domenica 3 luglio 2011

MEDITERRANEO : La guerra di Libia tra soldi e petrolio

MEDITERRANEO : La guerra di Libia tra soldi e petrolio

Scrive il generale Fabio Mini : “LA PRIMA vittima di ogni guerra è la verità. E' un assioma. In questa guerra laverità è caduta subito, senza onore. Ma siccòme ogni guerra moderna si deve confrontare con

una migliorata sensibilità della pubblica opinione, la verità uccisa non è più la protagonista del proprio funerale. Il feretro è accompagnato da una folla di disincantati cittadini che hanno altre fonti e non credono a quanto viene propinato dalla politica e dalla propaganda.

L'azione militare in Libia non è soltanto umanitaria : è un tentativo di riscrivere la mappa degli interessi energetìcì in Nord Africa. Lo sviluppo può essere una stabilità con nuovi equilibri (ed equilibristi) o una balcanizzazione dell' area. Franciae Gran Bretagna hanno approfittato dei moti popolari e delle provocazioni di Gheddafi pensando di trarre vantaggi da entrambe le conclusioni. Gli Stati Uniti tentennano perché non capiscono l'Africa e l'Italia si è giocata qualsiasi chance puntando sul cavallo sbagliato e poi dichiarandolo bolso. Gheddafi è dunque l'obiettivo.

Non è vero che avremmo volentieri fatto a meno di intervenire o che non potessimo negare le basi. Siamo in una coalizione per nostra volontà e avremmo potuto eccepire sull'uso delle nostre basi per operazioni noocondottedallaNato.Non èvero che è opportuno passare il comando alla N ato perché ga rantisce unità o il coordinamento e perché cì.esonera dalla verifica della rispondenza delle operazioni militari al mandato Onu. Il comando delle operazioni alla Nato rischia di provocarne la frattura interna e di sancirne il ruolo di fornitore di servizi bellici a pagamento.

Il coordinamento auspicato non è il comando e la Nato non garantisce il rispetto dei mandati (vedi Afghanistan), anzi ten¬de a cronicizzare le operazioni. Inoltre, è incredibile che si sia detto che ci riprenderemo il comando delle basi: se lo abbiamo ceduto ad altri abbiamo fatto una indebita cessione di sovra¬'nità. Così come non è credibile che i nostri aerei non debbano sparare per proteggere i civili libici e sopprimere le minacce.

Infine, non si può credere a chi rimpiange Gheddafi perchè ci dava petrolio e soldi e ci proteggeva dall'invasione scalza. Il colonnello gestiva soldi, petrolio e traffici di migranti per il suo . interesse, esattamente come aveva gestito il terrorismo. Oltre a chi comanda e a chi dovrà guidare la Libia del dopo-Ghedda¬fi bisogna anche inventarsi qualcosa di più credibile per giusti¬ficare sia la guerra sia la complicità con i tiranni”

E a questo proposito scrive Giorgio Bocca : ancora una volta il rais dai ca­pelli tinti e dalle amazzoni prosperose ci ha stupiti La guerra di cui il protagonista è incomprensibile, la più inimmaginabile guerra del mondo: senza confini e nazione, con le prime linee che sono anche retrovie, con i campi di battaglia indefinibili nel carosel­lo di armati che vi circolano come in una giostra pazza. Da fuori una guerra incom­prensibile: le piazze di Tripoli, la capitale, si riempiono ora di ribelli ìnneggìanti alla libertà ora di sostenitori del rais pronti a decimare gli insorti con mitragliatrici e cannoni Non si capisce se le battaglie che si accendono nel deserto siano di copertu­ra o di attacco, sembrano piuttosto fiam­mate che si accendono e divorano ciò che incontrano senza una strategia precisa.

Il rais è da mezzo secolo il sultano del­la Libia, ma non si è ancora fatto un eser­cito nazionale, arruola dei mercenari afri­cani o europei o asiatici. Una guerra in cui tutto è comperabile, carri armati co­me aviatori, missili come rivoltelle. Non sai mai se una località è assediata o base di attacco, se è per resistere o per conqui­stare, e se le manifestazioni confuse che appaiono sulle televisioni sono di amore o di condanna Le immense piazze di Tripo­li possono riempirsi di folle di fedeli come di rivoltosi. E intanto alla tragedia e alla confusione libica si sovrappongono quelle degli immigrati che vi lavorano o dei fug­gitivi da regimi feroci che vi sono arrivati per scampare, e invece di un ospizio han­no trovato una trappola infernale di car­cere, fame e fucilazioni. È confuso anche il contesto internazionale, il mondo osser­va la tragedia e vi partecipa, ma di preci­so non sa ancora come. Con che diritto il presidente degli Stati Uniti ordina al pre­sidente di uno Stato indipendente, cioè la Libia, di andarsene, di cessare ogni resi­stenza? In nome dell'impero americano, dell'umana civiltà o dei rapporti di pote¬re? In passato attorno a una guerra come quella libica si creavano subito schiera¬menti opposti, come nella guerra di Spa¬gna: filofascisti e filocomunisti. Qui anche nelle oasi libere dove ognuno può dichia¬rarsi per chi vuole i più stanno a guardare e non hanno ancora capito dove sia la parte giusta o il vincitore.


Il rais è un nomade del deserto inaf¬ferrabile, ogni giorno cambia avversari e invettive, ce ne sono per tutti: per gli ita¬liani colonialisti, per gli americani impe¬rialisti, per gli islamisti del terrore che quando ha potuto ha fatto fucilare, salvo diventare lui stesso un sanguinario. Nel¬le .Qiazze italiane, sempre ronte a schie¬rarsi pro o contro nel nome di progressi¬smi o di conservatorismi, per la guerra di Libia pochissimi sono in grado di di¬chiararsi. Del resto, non è questo il sulta¬no che vive in una tenda e si veste come uno spaventapasseri?

Stati uniti ed europa corrono un grave rischio: quello di una mancanza di strategia comune

Scrive Antonio Puri Purini su Corriere della sera del 19 marzo 2011 “La vicenda Libia ha anche dimostrato i margini ristretti in cui operano gli Stati Uniti e ha reso l'Europa ancora più piccola, se non misera, di quanto non fosse. Gli Stati Uniti sono partiti da un'iniziale posizione durissima contro Gheddafi, salvo però bloccarsi davanti alla prospettiva di un complicato intervento armato (no-fly zone, embargo navale, impiego di truppe). La prudenza di Obama ha rasentato la passività: avrebbe voluto liberarsi di Gheddafi ma senza ripetere gli errori di Bush ed evitando che la Libia potesse trasformarsi in una faccenda americana. L'Europa, che avrebbe potuto aiutarlo a tracciare un percorso comune euro-americano, si è ben guardata dall'inviare segnali credibili e contrapposti a Gheddafi (messa in guardia) ed all'opposizione (aiuti di sostanza). Le divisioni dell'Unìone Europea sulla Libia la dicono lunga su quanto sia prematuro l'appello ad un'Europa capace di parlare con una sola voce (tantomeno con qùella taciturna barones¬sa Ashton) sulla politica estera. D'altra parte, sembrava che tutto fosse fatto e che, an-

" che senza interventi esterni, il colonnello sarebbe stato•obbligato a lasciare il proprio Paese: il Consiglio di Sicurezza aveva dato il via (prematuramente) all'attivazione del Tribunale penale internazionale, Gheddafi era stato invitato a farsi da parte, il Consìglio Europeo gli aveva tolto ogni legittimità internazionale, il Regno Unito lo aveva definito un reietto. "

Nel frattempo, la situazione politico-militare in Libia si è modificata a svantaggio dei rivoltosi. L'ipotesi originaria di creare una zona d'interdizione aerea (la no fly zone appunto) appariva superata dagli sviluppi sul terreno. Ora sembra che le operazioni militari ( voli aerei) siano ricondoti ad una unico comando quello della Nato

Ed ora che cosa si fa? L'impotenza dell'Eu­ropa rimane un dato di fatto, proprio men­tre gli Stati Uniti avrebbero più bisogno del suo sostegno. L'applicazione della risoluzio­ne del Consiglio di Sicurezza pone l'Unione Europea di fronte alle proprie responsabili­tà. L'improvvisa accelerazione delle ultime ore ricorda agli europei che l'ispirazione può essere una necessità, che l'unità rac­chiude la stessa ragion d'essere del proget­to unitario europeo, che a volte il realismo ed il cinismo politico deve cedere il passo a motivazioni ideali ed etiche. Questo riguar­da anche l'Italia. Non siamo stati gli unici a fare la corte alla Libia ma abbiamo esagera­to nel farne il perno della nostra politica mediterranea nell'illusione di risolvere, una volta per tutte, l'immigrazione clande­Jìtina. Ma con quanta consapevolezza dei nostri autentici interessi? Secondo il buon senso, avremmo dovuto sottrarci ai ricatti . di Gheddafi, alle opacità di tante operazio­ni economiche, al mito della dipendenza· energetica dalla Libia. Le insistenze fran­co-britanniche sull'intervento militare non erano il sintomo di una bieca quanto inesi­stente congiura (menzionata dal presiden­te della Regione Lombardia Formigoni al Corriere della Sera) per scalzare gli interes­si economici dell1talia dalla Libia. Una volta tanto, riflettevano una ripugnanza con- . tro un individuo spregevole assecondato ol­tre il ragionevole dai Paesi occidentali con­vintisi finalmente che i valori dell'Europa sarebbero stati irrisi per decenni qualora l'Europa stessa fosse rimasta inattiva. Per fortuna, l'epitaffio di questa vicenda non è sfato rappresentato dal «non disturbo Gheddafi» pronunciato dal presidente del Consiglio nei primi giorni della sollevazio­ne popolare. Questo è innanzitutto il mo­mento di tappare la bocca al colonnello. Verrà poi il momento di un messaggio com­patto di apertura etica, politica, economica nei confronti della Libia basato sulla parte­cipazione e sul coinvolgimento di cui l'Ita­lìa potrà essere parte responsabile.

Eremo Via vado di sole , L'Aquila,
domenica 3 luglio 2011

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