giovedì 16 dicembre 2010

ARTE FACTUM : Cultura ( II )

ARTE FACTUM : Cultura ( II )

[Vedi anche Cultura I e Cultura III ]

Con la cultura non si mangia


Roma, 6 luglio 2010. Cultura a rischio paralisi. Questo lo scenario inedito e allarmante che si prospetterà per il settore della cultura con l’entrata in vigore della manovra anticrisi, non solo per la prevista riduzione delle risorse disponibili ma anche, e soprattutto, per una serie di norme che potrebbero assestare un colpo fatale alle politiche pubbliche per il settore.

Ma la cultura non ci sta ad essere “chiusa” per decreto, si organizza e avanza proposte.

Se ne è parlato a Roma nell’incontro “Sostenere la cultura per rilanciare il Paese”, promosso da Federculture nell’ambito della sua Assemblea Generale.

Nell’allarme lanciato dalle imprese culturali, degli amministratori pubblici, degli operatori del settore rappresentati dalla federazione nazionale, sono stati richiamati gli elementi potenzialmente dirompenti per il settore contenuti in alcuni degli articoli della manovra finanziaria.

“Siamo tutti consapevoli che il momento di crisi impone di compiere, con senso di responsabilità, sacrifici, di ridurre spese e sprechi, ma in questo modo la cultura rischia la paralisi – dichiara Roberto Grossi, Presidente di Federculture – Per questo respingiamo l'impostazione della manovra che penalizza il settore in modo inaccettabile, non solo per i tagli ai finanziamenti ai quali siamo purtroppo abituati da tempo, ma per misure che non produrranno risparmi ma finiranno per danneggiare con effetti immediati l’economia, pregiudicando lo sviluppo.”

I tagli compromettono l’attrattivita’ e l’immagine delle citta’

Il Dl 78/2010, ancora una volta, va a colpire le risorse per la cultura con un taglio di 58 milioni di euro l’anno per i prossimi tre anni - di cui quasi 50 milioni saranno sottratti al capitolo riguardante la tutela e la valorizzazione dei beni e attività culturali - determinando un ulteriore arretramento dello stanziamento del Mibac che, già in caduta libera negli ultimi anni ha ormai raggiunto il minimo storico dello 0,21% del bilancio dello Stato (era lo 0,34% nel 2005). Ci dà la misura del’esiguità della nostra spesa statale per la cultura il confronto con la Francia dove nel 2009 il budget del ministero della cultura era di 2,9 miliardi di euro, nello stesso anno quello del ministero italiano era di 1,7 miliardi.

Se a questi tagli si aggiungono le riduzioni dei trasferimenti statali a Regioni ed Enti Locali - per le prime complessivamente 4 miliardi di euro per il 2011 e 4,5 miliardi per gli anni successivi; per Province e Comuni rispettivamente 300 milioni e 1,5 miliardi per il 2011 e 500 milioni e 2,5 miliardi per il 2012 e seguenti - si può realisticamente prospettare l’impossibilità per le amministrazioni locali di continuare ad assicurare l’erogazione ai cittadini di numerosi servizi pubblici, tra cui naturalmente anche quelli culturali. Si vanno a colpire così Comuni, Province e Regioni, i soggetti pubblici che più hanno investito in cultura negli ultimi anni, compensando il progressivo disimpegno statale. Gli ultimi dati disponibili (2008) registrano una sostanziale tenuta della spesa nel settore da parte di Comuni e Province pari, rispettivamente, al 3,2% e al 2,1% dei loro bilanci.
Da non dimenticare poi che la manovra prevede anche una riduzione del 50% del contributo statale erogato a enti, istituti, fondazioni attivi nel settore culturale. Seppure è stato scongiurato il completo definanziamento di questi enti, così come previsto inizialmente per la famosa lista dei 232, un taglio effettuato in modo indiscriminato e senza valutazione di efficienza ed economicità, può danneggiare e vanificare esperienze di successo che negli ultimi anni hanno contribuito alla crescita delle attività culturali nel nostro Paese, come ad esempio quelle rappresentate da La Triennale di Milano o dal Centro Sperimentale di Cinematografia.

La manovra colpisce l’intero sistema della promozione e della produzione culturale

Tutti, rappresentanti di Comuni, Province e Regioni, manager delle aziende pubbliche e operatori hanno concordato che al di là della riduzione del contributo dello Stato, sono altre le norme contenute nella manovra che penalizzeranno il settore della cultura in modo insostenibile.

Tra queste la soppressione delle spese per le sponsorizzazioni e il divieto per le amministrazioni pubbliche a partire dal prossimo anno di sostenere spese per l’organizzazione di mostre, relazioni pubbliche, convegni, in misura superiore al 20% di quelle effettuate nel 2009, vale a dire un abbattimento di fatto dell’80%. Sebbene sia condivisibile l’obiettivo di contenere alcuni eccessi presenti nelle politiche pubbliche - pensiamo alle spese di rappresentanza - in effetti il provvedimento colpirà importanti attività come appunto le mostre, che sono tra i compiti istituzionali di promozione e diffusione della cultura delle amministrazioni, oltre a rappresentare importantissimi fattori di crescita e attrattività dei territori in chiave turistica.

Non meno preoccupanti le norme che andranno a colpire direttamente la gestione delle attività e dei servizi culturali, che negli ultimi quindici anni in Italia hanno compiuto enormi progressi in termini di valorizzazione del nostro patrimonio e di qualità dell’offerta, grazie alla costituzione e all’operato di numerose aziende pubbliche e pubblico-private che hanno introdotto nel settore criteri di efficienza manageriale.

Ora si pretende di imporre il divieto per i comuni medio-piccoli (sotto i 30.000 abitanti) di costituire società per la gestione dei servizi, anche culturali, si sancisce l’obbligo di liquidazione delle società già costituite, e per i comuni di medie dimensioni (tra 30.000 e 50.000 abitanti) si vieta di detenere la partecipazione a più di una società. Proviamo a immaginare cosa comporterà questa norma per realtà di assoluta eccellenza come Parchi Val di Cornia Spa che, nata per iniziativa di 5 comuni dell’area toscana, in circa 15 anni di attività ha rigenerato e arricchito il territorio maremmano, ampliando l’area di parchi, musei e relativi servizi, nei quali sono stati efficacemente coinvolti numerosi soggetti privati e conseguendo un livello record di autofinanziamento pari al 93%. La società toscana ha generato negli anni una ricchezza diffusa nel territorio valutata in un ritorno di 10€ nella comunità locale per ogni euro investito dai Comuni. Il provvedimento potrebbe significare la chiusura e, per questa come per altre esperienze analoghe, l’arresto di un processo che attraverso l’integrazione dei servizi, il sistema delle reti museali e l’organizzazione dell’offerta culturale e ambientale ha restituito competitività a città e territori.

Nella stessa direzione vanno, inoltre, quegli articoli che riducono l’autonomia statutaria delle imprese culturali limitando il numero dei componenti gli organi di amministrazione e collegiali e abolendo qualsiasi tipo di compenso per la partecipazione agli organi collegiali di enti anche di natura privatistica, a danno delle managerialità, delle professionalità e ,quindi, di un trasparente processo di innovazione. Il governo, che a parole dice di voler favorire l’ingresso dei privati nella gestione delle attività culturali, in questo modo va nella direzione esattamente opposta. Il processo di riorganizzazione dei servizi pubblici nel campo della cultura, del turismo e del tempo libero, che Federculture incentiva e sostiene, ha dimostrato che l’intervento del privato nella gestione della cultura significa integrazione strutturale, sostegno finanziario e apporto di know-how manageriale. Si limita così la partecipazione dei privati alla vita di enti e imprese in termini di apporto sia economico che gestionale. Ciò vale sia per le strutture statali come la Fondazione Museo Egizio di Torino o il Maxxi di Roma, che per quelle degli Enti Locali come Musica per Roma.


La cultura non è un accessorio superfluo

Dal decreto 78 sembra dunque emergere un intento “punitivo” nei confronti del settore culturale come se questo fosse un ambito improduttivo e, anzi, fonte di sprechi e dispersione di risorse pubbliche.

Ma non è così. E' ormai riconosciuto che nel nostro Paese il settore culturale e creativo rappresenta una fetta importante della ricchezza nazionale – il 2,6% del Pil – in grado di generare ricadute positive in altri ambiti economici ad esso connessi, primo tra tutti quello turistico. Il turismo culturale rappresenta, infatti, il 33% del mercato turistico nazionale complessivo e, secondo stime recenti, starebbe addirittura crescendo verso il 40%.

Ma, soprattutto, quello che si continua a riscontrare anche in questi ultimi anni di crisi economica è la presenza nel Paese di una robusta e stabile domanda di cultura da parte dei cittadini. In base ai più aggiornati dati Istat, infatti, la spesa per la cultura delle famiglie italiane è rimasta sostanzialmente stabile anche negli ultimi anni due anni di crisi. Più in generale, cultura e tempo libero rappresentano il 4,2% della spesa media mensile per famiglia (era il 4,3% nel 2008). Spesa che è complessivamente diminuita dell’1,7% ed in particolare è calata del 3% per il comparto alimentari e bevande. La spesa per la cultura, invece, tiene e costituisce una voce importante per le famiglie italiane, più alta ad esempio di quella per la sanità (3,6%), e per le comunicazioni (2%).

Una diffusa propensione ai consumi culturali è confermata anche dai recenti dati relativi alle attività di spettacolo che ci dicono come in questo ambito la spesa del pubblico abbia raggiunto i 4 miliardi di euro, mentre il settore nel suo complesso sviluppa un volume d'affari di 5,7 miliardi di euro. Nel 2009 tutti i segmenti hanno registrato valori in positivo, tra questi in particolare il teatro con un aumento della spesa del pubblico del 4,8%, la lirica +6%, le mostre addirittura +42,6%.


Anche nei musei statali, dopo due anni “bui” di cui l'ultimo – il 2009 – si è chiuso con un calo dei visitatori del 2,3%, si registrano segnali di ripresa con le principali manifestazioni del 2010 che vedono un aumento degli ingressi: +4,43% per le aperture straordinarie del 1° Maggio e +129% per la Notte dei Musei.

“Dati alla mano – conclude Roberto Grossi - il settore si dimostra vitale e dinamico e sostenuto da una domanda che tiene anche in un momento di crisi. E il governo che attraverso la manovra, almeno negli obiettivi dichiarati, intende disporre misure per la competitività economica dovrebbe tenere conto delle potenzialità espresse dalle attività culturali, che possono contribuire alla ripresa produttiva del Paese e incentivarne lo sviluppo. Per questo chiediamo che siano modificate le norme più penalizzanti per il settore, come quelle relative ai tetti di spesa nell'organizzazione delle attività culturali; il divieto di costituzione di società per i comuni; i limiti alla composizione degli organi di enti e aziende culturali. In questo modo si blocca, infatti, lo sviluppo del settore e si interrompe il rapporto tra pubblico e privato finora avviato ad un proficuo scambio e reciproco sostegno. Auspichiamo, quindi, un passo indietro del governo ed un ritorno ad un maggiore intervento pubblico per continuare ad alimentare i virtuosi meccanismi di crescita delle imprese e dei servizi in un settore che produce sviluppo e qualità””


Eremo Via vado di sole, L'Aquila, giovedì 16 dicembre 2010

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