lunedì 8 agosto 2011

FRATELLI D’ITALIA : Mercati,democrazia e politica


FRATELLI D’ITALIA : Mercati,democrazia e politica

Scrive Guido Rossi su Il Sole 24 Ore di domenica 7agosto 2011 “Nell'intero mondo occidentale insieme. con un'economia abbacinata da falsi miti è crollata anche la politica, ormai sua ancella ridotta quasi in condizioni di schiavitù. È difficile sapere se il futuro sarà condizionato più dal disastro politico o da quello economico. Tra quei miti, nel linguaggio, sia comune, sia aulico, siede imperiosa l'onnipotenza dei mercati che spazzano la politica minacciano e distruggono gli Stati. La definizione concreta ed esatta di mercato non alberga più in quella di "luogo destinato allo scambio delle merci", ma si dilegua e svanisce in astratte e opache figure sacerdotali: società di rating, hedge funds, fondi sovrani, banche d' affari e banche ombra e grandi multinazionali, con tutti i loro strumenti e riti esoterici. I mercati si ergono a Pizia della modernità mentre il capitalismo, dalle Compagnie delle Indie ai nuovi sacerdoti, ha spesso mostrato un lato predominante di arrogante violenza e abusi, dal colonialismo alla schiavitù, alla tratta dei neri, alle selvagge speculazioni finanziarie a danno di popoli e di cittadini deboli. Non è un caso che anche le democrazie siano in crisi e debbano essere rivisitate, poiché si è aggravato il fatto che sia sempre una minoranza dei cittadini, direttamente o indirettamente i più ricchi, a governare. La forbice fra ricchi e poveri è diventata intollerabile, sicché se un quarto di tutti i redditi e il quaranta per cento della totale ricchezza degli Stati Uniti va all'uno per cento dei percettori di reddito risulta evidente la ragione per cui le scadenti recenti misure decantate da Obama non siano riuscite ad aumentare la tassazione dei ricchi. L'America, come ha scritto J. Stiglitz, non è più "la terra delle opportunità:'. In Italia come nel resto d'Europa parimenti aumenta la disoccupazione e nelle riforme inconsistenti proposte dal premier non v'è alcuna decisione né intenzione di colmare le iniquità economiche e sociali create dalla forbice e colpire seriamente l'evasione e la corruzione.

La politica rimane perciò schiava, come vogliono i mercati, del debito pubblico, della deregolamentazione e delle privatizzazioni ad ogni costo, dimentica della giustizia sociale, degli investimenti. pubblici, strumento di un'equità non solo fiscale. La democrazia deliberativa e non limitata a uno spesso inutile esercizio del diritto di voto non sembra essere arrivata con "il vento nuovo" che dichiaravadi voler cambiare le arcaiche strutture politiche asimmetriche ingiuste sia nell'America di Barack Obama sia in Italia Aveva allora ragione Gaetano Salvemini quando scriveya che in queste democrazie comunque "ogni elezione è solo una rivoluzione omeopatica". “

E se Guido Rosi continuando la sua analisi fa richiamo ai barbari cinesi e altri fuori dall’occidente dai quali potrebbe venire la salvezza da questa crisi è il nobel per l’economia Michael spence, economista da Harvard che afferma che questa cris è diventato un rompicapo.

Infatti Michael Spence, economista di Harvard, poi docente a Stanford, alla Bocconi e infine alla New York University, ha vinto il Nobel 2001 per i suoi studi sulle «informazioni asimmetriche» che arrivano sui mercati e loro effetti,la pensa così su questa crisi :

Professore, non suonerà sorprendente ma almeno preoccupante il downgranding (declassamento) del debito pubblico ameriacano -

«Sì. Come negarlo. Però era nell' aria, ed il già stata scontata da Wall Street, come spesso accade in casi del genere. La minaccia era stata formulata espressamente da tutte e tre le agenzie americane di rating (e da quella cinese Dagong): ora bisognerà vedere se Moody' s e Fitch vi daranno corso. Il problema non è la reazione dei mercati, è vedere quanto a lungo durerà questa condizione anomala di doppia anziché tripla A. Non sono affatto ottimista al proposito».

Perché?

«Perché è forte la sfiducia nella politica americana. L'ha detto S&P's, l'ha accennato persino Obama e l'esasperante trattativa sul debito l'ha dimostrato: non c'è misura rilevante di contenimento alla spesa o aumento delle entrate che possa passare senza incappare nel veto di una delle due parti. I due schieramenti sono divisi come non mai e lo resteranno fino alle. elezioni del 2012, ecco che siamo allo stallo .. Qualsiasi programma serio di rientro è oggi ben lontano anche dall' essere solo architettato. L'accordo sul debito è stato raggiunto perché Obama ha ceduto sulle tasse ai ricchi: ma alla fine l'intesa valeva 2,l miliardi contro i 4 richiesti dalle agenzie, malgrado le proteste interpretative dell' amministrazione. Inesorabilmente è scattato il dowgrading, che resterà in vigore fino a ben oltre le prossime elezioni. In Italia, a ben guardare, avete meno problemi di questo tipo, perché c'è una solida maggioranza che abbraccia l'intero ramo legislativo».

«Solida» forse è un po' troppo.

«Su questo, mi lasci osservare che il Berlusconi "seconda maniera" di venerdì è risultato ben più convincente. Evidentemente, è stato ben consigliato dai leader occidentali, - americani compresi, con i quali si è consultato. Vedete, il vostro governo è debole e incerto, non c' è dubbio, però va detto che la situazione internazionale è davvero spinosa. C'è una massa di debiti in giro per il mondo, generatasi con l'esplosione finanziaria pre-crisi, tale da creare un rompicapo globale quasi insolubile».

A proposito di crisi ,è vero,come dicono i repubblicani, che Obama porta la colpa dell'esplosione del debito Usa per i suoi massicci programmi keynesiani di stimolo?

«In una minima misura è vero, anche se molta dei fondi impegnati stanno già tornando indietro, dalle banche alle case auto. Però a questo punto c'è da ascoltare anche quello che dice la cosiddetta sinistra democratica, alla Krugman: visto che si è fatta la scelta keynesiana, si doveva farla fino in fondo, impegnando ancora più soldi, sempre scegliendo con cura i settori capaci di generare crescita, dalle infrastrutture alla ricerca».

Ma i risultati sul debito?

«Non è detto che sarebbero stati peggiori, perché avrebbero generato uno sviluppo in grado di trainare il mondo. Invece proprio qui si è inceppato tutto: la scarsa crescita, in America come in Europa e ora perfino in Asia, ha bloccato il «deleveragìng e il rientro dall'indebitamento, pubblico e privato. Solo i bilanci di alcune aziende sono buoni: ma appena possono vanno a investire in qualche altra località remota anziché inAmerica o in Europa».

Ci sono molti debiti in giro per il mondo ma come siamo riusciti in Italia ad indebitarci così?

Scrive Roberto Petrini su la Repubblica del 7 agosto 2011 :”La vetta dei 2 trilioni è vicina. Siamo, secondo i dati Bankitalia, a quota 1.890 miliardi, e per fine anno si salirà ancora più su. Come ora mai ripetono tutti: il 120 per cento del Pil. Un debito il cui costo cresce al crescere degli spread e che, con la solita ruvìdezza, Bossi ha paragonato a «cartastraccia». Che ci espone all' assalto dei mercati e ci costringe a cure, improvvise, quanto severe e dolorose.


Per Berlusconi, che non dimentica mai di ricordarlo, la colpa è «dei governi che ci hanno preceduto». E' così? Certo il passato è comunque gravido del presente, ma bisogna vedere come e perché. Fatto sta che nel lontano periodo 1961-1973 il debito Pil dell'Italia era solo al 50,3 per cento del Pil. A Maastricht mancavano trent'anni. E poi? Poi comincia l'esplosione. Nel periodo 1974-1985 raggiungiamo l'80,5 per cento del Pil,ne11990 siamo al 94,7 per cento, nel 1995 il picco storico è del 121,5 per cento. Toccò a Romano Prodì, affiancato da Ciampi, per raggiungere l'obiettivo dell' euro, stringere la cinghia e riportare il livello al 109 per cento nel 2000.

A dare la caccia alle responsabilità si rischia di non uscirne se si guarda alla storia. Senz'altro l'invecchiamento demografico ha gonfiato a partire dai primi Anni Novanta le pensioni (incidevano per un quarto nel 1980 e ora hanno superato il 32 per cento). E furono necessari i decisi interventi di riforma di Amato- Dini-Prodi. La sanità è stata inarrestabile: è passata, nello stesso periodo, dal 13,6% al 15,3%. A guardare le tabelle della recentissima Commissione Giarda, sembra che anche le spese per gli apparati burocratici dello Stato siano incomprimibili: la voce «servizi generali» incideva per il 12,3 nel 1980 e pesa il 13,8 per cento dell'intera spesa delle amministrazioni pubbliche nel 2009, a dispetto di tutte lecampagne di tagli annunciate dai vari governi.

La collezione delle norme che hanno acceso il boom del nostro debito è sterminata. Negli anni Settanta le pensioni italiane cominciarono ad. essere calcolate sugli ultimi stipendi (oggi non è più così), furono indicizzate all'inflazione, nel 1971 nacque la Gepi e vennero assunti 600 mila dipendenti pubblici. Tutta colpa dei «formidabili» Anni Settanta? Altrettante responsabilità vanno attribuite agli Anni Ottanta: l'economia cresceva mai governi; segnati da un alto tasso di corruzione, non ne approfittarono per risanare. Ma forse è agli ultimi dieci anni, dopo l'introduzione dell'euro che bisogna guardare per trovare le responsabilità del rischio default dell'Italia di oggi.

Nel periodo 2001-2006 con Berlusconi e Tremonti si evitò accurata'mente di affrontare il problema ricorrendo alle «unatantum»: 19,3 miliardi furono incassati con il condono tombale e furono cartolarizzati gli immobili pubblici senza però migliorare i conti dello Stato. Anzi, gìà nel 2005 la Ue estrasse il «cartellino rosso» e ci mise sotto accusa per deficit eccessivo (giunto al 4,3%). Dopo la parentesi di Padoa Schioppa, che nel 2007 ridusse il deficit - Pil al 2, 7%, siamo tornati nella tempesta: dovuta, in parte, alla crisi internazionale. Ma sono in molti a chiedersi se, ad esempio, i due miliardi destinati alla riduzione dell'Ici nel 2008 non potevano essere spesi per dare un po' di fiato all' economia e se, anche stavolta, si è persa l' occasione per risanare.

Tutto questo dunque nella tempesta di una crisi internazionale inevitabile per tutti e quindi anche per l’Italia ?

E’ Federico Rampini corrispondente de la Repubblica dagli States che ci illustra lo scenario di una nuova schiavitù di debiti incrociati che creano contagio globale

“Siamo tutti schiavi dei debiti.

Non solo del nostro debito pubblico, anche quello altrui. È una delle facce della globalìzzazione: i vasi comunicanti del credito non conoscono frontiere, la finanziarizzazione ha trasformato ciascuno di noi (spesso inconsapevolmente) in un debitore-creditore esposto ai giudizi dei mercati, l'interdipendenza avvinghia tutti. Ma questo è l'approdo finale di un' evoluzione voluta, che per lungo tempo abbiamo considerato positiva: la dipendenza dai mercati è stata teorizzata come un modo per rendere i nostri governi più oculati, meno demagogici e irresponsabili nella gestione delle finanze pubbliche. Se la Bee è costretta a "commissariare" il governo Berlusconi su mandato franco-tedesco e con la benedizione di Washington, è perché prima i mercati hanno sfiduciato la politica di bilancio italiana.

Angela Merkel, checché ne pensino i suoi elettori, non agisce per "altruismo europeista" quando deve farsi carico ob torto collo della crisi italiana, greca, spagnola: le banche tedesche detengono titoli pubblici italiani per l'equivalente di 190 miliardi di dollari, spagnoli per 238 miliardi, irlandesi per 184 miliardi, portoghesi per 47 e greci per 45 miliardi. In tutto superano i 500miliardi di euro. Questo significa chela sola esposizione delle banche tedesche verso gli anelli deboli dell' euro zona supera ampiamente le risorse del fondo speciale varato a Bruxelles per tamponare le bancarotte sovrane. Chi ripianerebbe quelle perdite, se non gli azionisti tedeschi, i risparmiatori tedeschi, i contribuenti tedeschi? La Francia sta peggio, per quantità di titoli pubblici italiani posseduti dalle sue banche: più del doppio rispetto alle banche tedesche. Ecco perché la sfiducia dei mercati verso l'Italia ha già lambito anche la Francia: attraverso le sue banche, la trasmissione del "male latino" sarebbe rapida e implacabile.

Questo si ripete, moltiplicato su scala ben più vasta, con il debito degli Stati Uniti. Il declassamento annunciato da Standard&Poor's è un problema globale, perché i titoli del Tesoro Usa sono nelle riserve di tutte le banche centrali del pianeta, nei fondi comuni d'investimento europei (soprattutto i più "sicuri", cioè i fondi monetari), nei fondi pensione, nel capitale prudenziale delle banche commerciali dove teniamo i nostri depositi. La dura reazione della Cina dopo il declassamento si spiega col fatto che la seconda economia mondiale è a sua volta vulnerabile: la sua banca centrale è pericolosamente squilibrata per il peso dominante dei Treasury Bond Usa nel suo bilancio. Qualunque perdita di valore - non parliamo di un default - sui titoli Usa si rifletterebbe nell'intero sistema bancario cinese. Rilanciando le critiche interne allo stesso partito comunista, dove un'ala nazionalista contesta da tempo il ruolo di "creditore" degli Stati Uniti.

Il debito americano è il più onnipresente nel resto del mondo. La Cina ne detiene quasi un decimo seguita da Giappone col 6,5%, Inghilterra col 2,4%, paesi Opec con 1,6%, Brasile 1,5%. Ma anche tutti gli altri paesi ne hanno la loro parte, il 10, 7% è suddiviso in un elenco interminabìle di altri creditori esteri "minori".

Sono frazioni percentuali per ciascun paese, ma sono frazioni pesanti perché misurate su un totale che si avvicina a 15.000 miliardi di dollari. In valore assoluto gli investimenti cinesi in titoli del debito Usa si avvicinano a 1.300 miliardi (inclusi quelli di Hong Kong), il Giappone supera i 912 miliardi. Alcuni paesi sono esposti anche attraverso investimenti in piazze finanziarie come Londra e Zurigo, il che spiega l'alta quota di debito americano in Inghilterra e Svizzera.


Come siamo arrivati fin qui? Per quanto riguarda il debito Usa, la sua diffusione globale è la confluenza di diverse evoluzioni. Da una parte c'è la dimensione assoluta di quel debito che cresce a gran velocità (era la metà di quello attuale, 7.800 miliardi, nel 2005) e non può essere tutta finanziata all'interno perché l'Ame rica non risparmia abbastanza L' altra faccia di questa carenza di risparmio domestico, è l'eccesso di importazioni che ha arricchito paesi come Cina, Giappone, Brasile: di qui i loro enormi attivi commerciali che vanno investiti in qualche modo. E i titoli del Tesoro Usa hanno il vantaggio di rappresentare la più grossa economia mondiale; inoltre sono molto "liquidi", si comprano e vendono molto facilmente nella più avanzata piazza finanziaria del pianeta. L'internazionalizzazione del debito americano aumenta al ritmo del 10% 'annuo. L'origine è antica: risale al fenomeno degli euro-dollari ai tempi dell'Amministrazione Nixon che doveva finanziare all'estero la guerra del Vietnam, prosegui con i petro-dollari quando l'Amministrazione Carter dovette fronteggiare il primo shock petrolifero. Il pensiero neoliberista, ma anche la sinistra ai tempi di Bill Clinton e Tony Blaìr, ha sposato l'idea che i mercati" disciplinano" gli Stati. Non è del tutto sbagliato: il debito pubblico italiano cresceva anche all'epoca delle restrizioni ai movimenti di capitali, ma veniva finanziato d'autorità dalle banche, cioè in ultima istanza dai risparmiatori.Senza che neppure se ne accorgessero.

E allora che bisognerebbe fare ?

Forse lo hanno detto Berlusconi ,Tremonti e Gianni Letta nel pomeriggio di venerdì 5 agosto 2011 , a mercati chiusi , in una conferenza stampa convocata dopo ampie consultazioni con governanti europei e americani.

Ed è Eugenio Scalfari che domenica 7 agosto così commenta

“La verità è che il governo italiano, dopo il nerissimo giovedì con Piazza Affari a meno 5,16 maglia nera delle Borse mondiali e lo "spread" a quota 389, è stato commissariato. In un paese normale il premier e il suo governo si sarebbero dimessi, ma poiché la maggioranza Scilipoti esiste

ancora, la soluzione dettata dall'Europa d'intesa con la Casa Bianca è stata il commissariamento.

Abbiamo ora un governo che deve eseguire gli ordini . che gli vengono dati da Berlino e da Parigi tramite Barroso da una parte e Trichet dall' altra. Soprattutto quest'ultimo perché la Bee è il solo braccio operativo che l'Europa può usare nel tentativo di raffreddare i mercati.

Del resto è ormai ufficiale che l'atto di commissariamento è stato scritto e inviato

al nostro presidente del Consiglio la mattina di venerdì con una lettera di Trichet controfirmata da Draghi che sarà a novembre il suo successore. In quella lettera sono fissate le condizioni: anticipare di un anno il pareggio del bilancio, iniziare da subito gli interventi per tagliare la spesa, avviare con decorrenza immediata interventi di stimolo per la . crescita del reddito e dell' economia reale.

Per questa ragione quei tre personaggi dietro quel tavolo la sera di venerdì sembravano burattini mossi da fili tenuti da altre mani; appena due giorni prima avevano esposto con sussiego una politica economica che non si spostava d'un centimetro dal rovinoso immobilismo d'una manovra che aveva rinviato tutto tra quattro anni. La maggioranza parlamentare aveva punteggiato di fragorosi applausi il discorso del premier. Il ministro dell'Economia, seduto alla sua sinistra, batteva anche lui le mani, felice della ritrovata armonia con il "boss"; il ministro degli Esteri, seduto alla sua destra, sottolineava gli applausi battèndo la mano sul tavolo dei ministri.

Dopo un giorno e mezzo tutto ciò è stato capovolto. «È passato un mese e il mondo è completamente- cambiato» ha detto Tremonti venerdì. È vero, è passato un mese, ma lui e tutta la banda mercoledì non se n'erano ancora accorti. Meno male che - non potendo dimissionarli li hanno almeno commissariati…..

Dal balbettio di Berlusconi e di Tremonti sì è capito che proporranno nei prossimi giorni alle commissioni competenti di Camera e Senato due disegni di legge di riforma costituzionale da essi ritenuti fondamentali: la modifica dell'articolo 41 e quella dell'articolo8I.

Il primo stabilirà, una volta modificato, che i cittadini sono liberi di assumere ogni tipo di iniziativa salvo quelle vietate dalle leggi. Si tratta di una pura ovvietà ma il veleno sta nella coda: spetta agli interessati autocertificare che non vi sono leggi che vietano le iniziative intraprese. La pubblica amministrazione farà controlli ex post. Dire che si tratta d'un potente incoraggiamento all'illegalità è dir poco.

Quanto all'articolo 81, si tratta di introdurre in Costìtuzione il pareggio del bilancio come principio inderogabile "salvo specifiche condizioni di emergenza". (terremoti, guerre, eccetera). Non si spiega però se il pareggio riguarda il bilancio preventivo o quello consuntivo o tutti e due. Ma c'è un'altra condizione non ancora detta però ventilata: che la spesa non possa superare il 45 per cento del Pil salvo un voto parlamentare a maggioranza qualificata,

Se passasse una riforma costituzionale del genere il tetto alla spesa che Obama ha a stento superato per evitare il default sarebbe uno scherzo: scomparirebbe ogni politica economica, ogni programma di investimento, ogni politica fiscale di redistribuzione del reddito, ogni politica estera, ogni politica della difesa ed ogni autonomia locale. Il governo sarebbe affidato non al Parlamento ma alla Corte dei conti e alla Ragioneria dello Stato.

Non credo che iniziative del genere troveranno appoggio nell'opposizione e faciliteranno coesione sociale. .Comunque ci vorrà un anno prima che l'iter parlamentare sia completato e ancor più se sarà necessario il referendum confermativo. Pensate che i mercati nei prossimi giorni si calmeranno per l'èffetto di annuncio di questi due sgorbi di riforma costituzionale?

Mario Monti infine attribuisce una precisa responsabilità ai governanti italiani : la perdita di tempo ,come scrive in un editoriale del Corriere della sera del 7 agosto 2011 :

“Nella diagnosi sull'economia italiana e nelle terapie, ciò che l'Europa e i mercati hanno imposto non comprende nulla che non fosse già stato proposto da tempo dal dibattito politico, dalle parti sociali, dalla Banca d'Italia, da molti economisti. La perseveranza con la quale si è preferito ascoltare solo poche voci, rassicuranti sulla solidità della nostra economia e anzi su una certa superiorità del modello italiano, è stata una delle cause del molto tempo perduto e dei conseguenti maggiori costi per la nostra economia e società, dei quali lo spread sui tassi è visibile manifestazione.

Crescita penalizzata . Nelle decisioni imposte dai mercati e dall'Europa, tendono a prevalere le ragioni della stabilità rispetto a quelle della crescita. Gli investitori, i governi degli altri Paesi, le autorità monetarie sono più preoccupati per i rischi di insolvenza sui titoli italiani, per il possibile contagio dell'instabilità finanziaria, per l'eventuale indebolimento dell'euro, di quanto lo siano per l'insufficiente crescita dell'economia italiana (anche se, per la prima volta, perfino le agenzie di rating hanno individuato proprio nella mancanza di crescita un fattore di non sostenibilità della finanza pubblica italiana, malgrado i miglioramenti di questi anni). L'incapacità di prendere serie decisioni per rimuovere i vincoli strutturali alla crescita e l'essersi ridotti a dover accettare misure dettate dall'imperativo della stabilità richiederanno ora un impegno forte e concentrato, dall'interno dell'Italia, sulla crescita.”

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, lunedì 8 agosto 2011


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