
SILLABARI : Contemporaneità
LE LEZIONI DI CALVINO NON BASTANO PIU’
Ha saputo individuare i problemi della contemporaneità ma non indicare soluzioni. Per queste dobbiamo cercare altrove
di Marco Belpoliti su La Stampa domenica 12 settembre 2010
per il prossimo millennio». In quelle lezioni si va dalla «leggerezza» alla «molteplicità», toccando l'esattezza, la rapidità e la visibilità. La sesta lezione sarebbe stata intitolata Consistency, coerenza. Calvino non ha fatto in tempo a scriverla, ma restano degli appunti, e si sa che si sarebbe riferita a un racconto di Melville, Bartleby.

In questa lezione mancante si concentra tutta l'attualità e l'inattualità di Calvino, il suo appartenere allo stesso tempo al XX secolo e al XXI: un autore della transizione. Il narratore sorgivo del Sentiero dei nidi di ragno e quello riflessivo di La giornata di uno scrutatore, nonché di Palomar, è stato uno degli scrittori per cui all'idea di letteratura si accompagnava anche quella di un impegno per creare una società più giusta. Pasolini, Sciascia, Volponi, Morante, ma anche Manganelli, sono stati antifascisti, iscritti o simpatizzanti del Partito comunista, in altre parole degli intellettuali-scrittori (non scrittori-intellettuali), che hanno fatto della letteratura uno dei punti fondamentali della loro attività. Narratori, certo, ma anche saggisti, polemisti, presenti sui giornali, nelle riviste, dediti alla politica in senso forte. Prima intellettuali e poi letterati, senza piegare la letteratura alle ragioni di partito. Ma pochi anni prima che Calvino morisse, qualcosa è cambiato di colpo.
La letteratura, come questi scrittori la concepivano, è finita. Nasceva qualcosa di diverso sul piano sociale, e dunque anche letterario. A spiegarlo è un altro scrittore, forse l'unico erede di Calvino, e proprio per questo divergente da lui: Gianni Celati. È Celati a far conoscere a Calvino la novella di Melville, e anche Wakefield, il racconto breve di Hawthorne, altro riferimento di Consistency.
Forse non aveva più, nonostante la sua indubbia intelligenza gli strumenti adatti per interpretare il cambiamento. Per questo si era rivolto nel 1968 a Celati, il suo Marco Polo, il viaggiatore, mentre lui retrocedeva al ruolo di Kublai Kan, il vecchio imperatore immobile delle Città invisibili, il suo capolavoro, ma anche il suo punto più alto di scacco. Tuttavia Celati non era bastato, e neppure più i vecchi e nuovi maestri parigini. All'inizio degli anni Ottanta Calvino era un intellettuale-scrittore in panne, il cui motore, perfetto e oliato, girava a vuoto. Era sospeso nel vuoto della fine del XX secolo. Somigliava sempre più a Bartleby, e come lui incarnava un lutto; e l'accentuarsi del suo manierismo letterario era anche la conseguenza del suo «avrei preferenza di no».
Ora non sappiamo cosa avrebbe scritto riguardo alla «coerenza», però un'ipotesi, seguendo il suo Marco Polo, si può formulare. Bartleby, ha scritto Celati, è la figura che pone il problema delle sacche di estraneità che si formano all'interno della vita sociale. Problema che nasce con la nascita delle grandi masse anonime nella vita urbana, «dove non si possono più nascondere le distanze assolute che separano gli individui». La solitudine è l'esperienza fondamentale della contemporaneità su cui s'innestano, pur nella loro diversità, sia il fascismo novecentesco sia il Grande Fratello. Calvino sta al di qua di questa soglia, indica il problema, ma non fornisce soluzioni. Un grande scrittore, senza dubbio, un grande moralista, e insieme un agilissimo saggista. Ma per andare avanti non basta più, bisogna cercare altrove. Dopo Calvino.


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