sabato 4 giugno 2011

I HAVE A DREAM : Che avverrà, che è avvenuto

I HAVE A DREAM : Che avverrà, che è avvenuto


Nel post su Napoli può ancora sognare si concludeva con una domanda . Che cosa avverrà ? E si richiamava l’attenzione sulla necessità di tener conto della realtà con semplicità e naturalezza , cosa possibile anche senza strumenti particolari di analisi e di osservazione.

Alla domanda che cosa avverrà e anche a quella che cosa è avvenuto mi sembra che rispondano per il momento due pensatori :Claudio Magris ed Ernesto Galli della Loggia .

Scrive Claudio Magris su Il Corriere il 1 giugno u.s.


'Tempo di demolire, tempo di costruire; tempo, di lutto, tempo di baldoria», dice l'Ecclesiaste. E giusto festeggiare il risultato di queste elezioni amministrative, che fa intravvedere la possibilità ,di voltar pagina, una pagina politica italiana finora improntata a una crescente indecenza. Sarebbe tuttavia irresponsabile prolungaré l'euforia oltre la sera di festa, perché per i vincitori di queste elezioni non comincia una marcia trionfale assicurata bensì una dura e incerta prosa di lavoro quotidiano. Forse sperabilmente è iniziato un nuovo corso del Paese, ma non c'è alcun futuro felice garantito.

Queste elezioni il centrosinistra le ha vinte certo pure per la qualità, l'equilibrio e la civiltà che hanno contrassegnato la sua campagna elettorale e lo stile dei suoi' candidati vincenti. Ma le ha vinte anche per gli errori degli avversari e soprattutto del presidente del Consiglio, che trasformando queste elezioni amministrative in un referendum politico su se stesso ha accresciuto l'importanza della propria sconfitta, divenendo, con molti atteggiamenti oltre ogni misura e inaccettabili per molti elettori di centrodestra, una caricatura perfino di se stesso. Ma anche le numerose sconfitte subite in passato dal centrosinistra sono state causate in buona parte da errori del centrosinistra stesso; errori che; se giulivamente ripetuti, potrebbero provocare nuove sconfitte.


La gioia di questo momento non può far dimenticare come tutto sia instabile e incerto. Nulla sarebbe più dannoso e sciocco di una sciamannata euforia, della convinzione di aver già vinto una battaglia che è ancora agli inizi e aperta. Si può e si deve provare una grande soddisfazione per questo giro di boa; sarà necessaria una fermezza anche dura - ma sempre da signori - dinanzi a eventuali probabili assalti a colpi bassi; si può e si deve avere una pacata, salda fede nei propri valori. Ma senza alcuna euforia facilona che a sua volta degenera facilmente in supponenza fastidiosa per tutti, o in entusiasmo magari generoso ma improvvido e ingenuo e

. dunque, alla fine, autolesivo. .

Lo stile dei candidati vittoriosi e delle forze politiche che li hanno sostenuti è una garanzia di serietà, di equilibrio, di concretezza; di buona- prova quotidiana scevra di poetizzante ebbrezza. Ma non bisogna dimenticare che i risultati elettorali sono sempre rovesciabìlì, come è accaduto grazie a Dio questa volta, e come era sciaguratamente ma non sorprendentemente accaduto fra il tardo autunno del '93 e il marzo '94, quando la vittoria del centrosinistra in molti importanti comuni italiani aveva creato un' esaltata sicumera, la sbandierata «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto, sbaragliata tre mesi dopo alle elezioni politiche del '94, cosa che alcuni di noi avevano amaramente e pubblicamente previsto e temuto.

Le odierne elezioni le ha perse. non tanto il centrodestra - una parte del quale, con lo scossone dato da Fli e le scelte dell'Udc, ha avuto un ruolo nel loro esito - quanto quella.sua degenerazione nota con il nome insolente di berlusconismo, divenuto via via sempre più degradante. Ma sarebbe stolto e pericoloso considerare il presidente del Consiglio politicamente già finito, sottovalutando le sue capacità di lotta indubbiamente assai notevoli ancorché spesso squalificanti e la sua tenuta. Molte cose lasciano sperare che il centrosinistra abbia imparato la lezione e sia in grado di valutare questa sua provvidenziale vittoria con tranquilla sicurezza di sé, aliena da pathos gridato, e con la consapevolezza che la partita è appena iniziata anche se per fortuna è iniziata bene .


Scrive a sua volta Galli della Loggia su Il Corriere del 3 giugno

È stata l'obbedienza - pronta cieca e assoluta - il veleno che ha ucciso il Pdl. O meglio che, inoculato nel suo corpo fin dall'inizio, fin dall'inizio gli ha impedito di esistere veramente come partito. Bisognava obbedire a Berlusconi, questa la regola: dargli sempre ragione, o perlomeno non azzardarsi mai a criticarlo esplicitamente e con una certa continuità.

Intendiamoci: anche in un partito l'obbedienza è necessaria. Ma in dosi appena eccessive essa diventa micidiale. Abitua chi comanda a credersi infallibile, e chi obbedisce a non avere idee, a ridursi a un ruolo totalmente passivo. Oppure, com'è capitato a Fini, induce cieche ribellioni senza futuro. Ma c'è una cosa ancora più grave, ed è che quando vige il principio dell'obbedienza quel che ne risulta è inevitabilmente una selezione alla rovescia. I primi posti e le maggiori prebende vengono assegnati a coloro che si mostrano più obbedienti: e cioè, in genere, ai più deboli, ai più conformisti. Insomma, prevalgono i più incapaci.


Non voglio dire con ciò che allora i maggiori esponenti del Pdl sono stati fino a oggi tutti degli incapaci. Sto dicendo che fin qui, però, tutti non hanno fatto altro che obbedire in silenzio (le due sole eccezioni di rilievo essendo, a quel che si sa, da un lato Giulio Tremonti, corazzato dal suo rapporto con la Lega e dalla sua inscalfibile arroganza intellettuale, e dall'altro Gianni Letta: l'unico capace, quando il troppo era proprio troppo, di dire a Berlusconi il fatto suo). Hanno obbedito in silenzio anche persone dal curriculum non insignificante, persone dotate di cultura e di autonomia di giudizio.


Ma perché lo hanno fatto? Io credo perché erano convinti e/o consapevoli che i voti, alla fine, li portava solo Berlusconi. Solo lui: con i suoi soldi, le sue televisioni, il suo carisma. Tutto il resto, a cominciare dalla loro personale qualità umana e politica, agli occhi dell'elettorato sarebbe contato insomma poco o nulla, e dunque per i disobbedienti non c'era alcun futuro. Si è così alimentato un circolo vizioso: più essi ubbidivano, più di per sé finivano per non contare nulla; ma più non contavano nulla e più erano costretti fatalmente a ubbidire. Un circolo vizioso di cui la leadership di Berlusconi si è molto avvantaggiata. Ma di cui lo stesso Berlusconi si è alla fine trovato prigioniero, arrivando a pagare un prezzo altissimo, e cioè la disintegrazione del Pdl come strumento politico di qualche utilità. A quello precedente è così subentrato un nuovo circolo vizioso: più il premier perdeva smalto e consenso e più il Pdl e i suoi uomini sul territorio erano inchiodati alla loro pochezza, alla loro piccola statura politica; ma più ciò accadeva e più l'immagine del capo stesso finiva anch'essa per appannarsi ulteriormente.


È questo il meccanismo che si è messo vorticosamente in moto nei primi due turni delle amministrative, e tutto lascia credere che se gli attori e le parti rimarranno quelli visti finora esso sarà difficilmente reversibile. Ma se è così, se Berlusconi da solo non ha più i voti, se non rappresenta più la garanzia che prima rappresentava, allora nel Pdl l'obbedienza, semmai lo è stata, non è più una virtù. Allora per i suoi esponenti di prima come di seconda fila è venuto il momento di alzare la testa, di cominciare a disobbedire, di provare a esistere politicamente. Le primarie possono essere uno strumento. Altri se ne possono trovare. Ma ciò che oggi è decisivo è una cosa soprattutto: che imparino a disobbedire. Anche ad Alfano, se necessario.


Eremo Via vado di sole , L’Aquila,
sabato 4 giugno 2011


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