Scrive Giacomo De Benedetti: “ In Saba è rimasto, inalterabile, un fondo di fanciullo e di popolano. La delicatezza e l’incanto di certi suoi impasti par che dipendano proprio da questo: che l’uomo, con la sua serietà morale, ha dato un significato spirituale e intelligente ai vezzi del fanciullo ,pur rispettandone la vivace fragranza primitiva ; e che l’intellettuale , con la sua cultura, ha scoperta una grazia fine alle preferenze del popolano”. E continua :” La qualità e la larghezza della materia su cui Saba lavora, son presto indicate e oltremodo significanti : si tratta di tutta intera la sua passione individuale ; accettata come cosa di natura, con i suoi limiti che si patiscono , meglio che non si definiscano : e quasi senza preoccupazioni di redimerla dall’immediata biografia in cui nasce.”
Umbro Saba nasce a Trieste nel 1883 e muore a Gorizia nel 1957. Il vero cognome del poeta era Poli in quanto la madre un’ebrea povera del ghetto aveva sposato Poli e ne era stata abbandonata prima che Saba nascesse.
Della sua infanzia lo stesso Saba ricorda : “ Bruciai in un falò di gioia i testi classici, divenuti per me , per mancanza d’amore , troppo difficili, impossibili addirittura ; frequentai per poco tempo l’Accademia di Commercio e Nautica e presi quindi un impiego per diventar poi _ come speravo allora – un bravo, un onesto, uno stimato commerciante”E così fu . Dopo un’esperienza come mozzo su un Mercantile Saba esordì con la sua prima opera appunto con il nome di Saba, divenuto poi famoso, con Il mio primo libro di versi ( 1903) Arruolatosi volontario fu sotto le armi negli anni 1907-8 . Il primo riconoscimento al suo lavoro di poeta venne con i versi di Con i miei occhi pubblicato nella edizioni de “La Voce” nel 1912. Dopo la prima guerra mondiale diventò direttore e proprietario di una libreria antiquaria all’insegna della quale nel 1921 pubblicò Il Canzoniere che contiene le migliori liriche giovanili. Pima della seconda guerra mondiale per le leggi razziali andò a vivere a Parigi. Presto rientrò in Italia , si stabilì a Roma, si trasferì a Firenze e infine tornò a Trieste.
Autodidatta e appartato si tenne in disparte durante il periodo fascista e solo dopo la seconda guerra mondiale emerse con la sua voce di poeta non più triestino ma italiano .Ciò che fa la bellezza della poesia di Saba ‘ la misura di una semplicità e lo stupore che egli infonde nel verso . Mentre perdurava la moda della poesia dannunziana e la sua retorica l’accorata voce di un poeta esperto di tutti i beni e di tutti i mali della vita ci riconduce ad una umanità che ha piedi per terra , e senza voli ci accosta alla quotidianità e ai suoi sentimenti come normalità della vita . Pur rendendo i suoi temi più complessi ed elaborati Saba non ha mai smentito questa fondamentale vocazione che è vocazione all’umanità .
Per Saba la vita umana va intesa come una navigazione come la propone in questi versi:
Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede ,
coperti d’alghe , scivolosi al sole ,
belli come smeraldi . Quando l’alta
marea e la notte li annullava , vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l’insidia . Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore.
Il moralismo e l’autobiografismo sono gli estremi confini della sua poesia e se poi il senso del dolore universale cede il passo ad una specie di tranquillo distacco le cose sembrano allontanarsi dal suo sguardo fino a fargli dire :
“ Ero sicuro – materialmente sicuro - ( confessa nella prefazione a gli Uccelli, l’ultimo libro stampato nel 1951) che non avrei scritto più versi . Ma il male che mi impedisce ugualmente di vivere e di morire, mi concedette in quell’estate un breve periodo di tregua. La mia gratitudine si espresse in alcuni brevi apologhi.”
Apologhi che si esprimono in :
IL FANCIULLO E L’AVERLA
S’innamorò un fanciullo di un’averla .
Vago del nuovo - interessate udiva
di lei, dal cacciatore, meraviglie –
quante promesse fece per averla .
L’ebbe e all’istante l’obliò. La trista
nella sua gabbia alla finestra appesa,
piangeva sola e in silenzio, del cielo
lontano irraggiungibile alla vista.
Si ricordò di lei solo quel giorno
che , per noia o malvagio animo, volle
stringerla in pugno. La quasi rapace
gli fece male e s’involò. Quel giorno,
per quel male l’amò senza ritorno.
Opere di Umberto Saba
Poesie, Firenze,1911; Coi miei occhi, ib.1912; Cose leggere e vaganti , Trieste 1920; Il Canzoniere, ib. 1921;Preludio e Canzonette, Torino 1922; Autobiografia, Prigioni ib. 1924; Figure e Canti, Milano 1928, Preludio e Fughe , Firenze ,1928; Tre composizioni, Milano, 1933; Ammonizione e altre poesie ,Trieste ,19933, Parole, Lanciano ,1934; Ult5ime cose, Lugano, 1943; Il Canzoniere, raccolta completa delle poesie Torino 1945; Scorciatoie e raccontini, 1945; Mediterranee, Milano, 1946; Storia e Cronistoria del canzoniere . Ib. 1948; Uccelli, quasi un racconto ib, 1951; .Nel 1959 è uscito postumo Epigrafe Ultime prose con una prefazione di Giacomo De Benedetti. Le prose sono raccolte nel volume Prose con prefazione di Pinuccia Saba ,Milano 19964
Da IL CANZONIERE :
L’ARBOSCELLO
Oggi il tempo è di pioggia .
Sembra il giorno una sera,
sembra la primavera
un autunno, ed un gran vento devasta
l’arboscello che sta – e non pare – saldo;
par tra le piante un giovinetto alto
troppo per la sua troppo verde età.
Tu lo guardi. Hai pietà
forse di tutti quei candidi fiori
che la bora gli toglie ; e sono frutta,
sono dolci conserve
per l’inverno quei fiori che tra l’erbe
cadono. E se ne duole la tua vasta
maternità.
TRIESTE
Ho attraversato tutta la città.Poi ho salito un’erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.
Trieste ha una scontrosa
grazia . Se piace ,
è come un ragazzaccio aspro e vorace ,
per gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,
o alla collina cui , sulla sassosa
cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un’aria strana , un’aria tormentosa,
l’aria natìa.
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
PAROLE
Paroledove il cuore dell’uomo si specchiava
-nudo e sorpreso – alle origini, un angolo
cerco nel mondo , l’oasi propizia
a detergere voi con il mio pianto
dalla menzogna che vi acceca . Insieme
delle memorie spaventose il cumulo
si scioglierebbe come neve al sole.
INVERNO
E’ notte,inverno rovinoso. Un pocosollevi le tendine, e guardi. Vibrano
i tuoi capelli selvaggi , la gioia
ti dilata improvviso l’occhio nero;
che quello che hai veduto – era un’immagine
della fine del mondo- ti conforta
l’intimo cuore, lo fa caldo e pago.
Un uomo si avventura per un lago
di ghiaccio, sotto una lampada storta.
STELLA
Stella che m’hai veduto un giorno nascere
-passavi in cielo al mio primo apparire –
Del bene in cambio che , nudo ed inerme,
da tanto male derivai, potessi
in breve volontario all’altra
riva; Ogni linea si cancella , tace
ingiustizia , non pesa più abbandono ,
fuori della tua orbita ch’io giunga
o tu che in cielo passavi funesta.
QUEST’ANNO
Quest’anno la partenza delle rondini
mi stringerà per un pensiero, il cuore.
Poi stornelli faranno alto clamore
sugli alberi al ritrovo del viale
XX Settembre. Poi al lungo male
dell’inverno compagni avrò qui solo
quel pensiero , e sui tetti il bruno passero.
Alla mia solitudine le rondini
mancheranno, e ai miei dì tardi l’amore.
Eremo Via vado di sole, L’Aquila, lunedì 13 settembre 2010
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