giovedì 3 maggio 2012

BIBLIOFOLLIA : Tre volte all’alba

BIBLIOFOLLIA   : Tre volte all’alba

Quando Alessandro Baricco ha scritto la riga conclusiva di Mr Gwyn, il suo libro uscito qualche mese fa, probabilmente sapeva che la faccenda non sarebbe finita lì. La prova è Tre volte all’alba, opera appena pubblicata che si porta dietro una piccola rivoluzione: ritornare sui propri passi da narratore concedendosi la scommessa dell’intimità.
«Stranamente per una volta mi sono venute le cose magicamente insieme. Avevo in mente da tempo una raccolta di tre racconti brevi legati da un meccanismo specifico: due persone che si incontrano a età diverse scambiandosi una diversità. In quegli stessi giorni stavo scrivendo la parte di Mr Gwyn in cui veniva citato un libro intitolato Tre volte all’alba. Così ho messo insieme le cose scoprendo che i tre racconti si sarebbero potuti legare alla forma del romanzo. È stato uno dei casi in cui le circostanze si girano in maniera fortunata.Mi ricordo, era mattina, e ho pensato: sì lo voglio fare, voglio provarci». Così, in ordine, Baricco finisce il suo romanzo. E lo pubblica. Subito dopo comincia a scrivere tre situazioni che sono solo in parte una costola di Gwyn, grande scrittore che decide di ritirarsi dal mondo della letteratura per ritrovarsi, facendo ritratti artistici (ma con le parole) di intimità altrui. Ma queste intimità sfuggivano, o meglio rimanevano sospese: erano bagliori, tratteggi, penombre. Erano anime alla ricerca, perché uno degli scopi di Baricco era la fuga. L’inafferrabilità.

Tre volte all’alba riconcepisce queste identità, narrando un primo racconto che conserva tutti gli elementi di Mr Gwyn e che rappresenta il suo autoritratto letterario: ci sono un uomo e una donna, si incontrano in un albergo, è fine notte. Sono lì per un motivo preciso, il meccanismo narrativo è artigianato sottile e condurrà il lettore ad affrontare l’interrogativo della casualità: le persone che incrociamo custodiscono qualcosa per noi? La sorte è davvero sorte? È uno dei temi di questo trittico che svela molto di più del Baricco scrittore: è come se il narratore torinese si fosse creato un movente, quello della costruzione di un marchingegno perfetto, per raccontare l’umanità di tutti i suoi personaggi presenti e passati.
«Inizialmente ero molto preso dal meccanismo del libro, due personaggi che si rincorrono in tre racconti diversi. Poi, come succede, ho riempito questa struttura con storie che mi sono venute soprattutto dall’istinto, e se vogliamo, da una leggerezza. In questa fase l’inconscio lavora molto, togliendo controllo amolte cose. È durante la stesura che mi sono accorto che i personaggi erano profondamente umani». Qui sta il punto, fidarsi di una scrittura che rivela qualcosa di nuovo. Per te scrittore, per te lettore. Se il primo racconto svelava una disillusione, incontrarsi per poi perdersi, il secondo ci porta a un passo dalla salvezza: due ragazzi arrivano nello stesso albergo, sono agitati, il portiere consegna le chiavi della stanza ma nota che c’è qualcosa di strano, soprattutto nel ragazzo. Poco dopo conoscerà il motivo del suo sentore, e dovrà fare una scelta: proteggere o non proteggere? Questo custode di alberghi può avverare un istinto sopito da tempo, prendersi cura veramente di qualcuno. Anche in questo caso l’ordinario diventa straordinario, sempre a fine notte. La trasformazione definitiva è all’alba, nella luce di mezzo che rimette al mondo.

«Ogni libro lascia dietro di sé, in chi lo scrive, una specie di strascico che ci mette un bel po’ ad andare via. Si continua a vedere il riverbero di questa storia appena scritta e anche se non si vorrebbe saperne più niente, la luce resiste. Tre volte all’alba nasce dal bagliore partorito da Mr Gwyn». È questo chiaro di fine notte, o di inizio giorno, che domina le tre situazioni dei racconti e sconta l’eredità di Gwyn: il tentativo di un orfano di riportare a casa le persone. La terza storia è tutto questo, un bambino in una camera d’albergo e una donna poliziotto che sta per andare in pensione. Il bimbo è sul letto e non capisce bene cosa sta succedendo, è guardato a vista dalla donna che non ha pace per le condizioni dell’albergo e per la sofferenza sorda di questo ragazzino. Dovrebbe vegliarlo in attesa di una nuova famiglia affidataria. Ma gli spettri del passato non stanno fermi, il bivio compare anche qui: l’uomo ordinario si fa piccolo eroe, proprio mentre il buio si consuma. Riscattare l’esistenza di un bambino in una notte qualunque? «E in effetti dall’orizzonte si era alzata una luce cristallina a riaccendere le cose e a rimettere in movimento il tempo. Forse era il riflesso sul mare, lontano, ma c’era qualcosa di metallico nell’aria che non tutte le albe hanno, e la donna pensò che questo l’avrebbe aiutata a rimanere lucida, e calma. E per un attimo le tornò su quell’argentea sfrontatezza che aveva da giovane, quando sapeva di non essere né peggio némeglio di tanti altri,ma solamente diversa, in un modo prezioso e inevitabile. Era quando tutto le faceva paura, ma non aveva paura di niente».

In questa paura dissacrata c’è il nucleo dei racconti. Avere il coraggio di saltare la barricata per ritrovarsi del tutto. Gwyn ce l’aveva fatta in parte, i tre personaggi di questi racconti ce la fanno. Finiscono il lavoro. E ci riescono a loro modo, mettendo in gioco le proprie umanità. «Bisogna stare attenti quando si è giovani perché la luce in cui si abita da giovani sarà la luce in cui si vivrà per sempre». Lo pensa il portiere della seconda storia, guardando la ragazza da salvare. È per andare contro a questo incantesimo che ognuno di loro sfrutta quel tempo liminare, l’aurora, per giocarsi l’esistenza.
Baricco è uno scrittore che tiene molto alla lingua di un libro, e all’artigianato delle sue storie. Dà l’impressione che voglia sacrificare un sentimento, o un gesto, per una parola lavorata come si deve. E spesso lo fa. Il lettore può obbedire al suo patto di forma, oppure rifiutarlo. C’è un’altra strada, soprattutto in questo caso: ribellarsi, rovistando tra le righe e smantellando il meccanismo. In Tre volte all’alba il congegno narrativo fila e si vuole arrivare alla fine, certe volte invece capita di soffermarsi. È lì che si nasconde l’umanità sottile di queste storie. Nel primo racconto, la donna è entrata nella camera dell’uomo e si sta spogliando. È sul letto, armeggia con il reggiseno, si blocca un attimo per pensare a quando si è trovata a ricominciare dal niente, dopo aver perso il lavoro. «Si ricomincia da capo per cambiare tavolo, disse. Si ha sempre questa idea di essere capitati nella partita sbagliata, e che con le nostre carte chissà cosa saremmo riusciti a fare se solo ci sedevamo a un altro tavolo da gioco. Cambiare le carte è impossibile, non resta che cambiare il tavolo da gioco». Si sta smentendo, in verità. Ha tentennato da una vita, è passata da un tavolo all’altro sperando in una nuova fortuna. Ma non cambiava niente. Di colpo si decide, rimane ferma. Continua a giocare con le stesse carte baciate della malasorte. Finché capita l’occasione, in un’alba qualsiasi. Se la gioca, e con lei, tutti noi.
Marco Missiroli

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, giovedì  3 maggio 2012

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