venerdì 5 agosto 2011

RICOGNIZIONI : L’euro e i ritardi politici dell’Europa

RICOGNIZIONI : L’euro e i ritardi politici dell’Europa

L'euro rischia ma non è spacciato. La moneta unica non è più in cima ai desideri degli operatori finanziari soprattutto per colpa della politica: troppe incertezze nel gestire la crisi e mancanza di coraggio nel dare all'unione monetaria il sostegno di una struttura politica. Gli esperti sono concordi che sarebbe preferibile e meno costoso un passo avanti nella costruzione dell'Europa piuttosto che tornare indietro alle monete nazionali. I tempi delle svalutazioni competitive sono passati per sempre, ma anche quelli delle spese incontrollate, I pacchetti di salvataggio non danno sicurezza sulle strategie future e 1'accanimento contro gli speculatori probabilmente sta facendo sprecare denaro prezioso. Non solo una «crisi di crescita". ma un esame che non si può fallire.

Contro la speculazione «servono regole». Per aiutare l' euro ci vuole «l'unità politica e fiscale dell'Europa». Gli effetti della crisi sul lavoro? «Gravi. Alla disoccupazione si è prestata poca attenzione». I sacrifici? «Bisogna capire quanto un singolo taglio è dannoso per determinate libertà».

Parla così l'economista-filosofo Amartya Sen che esprime il suo pensiero rispondendo ad alcune domande postegli al Forum della Pubblica Amministrazione del maggio 2010 qui in Italia .

E'incorso un attacco speculativo contro la moneta unica. Come lo giudica?

«lo sono stato scettico verso l'euro perché è nato senza una vera integrazione delle politiche fi¬scali alle spalle. Adesso stanno venendo a galla proprio questi malesseri».

Come definirebbe la figura - dello speculatore?

«Un essere umano che cerca di fare soldi, senza preoccuparsi degli effetti anche sociali che le sue azioni producono. Ma non è necessariamente una bestia perché è il mercato che offre l'opportunità di guadagnare in fretta soldi veri. I problemi nascono quando si assumono rischi eccessivi e quando questo avviene sono anche di natura morale: c'è una mancanza di regole, è chiaro».

I governi Ue stanno adottando provvedimenti severi, che finiscono per colpire la gente. E' la strada giusta per uscire dalla crisi?

«Non bisogna pensare solo ai conti, ma anche al benessere delle persone. Se le misure sono troppo restrittive, si impedisce la crescita. Ci vuole equilibrio».

I tagli influiscono su quello che lei chiama le capabilities, la capacità e la potenzialità di fare le cose. Che fare, allora?

«Non bisogna concentrarsi solo sul reddito, ma anche sul tipo di vita che si deve condurre. Ci vuole una analisi diversa. Occorre capire come un singolo taglio può essere più o meno dannoso per determinate libertà umane».

La crisi è anche disoccupazione.

«Che non significa solo perdita del posto di lavoro ma pure di competenze e di dignità umana. Ci vuole una azione forte, incisiva per contrastarla. Invece i governi si sono occupati molto di più del salvataggio delle banche che dei senza lavoro».


Non dovevano?

«Certo che dovevano. Ma al, tempo stesso bisognava mettere in piedi politiche di sostegno all'occupazione per ridurre le conseguenze sulle persone povere, le più colpite».

Secondo lei, l'euro ce la farà?

«Non rispondo a una domanda che può turbare i mercati. Ma Sarkozy e Merkel dovrebbero fare qualcosa, oltre a telefonarsi. Ripeto: serve una integrazione fiscale e politica. Tuttavia sono convinto che con sforzi maggiori i paesi europei usciranno da questa crisi».

Questa l’opinione di analisti ed economisti :

Gian Maria Gros- Pietro docente della Luiss “ L’addio alla moneta unica non conviene “

1) Si fa presto a minacciare la fine dell' euro, ma realizzarla è molto più complesso e doloroso di quanto costi in realtà continuare a difenderlo. Quella che è in crisi è l'illusione che un'unione monetaria possa sopravvivere senza una cornice di politiche economiche e fiscali comuni. In una parola un'unione politica compiuta. Ora gli Stati devono fare il passo. successivo e rinunciare ad un altro pezzo di sovranità nazionale anche se ci sono delle ovvie resistenze.

2) La prospettiva di un ritorno llea valute nazionali precedenti all' euro dimostra come anche i paesi più ricchi hanno l'interesse a salvare l'euro. I paesi periferici svaluterebbero immediatamente e le aziende dei paesi forti, ad esempio la Germania, dovrebbero subire la concorrenza di chi ha una moneta più debole.

Jean Paul Fitoussi

1) L'euro non è in pericolo: il fatto che la Merkel agita questo spettro aggiunge un altro mistero ai tanti comportamenti inspiegabili dei tedeschi di questa fase. Dire che l'euro è in pericolo non solo è molto pericoloso per la moneta . stessa ma è un nonsense economico. E' in ribasso, ma è naturale che lo sia: quando un paese (in questo caso diverse nazioni del "paese" Europa) fa una politica restrittiva, la crescita scende, i tassi tendono al ribasso. Gli investitori non si sentono attratti al contrario di quanto avviene se un paese fa una politica espansiva e i tassi salgono con un po' d'inflazione.

2) L'euro non scomparirà: anzi il ribasso ridarà fiato all'economia europea perché l'export rimpiazzerà la scarsa domanda interna. La fine dell'euro non è pensabile significherebbe giocare al massacro e nessuno lo vuole.

Michele Boldrn insegna alla Washington University di Saint Louis “L’economia in mano ai governi

1) Gli unici pericoli che l'euro corre sono di natura politica. La moneta unica si regge su un accordo preciso fra i paesi: nessuno fa il furbo sul piano fiscale. Quello era l'intento di Maastrìcht. Il problema sono le deviazioni troppo forti. L'euro si regge su comportamenti cooperativi quando questi vengono a mancare l'euro evapora. Mi sembra questo il significato delle affermazioni della Merkel, che condivido.

2) Belgio, Francia, Germania ed Olanda si terrebbero comunque l'euro. Nel nostro paese avremmo le solite «svalutazioni competitive», che servono solo a ridurre un po' i salari senza cambiare nulla. Poi inflazione, maggiore spesa pubblica e maggiore debito. Se il ministro del Tesoro avesse preso due anni fa le misure che annuncia di voler prendere-ora, forse sarebbero state meno dure.

Michael Spence Nobel per l’economia nel 2001 Ha perso lo status di valuta forte

1) Beh, certo: qualche significativo rischio per l'euro in questo momento c'è. A scatenare il tutto è stata la vicenda greca, ma ormai è l'intera valuta in sé ad aver perso lo status di moneta forte, quella a cui si pensava addirittura come riferimento o riserva. È diventato volatile agli occhi degli investitori mondiali,e si può comprendere come stia passando dall'uno all' altro la parola d'ordine che è meglio scaricare le posizioni in euro anziché mantenerle. In vista di cosa dovrebbero tener duro?

2) Più che di scomparsa, dipingerei lo scenario dello sganciamento di qualche paese (non l'Italia che non corre rischi). Bene: potrebbe anche essere un' opportunità quella di svalutare e rimettere in ordine le propria economia. Ma la pesante contropartita è che ci sarebbe un'infinità di nuovi poveri.

Tommaso Monacelli ,economista , consulente della Bce E’ il momento di partire con nuove regole

1) L'euro è veramente in pericolo, manca l'architettura fiscale che non è mai stata costruita. Ora bisogna creare un'autorità centrale che garantisca la disciplina della spesa, compreso un meccanismo che preveda il default tecnico e la ristrutturazione del debito dei singoli paesi. Se si fosse fatto per la Grecia sarebbe costato sicuramente meno di questo ibrido di pacchetti di salvataggio e lotta alla speculazione, che poi è pura razionalità dei mercati.

2) Sembra un paradosso ma non sparirà mai a meno che tutti i paesi rinuncino ad utilizzare la moneta unica. Fintanto che un gruppo di Stati lo manterrà, chi al contrario dovesse tornare alla moneta nazionale, più debole, vedrebbe crescere da un giorno all'altro il proprio debito pubblico che rimarrebbe denominato in euro. Quindi a nessuno conviene uscire.

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, venerdì 5 agosto 2011

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