giovedì 17 maggio 2012

CANZONIERE : Cantata di Orfeo

CANZONIERE  :  Cantata di Orfeo

Da Orfeo.Euredice. Ermes  di Rilke

“V’erano rocce
boschi spettrali. Ponti sopra il vuoto
e quello stagno grande, grigio, cieco
che incombeva sul suo  letto remoto
come cielo piovoso su un paesaggio.
E la striscia dell’unico sentiero ,
scialba tra prati, facile e paziente,
pareva lino steso a imbiancare.
Per quell’unica via i tre vivevano .”

Da Ulalume di  Poe

“ I cieli erano cupi e cinerei;
Increspate le foglie e appassite_
Ingiallite le foglie e appassite;
La notte  era d’un eremo ottobre
Dell’anno più amaro al ricordo
Presso il lago nerastro dell’Auber,
in mezzo alla valle del Weir-
sul padule fangoso dell’ Auber ,
nel bosco di lamie del weir.
Quivi andavo in un viale titanico
Di cipressi con l’anima mia –
Con psiche con l’Anima mia …”

Scrive Eugenio Scalfari : “ La grandiosa cantata, scritta nel 1904 e – commenta Brodskij in un suo splendido saggio -  ‘ qualcuno può domandarsi se quella non sia stata la più grande opera del  Novecento : un viaggio agli Inferi che differisce  da tutti i viaggi che la poesia  ha immaginato e raccontato nel corso dei millenni , dall’Omero dell’Odissea al Virgilio dell’Eneide, a Dante, ad Amleto alle prese con lo spettro  del padre, a Poe perseguitato dal Corvi sacro  a Minerva.’
La discesa agli inferi aveva come scopo  quello di confermarsi nel proprio esistere ed apprendere dalle anime dei trapassati il valore di vivere guardando la vita all’indietro. Ma per Orfeo – che fu il primo a compiere quel viaggio  - la ragione è diversa : non ha nulla da imparare dai morti  ; deve invece far rivivere la sua amata Euridice  riportandola dal mondo delle tenebre al mondo della luce. Nella letteratura mondiale  non esiste alcuna altra discesa ( o ascesa) nell’oltremondo che abbia questa inaudita finalità . Che infatti si rivela impossibile.
Qui Rilke realizza  un miracolo poetico : Una “cantata” ( non saprei definirla diversamente ) di 95 versi sciolti , intitolata Orfeo. Euridice. Ermes.  Tre sono infatti i personaggi che si muovono in una landa grigia e desolata : Orfeo in testa, più indietro e  discosta Euridice che il dio guida tenendola per mano.
Brodskij analizza parola per parola  quei 95 versi : un grande poeta mette sotto la sua lente d’ingrandimento un altro grande poeta(… ) Brodskij e Rilke dunque tutti e due europei  dell’est, tutti e due russi, uno di nascita ed esule in Occidente e l’altro per adozione ad una  cultura e a una sensibilità.
Due poeti una linea che li congiunge, la sconfitta di due vite  spezzate nel dolore, due altissime voci che salgono da quella sconfitta.
E continua Scalfari : “ La vocazione di Rilke, narratore e poeta, fu quella di  raccontare l’indescrivibile e l’indicibile. E non soltanto di raccontarli , ma di viverli. Forse come nessun altro poeta , tranne Leopardi e Holderin, la sua vita fu tutt’uno con la sua  poesia.
I suopi amori furono pervasi di  castità sentimentale, i corpi erano figure evanescenti nella sua fantasia,i desideri nascevano e si estenuavano  nella menhte e nello sguardo,l’io si estingueva nella fisicità delle cose. Questa sua attitudine alla debolezza, alla deliquescenza, alla liquidità della vita, lo portò all’intreccio delle metamorfosi , alla trasfusione delle idee  e delle immagini l’una nell’altra, a privilegiare il flusso rispetto alla staticità. Sentiva il respiro potente della forza; ne sentiva anche  il fascino e l’attrazione, ma non era cosa sua , della sua natura.
 I personaggi centrali delle elegie, sono gli angeli , depositari della luce e della forza, eterni, intangibili . Quindi terribili, anzi tremendi. Non perché siano portatori di castighi , ma per il fatto di essere ciò che sono : presenze di forze oltremondane , stipiti dell’Universo, cardini nei quali si esprime  l’imperscrutabile divinità, di fronte alla quale l’uomo non può che uscirne annientato. O riscattato dalla sua liquidità spirituale che lo rende inafferrabile nei suoi nascondigli di tenebra.
Orfeo Dionisio è il mito che meglio lo rappresenta. C’è una polarità  evidente tra  gli angeli e le elegie di Orfeo; tra la luce e le ali d’argento dei primi e il canto nouminoso dell’altro; tra l’immortalità angelica e la continua metamorfosi affidata alla lira e al suo cantore. Al fondo è la stessa polarità tra Dionisio e Apollo sulla quale si era già innervata la filosofia da Zarathustra.
Ecco una parte  della seconda Elegia :

Chi mai s’io grido, m’udrà delle schiere celesti?
E d’improvviso un angelo al cuore m’afferri.
Io svanirei della forza in lui chiusa. Perché il bello
è la maschera  solo del tremendo, che noi sopportiamo
ancora ammirati perché indifferente disdegna
di sgretolarci . Sono gli angeli, tutti tremendi .

……

Scendesse  ora l’arcangelo, il pericoloso dagli astri
solo a un passo a noi incontro  -  battendo
alto ribatte il nostro stesso cuore .

…voi polline della fiorente
divinità, voi membra della luce ,vie , scale, troni
scudi voi di delizia, tumulto
di tempestoso tripudio e d’improvviso
specchi voi solitari a cui la scatenata  bellezza
rifluendo, perenne ripullula del proprio viso.
 .Ma dove sente, l’uomo svanisce; esaliamo
Noi fuggitivi, da brace a brace più lieve.


Eremo Via vado di sole, L’Aquila ,giovedì 17 maggio 2012

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