sabato 20 febbraio 2010

STORIE E VOCI DAL SILENZIO 4 C'è spazio per il perdono nel processo penale ?

La riflessione che segue viene suddivisa in due post per agevolare la lettura.La prima parte è composta da “C’è spazio per il perdono nel processo penale?”un contributo alla Tavola Rotonda della Fondazione Studi Celestiniani per la Pace tenutasi nell’Eremo francescano di S. Angelo d’ Ocre ,L’Aquila il 26 agosto 2006
La seconda parte è rappresentata da un articolo di “Gli Altri” del 22 gennaio 2010 dal titolo “Giustizia: dimezzare detenuti, invece di raddoppiare le carceri”di Piero Sansonetti del Coordinamento Nazionale Funzione Pubblica della CGIL Polizia Penitenziaria che mi piace ospitare e che completa appunto l’iniziale riflessione.


Contributo alla riflessione sul tema :C’E’ SPAZIO PER IL PERDONO NEL PROCESSO PENALE ?Tavola rotonda della Fondazione Studi Celestiniani per la Pace, Consorzio Celestiniano. -Sabato 26 agosto 2006- Eremo Francescano “ S. Angelo” di Ocre (L’Aquila).di Valter MARCONE Direttore Istituto Penale Minorenni e Centro Prima Accoglienza di l’Aquila, servizi del Ministero della Giustizia, Dipartimento della giustizia minorile.


E’ possibile trasporre la carità evangelica nel mondo del diritto, ed in particolare del diritto dello Stato ed è traducibile in norme giuridiche il precetto “ ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra, a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello”?

E’ vero che la legge dell’amore dona a tutti una via verso la salvezza, ma sottrae anche a tutti la certezza della giustizia, dei propri diritti?

Disse Caino al Signore: “Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono! Ecco tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere”.
Ma il Signore gli disse : “Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte”..
Il Signore impose a Caino un segno perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato.
(Gn.4,13-15)

Signore
fammi capire
che l’essere disposto a perdonare
è uno dei più grandi segni di forza,
che il desiderio di vendetta
è una delle manifestazioni
della debolezza
( Alì Amin Il coraggio del Perdono. Canti della spiritualità mussulmana. Salmi Sufi)

Signore perdonami per ciò che conosci di me
Meglio di me stesso.
Se commetto nuovamente un errore,
Signore,
concedimi di nuovo il tuo perdono.
( Alì Ibn Abi Talib)


Siamo certamente abituati ai nostri linguaggi professionali, familiari, di gruppo, che sono la condizione universale della comunicazione e alla nostra lingua che è la concretizzazione della condizione di una società.
Ma siamo altrettanto abituati al timbro e al carattere di singolarità delle parole che compongono lingua e linguaggi?
Abbiamo qualche volta riflettuto sul fatto che la parola è singolare e si differenzia dalla lingua che è sociale?
Riusciamo a dare singolarità e carattere a parole come perdono. spazio, processo, penale ?
La forza comunicativa di una parola è caricata di una certa esperienza, di una certa biografia individuale.Esiste una parola che è mia per la sua forza evocativa, per la sua creatività. Io la vivo, la esprimo, è in me; ha una sua densità che difficilmente può essere rivissuta da chi ascolta con la stessa forza.
E allora è possibile riflettere sulla parola “perdono”, o sulla parola “ spazio” o sulla parola “processo”?
E’ un tentativo quello che segue, un tentativo e un contributo .


Quando nel mezzo di una mattinata indaffarata ho visto Padre Quirino affacciarsi alla porta della mia stanza,tra il piacere di vederlo personalmente e la sorpresa dell’invito, ho avuto solo il tempo di leggere il tema di questa tavola rotonda e di assicurare la mia presenza e quella di alcuni collaboratori.
A distanza di qualche ora ho riletto il tema e la sua breve presentazione e mi sono domandato : “ Che cos’è il perdono?” “ Che cosa è un processo penale?”
Mi sono apparsi due scenari lontanissimi dalle preoccupazioni professionali quotidiane.
Lontani dalla realtà di ogni giorno di un piccolo istituto penale per minori dove in media sono presenti da otto a dodici ragazzi , in quest’ultimo periodo tutti stranieri, clandestini, senza fissa dimora, senza familiari in Italia che provengono spessissimo da altri distretti .


Mi sono domandato che cosa sapessero questi ragazzi del perdono, del processo penale, delle difficoltà di una piccola struttura ad assicurare loro quel minimo di accoglienza e di ospitalità che le risorse a disposizione consentono, accoglienza che probabilmente sostanzia il rapporto tra perdono e processo penale, tra pena inflitta ed esecuzione della stessa.
Poi la riflessione ha preso altre strade e ha evidenziato altri interrogativi .
Riflessione e interrogativi che non possono non prendere le mosse dall’esame di tre argomenti particolari: le misure alternative alla carcerazione, il perdono giudiziale, la mediazione penale , quali strumenti che danno carattere di specificità all’intervento della giustizia minorile.

Saper punire, saper riaccogliere


L’esecuzione penale è oggi caratterizzata da due realtà complementari : da una parte decine di migliaia di uomini e donne vivono all’interno degli istituti penali, dall’altra decine di migliaia di uomini e donne espiano la pena fuori del carcere.
E’ questo il punto di arrivo di un percorso durato trent’anni in tema di esecuzione penale.Esecuzione penale in cui la funzione sanzionatoria della pena è immediatamente resa visibile dalle mura del carcere a differenza delle misure alternative che, pur dando altrettanta realtà alla pena sono una rete invisibile di relazioni umane e istituzionali, di rapporti giuridici e professionali.
Negli adulti nel corso del 2004 per esempio sono stati posti in esecuzione 32.085 affidamenti in prova; 14.645 detenzioni domiciliari, 3.489 semilibertà.
Nella giustizia minorile nell’anno 2004 i minori messi alla prova , art. 28, sono stati 2.011 mentre nel 2005 gli affidamenti sono stati 331, le detenzioni domiciliari 42, le semilibertà 6, a fronte di un numero di ingressi nel 2004 di 1.594 e di 1.489 nel 2005.
Dei 41.212 minori segnalati e quindi entrati nel circuito penale ne sono arrivati a procedimento solo 21.642.
Ai numeri sopra riportati di questa rete invisibile vanno aggiunte le sanzioni sostitutive di pene detentive o semidetentive applicate dal giudice della cognizione.
Pur rappresentando dopo il 1981 il primo esempio in tal senso dell’ordinamento repubblicano ( in quanto precedenti esperimenti del codice Zanardelli non furono ripresi dal codice Rocco perché ritenuti di modesta incidenza) le misure alternative presentano , malgrado il loro valore qualitativo, ancora una modesta incidenza quantitativa a venticinque anni dalla loro istituzione.
Certo è che il sistema italiano, come dimostrato dalla storia di trenta anni di esecuzione penale, è incentrato sulla irrogazione della pena detentiva e sulla commutazione della stessa in misure alternative.


Domandarsi a questo punto quale potrà essere il futuro dell’esecuzione penale è utile ma è domanda di non facile risposta.
Domandarsi invece se questa storia dell’esecuzione penale , così come delineatasi, può aiutarci ad affermare la necessità che la commutazione delle pene in misure alternative prenda il sopravvento è sicuramente la strada maestra per capire alcuni aspetti importanti del perdono.
Se il perdono è l’ultimo momento di un percorso che chiede ammissione di colpa, assunzione di responsabilità, denuncia dei comportamenti, emendamento ; se il perdono è chiedere perdono, perdonare , riconciliarsi con se stessi e con gli altri, perdonarsi, esso non può che essere l’ultimo momento di un percorso.
Il percorso delle misure sostitutive può essere finalizzato a questo?
E’ legittimo e utile chiedersi, riflettendo sulla storia dell’esecuzione penale, come avevamo iniziato a fare , che le misure alternative e sostitutive sono un percorso che danno sostanza al perdono ?
Se sosteniamo che comunque la detenzione svolge una funzione nel separare dal consorzio civile una persona condannata, la pena non detentiva ha bisogno di un determinato comportamento , definito d’intesa tra il condannato e l’agenzia che lo prende in carico per soddisfare anche quella condizione di separatezza che può realizzarsi non solo all’interno di un muro?
E’ possibile leggere il contenuto del comportamento comunemente chiamato “programma di trattamento” come un percorso per approdare al perdono?
E’ possibile allora estendere le misure alternative in modo che gradualmente guadagnino un peso numerico rispetto alle esecuzioni in carcere e tali appunto da rappresentare un nuovo modo di esecuzione della pena?
E’ possibile pensare alla capacità della nostra società, attraverso l’esercizio del perdono, di accogliere e riaccogliere con una circolarità che oggi si individua forse solo nell’indulto?

Accogliere anche il negativo : il perdono giudiziale

Nella cultura della giustizia minorile ,in realtà, una forma di perdono esiste da sempre ed è il cosiddetto perdono giudiziale.
Il processo penale minorile è caratterizzato da aspetti qualificanti tra cui i più importanti sono : gli accertamenti sulla personalità, la forte valenza educativa, l’assistenza affettiva e psicologica, il trattamento sanzionatorio mite.
Tralasciando i primi tre aspetti per economia di questa esposizione sembra interessante soffermarsi per la nostra riflessione sul trattamento sanzionatorio mite che può essere sintetizzato in tre punti:una speciale riabilitazione sia d’ufficio che su richiesta del pubblico ministero o dello stesso minore che abbia compiuto 18 anni con la cessazione di tutti gli effetti penali della condanna anche se può essere revocata se il soggetto compie un grave reato entro cinque anni; una speciale riduzione o annullamento della pena che viene ridotta di un terzo con la rinuncia spesso dello Stato alla sua potestà punitiva attraverso gli istituti giuridici del perdono giudiziale, del non luogo a procedere per irrilevanza del fatto e della messa alla prova; infine la scarsa applicazione delle misure di sicurezza ( limitazione del riformatorio ai reati per cui la legge prevede pena non inferiore al massimo di nove anni sostituendolo con il collocamento in comunità; esecuzione della libertà vigilata con le prescrizioni o con l’ordine di permanenza in casa).
Tra questi strumenti il perdono giudiziale ha dunque lo scopo di evitare che “… le brevi pene, specialmente per i minori costituiscano un male anzicchè un bene nell’opera di rieducazione,perché esse senza avere una vera e propria efficacia intimidativa, si possono risolvere per tutti, ma specialmente per i minori ,in una inutile diminuzione morale ed in un sensibile peggioramento delle qualità sociali dell’individuo…” (Relazione al D.L. 20 Luglio 1934 n.1404).
Contenuto del perdono è il proscioglimento definitivo ed incondizionato mentre la sospensione condizionale della pena comporta che accertata la colpevolezza dell’imputato sia anche inflitta la pena la cui esecuzione può essere sospesa a condizione che il condanna non commetta altro reato.


Il perdono giudiziale comporta il mancato rinvio a giudizio dell’imputato o la mancata pronuncia della condanna nel caso di giudizio già iniziato , può essere pronunciato in presenza di reati che non comportino una pena detentiva superiore a due anni o una pena pecuniaria superiore all’equivalente di seicentomila lire e quando c’è la presunzione che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.
Dunque il “…perdono giudiziale venne introdotto dal codice penale del 1930 e successivamente contemplato nelle disposizioni istitutive del Tribunale per i Minorenni del 1934. L’istituto emanato in piena epoca fascista doveva assolvere ad una funzione di ammonimento pienamente corrispondente con il paternalismo autoritario proprio di tale regime. Dopo l’introduzione della Costituzione repubblicana l’istituto mantenuto in vigore,venne interpretato alla luce del principio rieducativi contenuto nell’articola 27 del testo costituzionale. A partire dagli anni ’70 il perdono giudiziale, interpretato sulla base del principio della minima offensività, venne visto come un istituto che permetteva l’evoluzione armonica della personalità del minore e il suo reinserimento nella società, evitando l’afflizione della condanna…”

Riconciliazione : incontro tra vittima e autore del reato

Sempre in termine di perdono è il caso di esaminare un aspetto della MEDIAZIONE PENALE che instaura un percorso per arrivare almeno alla riconciliazione se non al perdono.
Anche in questo caso si può parlare di una specificità della giustizia minorile essendo questa nuova “ strategia giudiziaria” adottata quasi esclusivamente nel sistema della giustizia minorile.
La mediazione è in questo senso un “ incontro” tra la vittima e l’autore del reato.
In estrema sintesi l’obiettivo della mediazione penale è obiettivo di una strategia molto antica che tende a realizzare la “ pacificazione tra le parti e/o la riparazione diretta di eventuali danni subiti dalle vittime”
Se la mediazione penale può apparire marginale in quanto viene adottata prevalentemente nell’ambito della giustizia minorile è ad onore di quest’ultima che va detto che essa ha sempre rappresentato nella storia del nostro paese un laboratorio di sperimentazioni per nuove strategie giudiziarie e nuovi istituti giuridici.
Sperimentare la pacificazione tra le parti (perché la mediazione è occasione unica in cui il reo può essere messo a confronto con la vittima) è una straordinaria “creazione di spazio” nell’iter penale del minore per realizzare opportunità rieducative e di “diversion”.
Uno spazio prevalentemente ancora “ informale” e “ sperimentale” anche se “ una ricerca sull’applicazione dell’istituto della messa alla prova nell’ambito del processo penale minorile ( art. 28 D.P.R. 448/88) aveva mostrato che a Bari la stragrande maggioranza dei progetti includeva strategie e modalità riparative di mediazione indiretta ed iniziava ad essere applicata anche la mediazione diretta ( Mestitz : Mediazione penale , chi, dove , come e quando ,Carocci ,2004 , pag. 14)
Mediazione penale dunque , “terra di mezzo “, come la definiva Pisapia. Uno spazio in cui viene posto in evidenza l’aspetto relazionale del conflitto nascente dal reato e la possibilità di intervenire per attivare processi di responsabilizzazione rispetto alle conseguenze delle condotte penalmente illecite.


Uno spazio che restituisce ai protagonisti la gestione della controversia proponendo una lettura “ della relazione autore –vittima del reato che tende ad essere non conflittuale ma consensuale- compensativa…” rappresentando la mediazione “… il risultato di una maturata consapevolezza della necessità di risposte non punitive, diverse dalle sanzioni penali tradizionalmente intese…”
Allora, è possibile pensare, proprio perché la mediazione legge il reato nella dimensione relazionale, che la ricerca di responsabilità, il fatto reato, il conflitto sociale da questo generato siano un pretesto per creare un momento di incontro tra soggetti ( che diversamente non avrebbero altre possibilità per farlo) per definire e ridefinire un progetto relazionale, un progetto di cambiamento?
L’offeso ha la possibilità di comprendere il comportamento del reo, l’esperienza del suo pentimento e la riparazione soddisfacente.
Il reo è messo in condizione di prendere coscienza e constatare direttamente le conseguenze umane e materiali della propria azione.
Anche se non c’è riconciliazione, la mediazione restituisce una parte di sé a ciascuno dei protagonisti ridando dignità alla vittima e possibilità di recupero al reo.
E’ un patto di reciproco rispetto.
Il rispetto comune, dunque.
E’ questo allora il percorso che apre le porte alla riconciliazione ,al chiedere perdono, al farsi perdonare , al perdonarsi?


La mediazione penale crea uno spazio straordinario.
E’ possibile leggere lo spazio del perdono come una pluralità di spazi ed è possibile leggere il perdono così in termini laici.
E’ possibile riflettere, parlare del perdono non in termini di chiese né in termini di eresia o di ortodossia attraversando questo tema un territorio in cui l’eretico insiste nella sua eresia e l’ortodosso nella ortodossia ,alla ricerca delle verità?

Lo spazio dell’anima: lo spazio della solitudine


C’è uno spazio della condizione esistenziale che secondo le parole magistrali della poetessa Emily Dickinson è quello dell’anima che è sola con se stessa quando cerca il perdono:
C’è una solitudine dello spazio
una solitudine del mare
una solitudine della morte,ma
sono tutte compagnia
paragonate a quell’altro spazio più nel fondo
quella privatezza polare:
un’anima sola con se stessa
finita infinità.

Lo spazio del doppio

L’uomo è fondamentalmente attraversato da una tensione di contrari, di forze opposte e l’incontro con la propria controparte negativa è un passo fondamentale per la crescita psicologica. Si può dire che l’uomo “ innocente” non entra mai nell’esistenza, perché solo chi è capace di “peccare” paga un tributo alla vita; se non si ha un male interno che ci costringe a confrontarci con noi stessi e con gli altri, accettando l’impegno e il rischio personale, non c’è possibilità di avanzamenti e di nuove scoperte, sul piano collettivo come su quello personale.
Lo spazio del perdono è anche lo spazio del doppio, lo spazio della ricerca del proprio male e la voglia di confrontarlo con gli altri per crescere in responsabilità e in certezze?
E’ il Demian di “ Il lupo della steppa” di Herman Hesse che nell’offrirci questa lacerazione perturbante con l’incontro del proprio doppio che può aiutarci laicamente a credere nel perdono?
E Jung con la sua libido demoniaca può aiutarci anche lui quando afferma che se il male potesse essere debellato definitivamente, divino e demoniaco soffrirebbero una notevole perdita ?

Lo spazio della ricerca

Può aiutarci questo spazio che è quello del desiderare impegnandosi in qualcosa di sconosciuto che proietta in avanti e fa di una creatura vivente un uomo ? Lo spazio dell’uomo è quello di essere proiettati in avanti. Sartre diceva che “ l’uomo è in primo luogo ciò che si slancia verso un avvenire e ciò che ha coscienza di progettarsi verso l’avvenire”.
E il perdono , non è ricerca di avvenire, di cambiamento , di possibilità di ricominciare da capo?

Lo spazio dell’infinito umano : l’amore

Goethe in “ Le affinità elettive “ celebra i sentimenti di Edoardo per Ottilia:
“ Nei sentimenti come nelle azioni di Edoardo non c’è più misura. La coscienza di amare e di essere amato lo trasporta nell’infinito. Come è mutato per lui l’aspetto di tutte le stanze, di tutti i dintorni. Nella sua stessa casa non si ritrova più. La presenza di Ottilia assorbe tutto: egli è immerso in lei, nessun’altra considerazione gli si presenta, nessuna coscienza gli parla; ogni freno della sua natura è spezzato, tutto il suo essere si espande verso Ottilia”.
E’ questo lo spazio dell’amore dunque che cambia le cose, che spezza i freni della natura: E questo amore può aiutarci a volte a chiedere il perdono e perdonare?

Lo spazio dei valori e dei conflitti

La trasmutazione di tutti i valori operata da Nietzsche nel suo “ Così parlò Zaratustra” affida al cammello e al leone la rappresentazione allegorica di due diversi stati di coscienza individuale : il cammello l’uomo prigioniero di un mondo di valori fissi cui sottostà docile e rassegnato; il leone, l’uomo trasformato da una metamorfosi che si sbarazza del peso che lo opprime e combatte contro la morale a lui esterna per “ prendersi il diritto di creare nuovi valori”.
E’ questo lo spazio della metamorfosi ma è anche lo spazio del dubbio perché la presa di coscienza non è la risoluzione dei problemi ma segna l’entrata nel mondo del dubbio. Lo spazio del dubbio dunque ,che è sempre possibile e che quasi sempre deve essere ben accetto, può aiutarci a capire che il perdono è frutto della presa di coscienza e che l’uomo” che rifiuta di sottostare, come diceva Jung, alle leggi del collettivo si ritrova nelle “tenebre di un conflitto di doveri”.
Il perdono è un dovere?

Lo spazio del male

Che possibilità ha di affermarsi in un mondo globalizzato, dominato da alcuni assolutismi e fondamentalismi, una cultura dell’esistenzialismo collettivo a carattere pragmatico che rinunci alle passioni totalizzanti per ancorarsi saldamente al valore del riconoscimento reciproco degli uomini che vivono la stessa condizione di esistenza con la loro incapacità di accettare proprio le condizioni dell’esistere , la sua insuperabile incertezza, il contrasto tra la gioia di esserci e l’angoscia di non sapere, la consapevolezza del limite e della morte.?
Non lo so . So di certo che questa incapacità di guardare in modo positivo all’esistenza ha scarso fondamento e provoca spesso il tentativo di evasione, di disconoscimento della solidarietà che ci lega come uomini ( che appunto condividono questa condizione) e genera il male.
Il male che nasce anche dal potere e dal possesso quando sono fini a se stessi.
Il male originato fondamentalmente dall’assenza del riconoscimento di tutto ciò che nega la condizione dell’esistenza umana, la relazionalità, lo scambio reciproco che accompagnano gli uomini nei vari tempi della vita dall’infanzia alla vecchiaia , il male dunque è lo spazio di esercizio di questo modo di vivere di oggi? Ma è possibile invertire la tendenza e guardare ai valori appunto esistenziali tra cui c’è anche il perdono?
Queste considerazioni possono aiutarci a capire allora se lo spazio del male , come sopra è stato inteso , può essere aggredito dal perdono come capacità esistenziale che stabilisca e ristabilisca il vincolo di solidarietà tra gli uomini in quanto appunto uomini e compartecipi della stessa natura?

E’ possibile ragionare da laici in tema di perdono? Date a Cesare…

Il problema dei rapporti tra “ messaggio cristiano e sistemi giuridici assume connotati difficili quando si tenta di porre in rapporto le parole di Cristo e il diritto penale. L’Antico Testamento offre una chiave di lettura più agevole per affrontare i problemi giuridici penali. In quanto in esso è presente una legge data da Dio agli uomini e come ogni legge individua dei doveri che devono essere rispettati con l’intesa che alla violazione della legge segue una sanzione.Chi osserva il patto ha l’aspettativa di essere valutato giusto e quindi di non essere punito.
Diversamente risulta incomprensibile, sul piano della legge umana l’unione tra le parole comando ed amore perché frutto proprio di quella legge dell’amore instaurata da Cristo.
In nome dell’amore il figlio di Dio è salito sul patibolo e così ha riscattatate tutte le colpe dell’uomo, le ha espiate. A quel sacrificio tutti possono attingere e quindi la conversione cancella la colpa e forse anche la pena.
Questa impostazione riferita in breve sconvolge gli schemi su cui si fonda la vita di relazione; come è possibile che l’operaio che si presenta al lavoro all’ultima ora riceva la stessa paga di chi ha lavorato tutto il giorno?
Ma l’analisi sarebbe oltremodo lunga .

E’ possibile allora, per tornare al nostro discorso accettare il fatto religioso nello spazio pubblico; è possibile non relegarlo al privato sostenendo che le religioni hanno una dimensione sociale che non può essere negata?
La parola perdono è ontologicamente incompatibile con lo Stato?
I tribunali dello Stato non reprimono peccati ma solo alcune condotte ritenute socialmente dannose ed espressamente previste nel codice penale che appare necessario colpire con una sanzione giuridica adeguata allo scopo di difendere la pace sociale. La giustizia nelle aule giudiziarie non deve giudicare l’uomo ma i suoi atti. Anche perché stando al “ non giudicate se non volete essere giudicati” porterebbe l’uomo di legge che si sentisse “giusto “ rispetto al delinquente a cadere nella colpa del fariseo che esalta se stesso nel confronto del pubblicano e contraddirebbe alle parole di Cristo “ chi è senza peccato…”
Lo Stato non è capace della generosità del perdono ma solo di calcoli di opportunità che possono indurlo ad amnistie o condoni ?
Obiettivo della giustizia dello Stato è la rieducazione ,non la redenzione del reo.
Sembra allora che il discorso possa essere chiuso.
Eppure.

E’ possibile per i cristiani vivere una pratica della laicità vigile e accogliente chiedendo allo Stato che in nome della laicità difenda la libertà di coscienza, vegli affinché sia possibile una coesistenza sociale pacifica tra le componenti della società, si opponga ad ogni forma di violenza utilizzata per far prevalere idee e convinzioni religiose senza “ TUTTAVIA DIMENTICARE CHE LO STATO E’ LAICO ,MA LA SOCIETA’ CIVILE NON LO E’?
E’ possibile per i cristiani affermare che la memoria eversiva del Vangelo non è “la religione civile” ma è “ buona notizia” che va comunicata e fatta risuonare, è parola che chiede conversione e profezia liberante per gli uomini e le donne di questo tempo?
Enzo Bianchi nel suo “ La differenza cristiana”, Torino ,2006, individua a questo proposito degli interrogativi.
Le religioni possono essere accusate di proselitismo e di intolleranza o di discriminazione quando esprimono in pubblico le loro convinzioni etiche, il loro sguardo sull’uomo e sul mondo?
In una società pluralista come si fa ad evitare che le religioni esprimendosi pubblicamente diventino gruppo di pressione e le loro convinzioni leggi anche per quanti non fanno riferimento ad una fede?
Ci sarà la possibilità per i cristiani di dire pubblicamente il loro disaccordo senza organizzarsi in crociate o senza indurire la loro identità, arroccandosi in una opposizione ostile alla società?

In tema di perdono è possibile rispondere a questi quesiti ?
Senza logica di inimicizia e di creazione di un avversario, il confronto su questo tema è possibile e i cristiani devono imparare ad esprimersi in termini che non sono né dogmatici,né soltanto sostenuti dalla loro fede ma devono usare un linguaggio antropologico comprensibile a tutti e quindi capace di mostrare le ragioni umane che sostengono le loro scelte.

Parlare di perdono con capacità e modalità di dialogo e dimostrare di essere al servizio dell’umanizzazione di ogni persona e della collettività è difficile ma è l’unica strada per una società segnata da giustizia , pace, rispetto del creato e della dignità dell’uomo.
Senza dimenticare che in una società pluralista che si vuole democratica, le leggi si costruiscono con gli altri perché se i principi e le scelte religiose diventassero leggi imposte agli altri avremmo un totalitarismo religioso non dissimile dagli atteggiamenti teocratici e integralisti di cui non mancano esempi.

Sono possibili allora leggi che contemplino il perdono nel processo penale?
Probabilmente no. Sicuramente no fino a quando , ed è sempre Enzo Bianchi che ci aiuta a riflettere, continuerà ad emergere “ un cristianesimo finora inedito che non ha più come fondamento e ispirazione la parola di Dio contenuta nella Scrittura,un cristianesimo che non vuole più essere giudicato nel suo essere o meno evangelo ,un cristianesimo che preferisce essere declinato, come religione civile, capace di fornire un anima alla società…. E poco importa se questo significa che il vangelo perde il suo primato, che non ci sia più possibilità di profezia … Sì, non più la testimonianza dell’amore di Dio per gli uomini , non più la sua parola sono criterio di autenticità e comunione, ma un progetto politico riguardante la presenza e il peso della chiesa nella società…non si guarda più se in una persona sono presenti quelle obbedienze al vangelo che fanno il cristiano, nonostante e al di là delle fragilità umane che sempre lo accompagneranno; si guarda invece alla capacità di assumere il cristianesimo come identità culturale, come istanza religiosa nel pluralismo delle fedi, come possibilità di coesione in un mondo frammentato e diviso…”

E se per assurdo questo tipo di cristianesimo riuscisse a parlare di perdono nel processo penale di che tipo di perdono parleremmo?

Invece è ipotizzabile un’etica comunitaria condivisibile nel pluralismo delle fedi e delle religioni che faccia del perdono il tema di un dialogo franco ed autentico in cui l’esistenza umana trova il suo valore nella relazione di qualità tra gli uomini?
Una qualità che nell’attuale società connotata appunto da relazioni fragili e conflittuali , di tipo consumistico esprima la possibilità appunto alternativa di relazioni gratuite, forti e durature cementate dalla reciproca accettazione che sono forse la sostanza del perdono umano?
A volte grandi silenzi, a volte una parola chiara sono le caratteristiche dellaa presenza dell’annuncio profetico. Il perdono è dunque un annuncio profetico?Ha bisogno di silenzi e di parole chiare?

E’ possibile leggere il perdono in termini laici e di processo penale?

E torno alla mia esperienza professionale.
Il perdono è da una parte stare insieme alle persone detenute camminando non al passo severo ed impetuoso della legge ma con quello leggero e pieno di pace che porta all’incontro, alla voglia di intraprendere nuovi cammini privilegiando il pane del perdono alla pietra della legge.
“Chi tra di voi , se un figlio gli chiede un pane gli darà un sasso? ( Mt 7,9)
La legge e il pane del perdono.
E’ Pilato che dice “ noi abbiamo una legge…” e ancora lo stesso Pilato “ Non mi parli? Non sai che ho il potere di mettere in libertà, oppure…”


E Paolo dice al discepolo Timoteo “… non vergognarti di me che sono in carcere per lui, ma soffri anche tu con me …aiutato dalla forza di Dio …” (2 Tm 1,7).
Il perdono è dunque anche non vergognarsi dell’altro, quell’altro da me, quello diverso che mi domanda sempre :”…Che cosa è permesso…salvare la vita di un uomo o lasciarlo morire? “( Lc 6,9)
Se il modello evangelico del perdono si rivela come “ sapienza” per la nostra società, il perdono , che nella persona è frutto della conversione ( vedi Zaccheo) nella società è frutto di ragione.
Il perdono laico non è una cancellazione che lascia tutto come prima ma un elemento e una condizione del cambiamento che mentre adopera le misure necessarie a proteggere la comunità si preoccupa di impedire il ripetersi dell’offesa.
La parola perdono nel sistema penale ,afferma il cappellano Paolo Dal Fior nel suo libro Il cacere del pane azzimo :”… non è usata spesso ( se non solo riguardo ai minori ) ma l’idea strisciante di perdono si afferma con risultati in alcuni casi visibili: la coerenza nel contrapporre al sistema criminale un sistema di valori basati sul rispetto dell’altro e sul ripudio della violenza; la ricerca di fattori che hanno indotto al crimine e il tentativo di modificarli; l’incentivo, l’offerta di opportunità di cambiamento individuale e la diminuzione della conflittualità nelle carceri; gli esempi di recupero, di iniziative di lavoro, di attività che costituiscono forme di riparazione sociale certamente più efficaci dello spreco di tempo e risorse della pura detenzione; non ultima la speranza e la minore sofferenza delle famiglie innocenti dei condannati…”
La pena dunque non è una vendetta, non è inchiodare l’altro al suo gesto e ridurlo a quello, bloccare la società nell’offesa ricevuta, come se in quegli episodi , sanzionati con la pena, sia rinchiuso e perso il significato della vita delle persone e della storia della nostra società.
E’ possibile guardare alla vita delle persone quando si parla di perdono ed è possibile parlare di perdono guardando alla vita come sentinelle .
La domanda “ Dov’è tuo fratello?” non è già domanda di “grazia”( confessando ) e di perdono ( con il rendimento di responsabilità)
L’inquietitudine di questa domanda ci fa però cambiare prospettiva.

C’è spazio nel perdono per il processo?
Quale giudice segue il “suo” condannato fino al termine della pena?
Non il giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna.
C’è uno spazio tra il momento della comminazione della pena e il momento dell’esecuzione che sembra impercettibile essendo le due azioni consequenziali.
Ma è un spazio enorme e non è lo spazio del perdono . E’ lo spazio di un “processo penale” che mette assieme queste due cose : la comminazione della pena e l’esecuzione della stessa. C’è spazio allora nel perdono per il processo penale?

Il diritto di perdonare?

“Ma chi vi dà il diritto di perdonare ?” è l’angosciosa domanda che Primo Levi rivolge ai “ perdonisti”.
E’ una domanda di ragione e di senso quando il perdono che passa attraverso l’espiazione della pena che sta lì per favorire la rieducazione non comporta la possibilità di un’attività lavorativa, un tenore di vita non degradante, la possibilità di un minimo di intimità e di isolamento rispetto agli altri condannati .
E’ una domanda che ne sottintende tante altra ma fondamentalmente una : senza queste condizioni è forse meglio non perdonare?


Eremo di Via Vado di Sole, L'Aquila, sabato 20 febbraio 2010

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