mercoledì 15 febbraio 2012

ET TERRA MOTA EST : 1703 IL GOVERNO DELLA CITTA’ FU DECIMATO E CI FU IL RISCHIO CHE L’AQUILA FOSSE ABBANDONATA IN MANIERA DEFINITIVA…( PARTE SECONDA )

ET TERRA MOTA  EST  : 1703  IL GOVERNO DELLA CITTA’ FU DECIMATO E CI FU IL RISCHIO CHE L’AQUILA FOSSE ABBANDONATA IN MANIERA DEFINITIVA…( PARTE SECONDA  )


Il processo di ricostruzione degli edifici di culto, con gli strumenti e i ritmi di allora, si può dire durò 50 anni, distinti in tre fasi.

Nella prima, il ventennio seguito al sisma, si ricostruirono pressoché tutte le chiese cittadine principali, e ad opera di prestigiosi nomi romani (1705ss. la Concezione, di Carlo Fontana; 1707ss. l’organismo di San Bernardino, con cupola del Contini; 1708ss. Sant’Agostino, dello stesso Contini; 1708-1711ss. la cattedrale, di Sebastiano Cipriani; 1710ss. San Quinziano; 1712ss. San Domenico, di un architetto romano innominato; 1714-19 il Suffragio, di Carlo Buratti; 1715ss. Santa Maria di Paganica, e così via).

Nella seconda, ossia gli anni Venti e Trenta del ‘700, si configurarono gli interni di alcune chiese minori che erano state progettate e rialzate al rustico nella prima fase.

Nella terza, ossia gli anni Quaranta/Cinquanta del ‘700, si procedette a radicali innovazioni architettonico-stilistiche di edifici sacri che erano stati riedificati magari nel decennio dopo il terremoto, ma i cui committenti, colpiti dalle magnifiche fabbriche erette successivamente, decisero di ricostruirli dalle fondamenta con nuovi e diversi piani, aggiornati stilisticamente: ad esempio la Santa Caterina Martire, di Ferdinando Fuga, nel 1753.

Una fase extra conclusiva si aggiunse negli anni Sessanta e Settanta, in cui si realizzarono caratteristici progetti in tardo-barocco come il San Luigi, l’Annunziata, il San Giuseppino, e per ultima, nel 1770-75, la facciata del Suffragio in Piazza, di Francesco Leomporra – la cupola 1805 del Suffragio per opera del Valadier, la fronte 1851-59 della cattedrale di San Massimo, compiuta addirittura nel 1928, e la facciata e cupola 1870 di San Pietro di Coppito, furono completamenti postumi, la costruzione 1892 della nuova Concezione, inoltre, essendo dovuta alla balorda demolizione di quella 1705ss. del Fontana, cui si procedette per realizzare i portici del Corso.

È da segnalare, peraltro, che nel corso di tale grandioso interminabile cantiere non soltanto si procedé a ricostruire il patrimonio chiesastico crollato, ma si profittò altresì a sanare in radice, impostandole nuove dalle fondamenta, molte costruzioni sacre medioevali che dal ‘600 in poi per la smania di modernizzazione tipica del tempo spesso erano state rimaneggiate con soluzioni architettoniche e volumetriche tali, sia interne che esterne, che invece di risultarne abbellite ne erano uscite piuttosto deformate.

Per ciò che invece concerne la diocesi, essa al momento del terremoto si trovava senza Vescovo – l’ultimo presule, il De la Cerda, era morto nel 1702 e fino al 1712 governarono la Chiesa locale dapprima il vicario capitolare Francesco Antonelli, rimasto sepolto nel 1703 sotto le macerie della cattedrale, e poi il nuovo vicario capitolare Domenico De Benedictis. Quando poi nel 1712 fu eletto vescovo Domenico Taglialatela, questi non poté prendere possesso a causa dei non ancora risolti problemi giurisdizionali di fine ‘600, sicché passarono altri sette anni sotto amministrazione transitoria: ben 16 anni in tutto, proprio nel periodo decisivo dell’avvio del processo di ricostruzione di San Massimo e delle chiese della città e del contado.
Mentre non mancava, si noti, la dedizione caritativa della Chiesa locale per soccorrere le popolazioni, per la ricostruzione della cattedrale vediamo dapprima il canonico procuratore Ignazio Porcinari impegnare, a due mesi e mezzo dal terremoto, 22 aprile, “i mastri fabbricatori milanesi Domenico Cometti, Pietro Longhi e Francesco Visconti, nonché l’aquilano Narducci, a scavare la cattedrale di S.Massimo, completamentre crollata con la sua ‘bella facciata’, recuperando entro luglio per 230 ducati colonne, marmi, campane, ferri, ed ammucchiando il tutto nella navata centrale”. Nei successivi mesi e anni si susseguono iniziative plurime, come nel 1704 quella per cui il capitolo vende per 25 ducati le pietre di S.Antonio ormai crollante, per procurarsi i danari per la riedificazione della cattedrale, fino ad arrivare al 1709, quando si affida all’architetto Sebastiano Cipriani il progetto per il nuovo edificio sacro, iniziandone i lavori nel 1711.

Sarà il vescovo Taglialatela a fornirci, con la sua relatio ad limina del 1722, la prima informazione sulla situazione delle chiese cittadine a vent’anni dal sisma. Alcune, compresa la Cattedrale, erano ancora in stato “quoddam rude contabulatum”; San Biagio, dove “usque modo lateralis tantum parietes unius navi sunt refecti, in qua divina celebrantur”; altre, erano “a ruinis reparatas” come San Quinziano, oppure “ad formam ornatumque decentem redactas”; San Silvestro, che “antiquitate, amplitudine et structura commendatur a multis”, era “bene retenta, quamvis illius parietes ex terremotu vitium sensit”; altre erano “noviter erectas” ed altre ancora “magnificentius reparatas”; San Marco, “nuper reedificata”; la Concezione, “reparata et in meliorem formam redacta”; Santa Maria di Paganica, “in multis ad meliorem redacta est formam”; Collemaggio, abbellita “eleganti opere et singulari magnificentia”; San Domenico, “noviter a fundamentis magnificentius renovata”; Sant’Agostino, “magnificentius reparata”, e così via.

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Altri particolari, istruttivi per l’oggi in cui si invocano maggiori spazi di partecipazione alle forze operative e culturali locali per la ricostruzione post-terremoto, si riferiscono agli architetti ed artisti, nonché alle imprese edili, che eseguirono materialmente la ricostruzione settecentesca.

Ebbene, la documentazione ci dice che nel ‘700 la piupparte degli architetti che furono chiamati dagli Aquilani a reinventare e riprogettare i loro edifici sacri crollati furono di fuori, romani in assoluta preponderanza, e tra quelli che andavano per la maggiore in quel frangente storico – i Fontana, i Cipriani, i Contini, i Buratti, Barigioni, Ferdinando Fuga. E altresì gli artisti, scultori e stuccatori che abbellirono le nuove fabbriche, furono forestieri, ticinesi in assoluta preponderanza, ed anche sulmonesi e napoletani. Quanto alle imprese edili, risulta che anch’esse per la maggior parte furono forestiere, lombarde/milanesi in assoluta preponderanza, delle quali alcune erano sul posto da secoli, ma molte affluirono all’Aquila appunto per la ricostruzione settecentesca.

Ne risultò per la città, nonché per i centri del contado, e pur mantenendosi sostanzialmente sull’identico impianto urbanistico preesistente, una facies architettonica e formale radicalmente nuova: il carattere ancora prettamente medioevale dell’edilizia urbana, sia civile che religiosa, delle quinte e degli scorci stradali e delle facciate di case, chiese e palazzi, scomparve d’incanto, assumendo la facies moderna grosso modo barocca, del tutto distinta dalla precedente, che conosciamo e che il terremoto del 6 aprile 2009 è venuto a sconvolgere.

Ciò non significa che agli attori ‘forestieri’ fosse stato consentito pervertire l’identità culturale che la città si era andata forgiando nei secoli. Il nuovo volto stilistico dell’Aquila e dei centri del territorio fu voluto tale dai committenti aquilani, che ricorsero a quegli artisti e concordarono con essi nei particolari proposte progettuali, preventivi ed esecuzione delle opere. Il barocco aveva fatto il suo ingresso nell’Aquilano già dal primo ‘600, e nei successivi anni Sessanta e Settanta del secolo, grazie soprattutto alla febbrile creatività di Francesco Bedeschini e degli stuccatori lombardi e ticinesi, aveva riconfigurato e trasfigurato gli interni delle chiese principali. Senza parlare dell’ordine architettonico classico e dell’impianto gesuitico adottati dagli architetti romani settecenteschi nel riconfigurare gli interni delle chiese crollate o danneggiate e nell’inventare le nuove: essi costituivano un dato acquisito nella tradizione architettonica aquilana, incoativamente da fine ‘400 ed inizio ‘500, e nel 1595 del Gesù del Valeriani, nonché nel 1636 per il San Filippo, o il 1646 per il Sant’Antonio de Nardis, in maniera compiuta. È sempre la documentazione, poi, a dirci che quei pur famosi autori per l’ampia generalità dei casi nelle scelte formali ed operative furono determinati del tutto dai committenti locali. Questi ultimi a volte furono intrattabili, come nel caso dei frati di San Bernardino, i quali, di fronte alla tipologia cupolare prismatica proposta dal Contini nel 1708 per coronare di nuovo l’immensa ottagonale sezione centrale della basilica, la rifiutarono, obbligandolo alla molto più polarizzante cupola a calotta estradossata, che dal ‘400 aveva bellamente caratterizzato la chiesa e lo skyline cittadino. In breve nella quarta ricostruzione dell’Aquila e dei centri del suo bacino territoriale il radicalmente nuovo consisté essenzialmente nell’aver esteso e generalizzato agli esterni degli edifici il carattere formale e stilistico che già da tempo informava la generalità degli interni, sia civili sia ecclesiali, e il gusto degli abitanti.

I documenti provano insomma che nell’immane sinergia di forze in azione, le ‘forestiere’ ebbero il sopravvento – del resto l’entità della ricostruzione era tale, ed anche oggi lo è, che non sarebbe stato possibile alle sole forze culturali ed operative locali di portare avanti la grande impresa – ma sviluppando in pienezza premesse culturali ed artistiche già recepite in loco.



FONTE :   .laquilanuova.org/gli-effetti-post-sisma/terremoto-1703-per-la-ricostruzionelavori-scaglionati-in-50-anni-e-sgravi-fiscali/* Mons. Orlando Antonini, 65 anni, è nato a Villa Sant’Angelo (L’Aquila), uno dei borghi distrutti dal terremoto del 6 aprile 2009. Ordinato sacerdote nel 1968, è stato parroco di Picenze. Formazione diplomatica presso la Pontificia Accademia, ha fatto importanti esperienze come Segretario in diverse Nunziature apostoliche: Bangladesh, Madagascar, Siria, Olanda, Francia e Cile. Nel 1999 l’ordinazione episcopale, la nomina a Vescovo e l’affidamento della Nunziatura apostolica in Zambia e Malawi, che ha retto fino al 2005.

Nunzio apostolico in Paraguay fino ad agosto 2009, è ora a Belgrado dove Benedetto XVI gli ha affidato la Nunziatura in Serbia. Scrittore, musicista e storico, mons. Antonini è uno dei più insigni studiosi di architetture religiose e urbane in Abruzzo. Di capitale interesse scientifico le sue pubblicazioni, come  “L’architettura religiosa aquilana” volumi 1 e 2, “Manoscritti d’interesse celestiniano in Francia”, “Chiese dell’Aquila”, “Recupero e riqualificazione dei centri storici del Comitatus Aquilanus”  e “Villa Sant’Angelo e dintorni”. Le sue pubblicazioni sull’architettura religiosa sono imprescindibile punto di riferimento per studiosi e storici dell’urbanesimo abruzzese.

Le foto sono di Sara Hay, Daniele Balducci  Claudio Cerasoli

Eremo Via vado di sole , L’Aquila, martedì 14 febbraio 2012

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