venerdì 17 settembre 2010

VERSI D'ALTRI E ALTRI VERSI : Saba nel ricordo di Ungaretti

VERSI D’ALTRI E ALTRI VERSI : Saba nel ricordo di Ungaretti


Fu nel 1913 a Parigi, e uno che veniva a Firenze mi disse nel vedere che mi accaloravo discorrendo d’un libro, che somigliavo,per gli argoemti cui ricorrevo e il modo di presentarli ad un suo amico poeta , e non disse Saba, ma un altro nome, e capii subito che si trattava di Umberto Saba che ancora non conoscevo di persona , ma del quale avevo letto poesie sulla Voce, se ricordo bene, e certamente Coi miei occhi, uscito l’anno prima.

Nel 1922 o nel 1923 , ero di passaggio a Torino e Giacomo Debenedetti che faceva in quegli anni Primo Tempo mi parlò di Saba con ammirazione tanto convincente che mi avvicinai a Saba come al solo poeta di quel momento che mi potesse capire . Saba mi mandò subito da Trieste un quaderno che conteneva le strofe ricopiate di sua mano del poemetto L’uomo e, più tardi, nel 1931, quando Preda ripubblicò la mia Allegria , molto ritoccata dopo la pubblicazione del 1919 ( o nel 1923, forse quando riprendendo il vecchio titolo della prima stampa in volume di mie poesie, Il porto sepolto, Ettore Serra raccolse a La Spezia ,per primo in volume quella parte di poesie del Sentimento del tempo cui già avevo dato forma , ripubblicando unitamente l’Allegria in una stesura non molto dissimile da quella dell’edizione Preda) (ma rileggendo il presente mio scritto ,mi accorgo che nella Storia e Cronistoria del Canzoniere, la data è da

Saba stesso posta verso il 1925) (lascio la registrazione del succedersi delle mie titubanze per mostrare come sia difficile , anche per chi sia stato direttamente legato ad un fatto, darne la data giusta ), Saba ebbe la pazienza di confrontare i due testi , e preparò e mi fece avere un terzo testo, nel quale alcune delle correzioni erano state accolte, e respinte numerose altre. Non ne feci nulla. Modi questi di Saba , che facevano parte di un suo agire cordiale e delicato per impadronirsi di sogni diversi dai propri e per aiutare nello stesso tempo l’altro a superare le difficoltà espressive nelle quali si dibatteva. Erano prove di una gentilezza d’animo e di una lealtà giaà a quei tempi rare, ma ancora in onore, nei rapporti tra poeta e poeta. Erano modi che oggi mi sembrano interamente spariti dal costume.

Nel 1925 Eugenio Montale pubblicò gli Ossi di seppia, e da qual tempo l’uso invalse nella critica di citare uniti i nostri nomi , quello Saba, quello di Montale, e il mio, per rilevare differenze , per indicare ciò che ci era comune nelle aspirazioni, o anche per opporci, a volte acremente,l’uno all’altro. Era ormai consuetudine di lunghi anni sentirmi unito ai miei due compagni nell’opinione che seguiva il lavoro di ciascuno di noi. Spesso sono stato ingiusto e verso l’uno e verso l’altro. Sono un uomo con le umane debolezze. Oggi è partito il maggiore per gli anni , e anche il maggiore per la bontà, oggi uno di noi tre manca per il proseguimento del lavoro e il mio lavoro , è già tanto stanco.

Nel 1939 ero di ritorno a Roma da San Paolo del Brasile dove insegnavo , per una breve vacanza. Erano entrate in vigore da noi le leggi razziali , e Saba, che non avrebbe più potuto gestire la sua bottega di libri antichi, e che temeva per la sua famiglia e per sé anche più gravi persecuzioni, era partito fuori di sé per Parigi , minacciava di uccidersi, poi, sempre più sconvolto , era arrivato a Roma.

Venne con Adriano Grande a trovarmi , era la prima volta che lo conoscevo di persona, e andammo tutti e tre a vedere Enrico Falqui , e poi incontrammo Malaparte. Malaparte ci disse che un comm. Della Pera , o ne sbaglio involontariamente il nome,che era il prefetto che dirigeva le discriminazioni razziali ,era amico dello scultore Arturo Dazzi. Dazzi abitava, e abita ancora, una villa al Forte dei Marmi vicina a quella di Malaparte. Malaparte ed io partimmo per il Forte. Dazzi accettò subito di scrivere o di telefonare al Prefetto di cui ricordo male il nome, e ne chiedo scusa , il quale poi una sera ricevette in casa sua Falqui e me e ci ascoltò e ci fece delle promesse. Poi i ragazzi delle scuole fecero delle dimostrazioni contro la Francia, e crebbero da parte mia i discorsi imprudenti , ed ebbi anch’io la mia disavventura. Mentre stavo per partire da Roma e andarmi ad imbarcare a Genova, e il salone dell’Albergo d’Inghilterra era pieno d’amici venuto a salutarmi, fui fermato. Mia moglie e i mei bambini erano rimasti a S. Paolo e sarebbero rimasti soli e senza mezzi in un paese lontano, se non fossi potuto tornare laggiù a guadagnare da vivere per essi e per me. Si ricorse a Mussolini , e diede ordine che mi lasciassero tranquillo. Mi tolsero solo la tessera.

Avevo perso la nave e ne aspettavo un’altra , e per distrarmi qualcuno mi condurre alla Quadriennale che s’inaugurava. C’era con altri nostri amici, Saba, e mi venne incontro. Era curvo, strizzato nelle spallucce un po’ per il freddo un po’ per consuetudine , e con l’occhio spaventato e mansueto e ironico , sotto la sua angoscia d’inseguito , ma l’animo gli balzava più pronto che mai a compassione premurosa verso chiunque gli pareva soffrisse. Aveva il portamento che gli rividi poi sempre e mi sussurrò: - E’ stato per colpa mia,perdonami _No, caro non è stato per colpatua.- risposi.

Nel guardarlo bene imparai che il dolore :

ha una voce e non varia

Questa voce sentiva

gemere…

Nessuno ha più di Saba sentito nell’intimo se la presenza del nodo di dolore che da infiniti secoli nell’uomo si fa più stretto da generazione a generazione, e la stretta di tanto dolore nessuno l’ha espressa con familiarità uguale alla sua , con quella grazia sua che resterà unica :

ancora

giovane, ancora

sei bella. I segni

degli anni , quelli del dolore, legano

l’anime nostre , una ne fanno…

La luce del dolore e brama nella tenebra carnale accendevano i suoi sogni. E anche l’ingenuo vivere e l’ingenua dedizione e l’illudersi ingenuo, con sorridente meraviglia colti insuperabilmente in quel capolavoro da petit maitre olandese (ma erano, tutti sanno,grandi maestri ) che è la sua poesia a mia moglie:

ti ritrovo in tutte

le femmine di tutti

i sereni animali

che avvicinano a Dio,

e in nessun altra donna.

Di riconoscimenti, salvo quello della critica e dell’opinione, unanime nel sentirne la grandezza ,non ebbe se non la laurea “honoris causa” conferitagli qualche anno fa dalla facoltà di lettere dell’Università di Roma. Era certo un alto onore ed eccezionalmente conferito a poeti e dopo di lui , a Roma l’avrà Eliot in novembre e nessuno l’ebbe, credo prima. Fece, per ringraziare, un discorso , un popolino, come sapeva,screziato d’umorismo,sugli studi che aveva fatto,regalò così a noi professori che lo festeggiavamo, uno dei suoi raccontini più indovinati , e sentiamo che lui onorava noi e non noi lui , e che era condiscendenza sua essere venuto tra noi per onorarci con garbo impareggiabile.

Le giurie, tutte, furono sempre avarissime , anzi crudeli con lui , e non ebbe che povertà. Avrà per premio l’attenta gratitudine delle generazioni che verranno.

Caro Saba, sei partito, ma eccoti riapparito accanto a noi come ti vedevi nel ritratto di Bolaffio:

La notte vede più del giorno.

Parte

di quella ancora,ad occhi aperti sono

il montone dipinto da Bolaffio,

che solo torce di tra il branco il muso

umano.

Non vano

godimento ne provo; quasi vivo

fosse l’amico che pur ieri è morto.

Eremo Via vado di sole, L’Aquila venerdì 17 settembre 2010






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