stato un po’ alto. E alla beffa si aggiunge la beffa. Avevamo chiesto che le cose andassero messe a posto ma non così. Così abbiamo pagato questa voglia di ordine, pulizia , ( ma che , è quasi ritornato peggio di prima ) con la perdita della città . e per i nostri anni non vedremo ancora di nuovo , la città. La città alta sul colle con i suoi quarti al sole. Noi vedremo solo baracche, noi vedremo disordine urbanistico, noi sentire per tanto tempo ancora l’odore della polvere e della muffa dei muri. E non rivedremo la nostra città.

Le cose sono andate a posto per pochi istanti. E sembrava una catastrofe. Poi lentamente sono tornate come erano e la catastrofe è stata ancora più grande .Cambiare tutto per non cambiare niente .

Sarà ora come se i nonni ereditassero il paese dei nipoti . Una cosa inconcepibile :ma è così.

Ahi, il tempo. Il tempo dell’allegria è finito. Perché non mi riesco ad abituare all’idea che non potrò più rivedere la mia città . una città vuota per chi ha avuto il coraggio di restare e che non ha più il coraggio di riprendersela. Per gli uomini e le donne della mia età. Per i giovani è tutt’altra cosa.

Quando dicevamo, e dicevamo male, che eravamo stanchi di un’epoca che pareva scomparsa mentre il mondo fuori da queste montagne reclamava giustizia , diritti, una politica nuova,non sapevamo che quell’epoca sarebbe veramente scomparsa.

E allora. E allora perché non tornare sui nostri passi e recitar poesie ?

Poesia come strada maestra per la ricostruzione e la riqualificazione urbana. L’ha disegnata Ferlinghetti per San Francisco. E per L’aquila si sono alzate e si alzano le voci che dicono che la poesia è possibile. Dunque dopo il terremoto è stata costruita la casa dell’associazionismo , la casa del volontariato , via dell’Arti ; sono stati ricostruiti i luoghi del teatro, della musica .

E per la poesia. Basta una piazza per la poesia ; anche un’isola pedonale dedicata ai poeti, oppure una strada o piazza transennata , anche con attorno edifici puntellati . Da lì si può ricominciare a volare sule voci dei poeti dialettali, della beat generation o dei grandi uomini della poesia italiana . Un podio fisso per incontri e reading per la strada ma anche nelle scuole con i giovani , gli studenti delle medie e dell’università.

La facoltà di lettere dell’università che fa ? forse non conosco io i suoi programmi e le sue iniziative ma se farà più poesia potrà indicare una strada a l’aquila del dopo terremoto .

Guardare lontano e sognare la rinascita di una città anche con la poesia.

Un forum permanente a cielo aperto tra le bancarelle del mercato di fronte al Mooviplex tra i colori delle arance, delle mele , dei cavolfiori .

Ci fu una volta un primo festival della poesia nella chiesa di santa Caterina prospiciente Piazza S. Biagio in pieno centro storico. Prima del terremoto e fu un terremoto quell’incontro di poeti. Poi invalse l’idea dei premi letterari complice la cassa di risparmio e la provincia di l’aquila e si lesse appena appena la poesia degli altri: la poesia non viveva nella città. Erano altri che la portavano come un soffio. Un soffio presto soffocato dai premi.

E da allora ? Quel sogni visionario che poi la poesia portò nelle tendopoli ha bisogno di fiorire di nuovo per completare un nuovo cammino, all’incontrario : per il terremoto dai borghi alle tendopoli , dopo il terremoto dalle tendopoli ai borghi .

Alle speranze poetiche di uno ormai vecchio come me mi piace confrontare l’asciutta testimonianza di una giovane ragazza indicata con l’iniziale di “F .” apparsa su Il polipo, un giornalino on line degli studenti universitari della Facoltà di Scienze dell’investigazione di L’aquila che diversamente tiene i piedi ben saldi nella realtà.

C'era una volta una città abbarbicata sulle montagne, raccolta in una conca, in cui durante le sere estive la cappa d'aria calda si alzava in favore di una brezza refrigerante: quando cominciava a tirare quel venticello i cittadini facevano capolino dalle proprie case, lieti di poter finalmente fare quattro passi, e scendevano a riempire le strade, i vicoli, i bar e i locali dell'Aquila.

I quatrani, ragazzi come tanti dal dialetto facile, divoravano un hot dog e poi schizzavano verso le postazioni collaudate ormai da tempo: le nicchie della scalinata di San Bernardino, custodi di indicibili segreti; i portici: teatro di ogni sorta di incontri, amori, scontri,figuracce e avanti cosi; Piazza Palazzo, dove lo sguardo austero di Sallustio rinnovava ogni sera l'odio da parte dei liceali, gli stessi che fino a qualche mese prima erano stati costretti a tradurre la sua prosa, e gli amati dintorni; San Pietro, con i posti da cui i genitori apprensivi ci dicevano di tenerci lontane ... dopotutto, eravamo piccole.

Piccole, si, ma evidentemente già abbastanza cresciute per sentire la terra tremarci sotto i piedi giusto qualche mese dopo. Mentre gli adulti si davano un gran da fare e sistemavano i propri pargoli in strutture antisismiche, noi adolescenti -che non siamo né carne e né pesce- ci siamo ritrovati parcheggiati in una non-città. L'Aquila post sisma é diventata un'accozzaglia di posti lontani tra loro chilometri e chilometri, come se il centro fosse esploso e ogni luogo fosse schizzato all'altro capo della città: riallacciare tutto era impossibile. Ognuno di noi aveva già da combattere la propria personalissima lotta per diventare adulto, cosa che sarebbe successa con o senza terremoto, ma ora anche il campo di battaglia ci metteva i bastoni tra le ruote. Per gli stessi adulti che si stavano dando quel gran da fare L'Aquila era stata li, quando ne avevano avuto bisogno. Perché per noi no:

Di certo, la nostra adolescenza avremo voluto (e vorremmo tuttora) viverla per le strade della nostra città ... ma è andata diversamente. Ci siamo ritrovati dentro un centro commerciale che diventava di mese in mese più tetro e asfissiante e lungo una strada colma di locali incastrati alla bell'è meglio dove prima c’era il nulla con la consapevolezza che L'Aquila di un tempo non sarebbe tornata in tempo per viverla spensierati; ma, come si dice da queste parti, quesso è e quesso remane: inutile piangersi addosso.

I bambini cresceranno in una nuova città, gli adulti sono cresciuti in quella vecchia e noi facciamo la spola tra vecchio e nuovo, riprendendoci poco a poco quello che ci apparteneva. Come il centro storico, per esempio.

Se ci si avvicina ai vicoli transennati talvolta si percepisce la puzza di muffa che in centro è ristagnata da due anni e un brusco calo di temperatura: anche sotto la canicola più pesante, da quelle stradine soffiano spifferi freddi.

Eppure fra transenne e camionette di militari, fra le ore ad aspettare un autobus e quelle passate nei locali vecchi e nuovi, fra l'amarezza di annusare la città morta e il piacere di scoprire che "ehi, ma questo vicolo l'hanno riaperto!", anche se alla fine quel vicolo non porta da nessuna parte, noi quatrani stiamo tornando a schizzare per le strade dell'Aquila. Un po' più cauti e un po' più provati, ma forse anche un grammo più cresciuti.

C'è una città abbarbicata sulle montagne, raccolta in una conca, in cui durante le sere estive la cappa d'aria calda si alzava in favore di una brezza refrigerante; quando comincia a tirare questo venticello ai cittadini torna la voglia di riempire le vie del centro ...

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, martedì 2 agosto 2011


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