venerdì 18 maggio 2012

SILLABARI : Vergogna (I)

SILLABARI  : Vergogna   (I)


Sul settimanale satirico “Cuore” c’era una volta la rubrica “Vergogniamoci per loro”, presentata come un “servizio di pubblica utilità per chi non è in grado di vergognarsi da solo”.

Forse dovremmo ricordare quella rubrica  appunto pensando a questo sentimento della vergogna che non esiste più nel nostro paese. La vergogna con quel suo rossore sul viso non esiste più . Ce l’hanno  insagnata da bambini , deriva dal latino vereor, che significa rispetto, timore rispettoso, mentre il corrispettivo inglese, shame, si ricollega alla radice indoeuropea kam, che significa nascondere, coprire; dunque l'uno mette l'accento sulla motivazione scatenante (positiva:
il senso di rispetto), l'altra sull'azione conseguente (il nascondere, velare).
Nel libro del Genesi la vergogna è la punizione divina per aver trasgredito il divieto di mangiare il frutto dell'albero della conoscenza: «Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture» (3,7). La conoscenza comporta inevitabilmente la vergogna. Il riconoscersi di Adamo ed Eva come individui distinti e diversi comporta la conoscenza di quel corpo che è la propria manifestazione e l'autocoscienza di essere quel corpo. Il peccato rompe una situazione di pura identità con il tutto. Legata ad una concezione cristiana la vergogna è stata considerata come la testimonianza del peccato di essere un corpo. Molte delle azioni che comportano la vergogna sono legate alla corporeità vissuta come peccato e non come ciò che ci distingue. La vergogna che Adamo prova non solo è legata alla scoperta della propria sessualità, ma segna la presa di coscienza che quel corpo è la sua presenza davanti allo sguardo di Dio e per questo essere riconosciuto perché egli stesso si riconosce nella sua corporeità. Nella vergogna è tutto l'essere ad essere coinvolto, e specificatamente, nel caso del peccato originale, è il corpo ad essere coinvolto.

Il corpo assume una importanza fondamentale al fine della comprensione. La corporeità è la prima oggettivazione che la vergogna opera nell'io, ponendo lo stesso io ha riconoscerlo. Da questo primo approccio alla realtà corporale la persona vergognosa si coglie nella sua realtà mondana. Per questo motivo la vergogna si individua a partire dalla corporeità perché l'io improvvisamente vive dentro di sé la consapevolezza della propria corporeità come espressione di se stesso. Giovanni Chimirri offre una corporeità lontana da falsi pudori: «Il corpo, nonostante la sua esteriorità, è qualcosa di intimo per l'uomo, è qualcosa che rinvia ad un "interno", il quale a sua volta è solo attraverso il corpo che può manifestarsi come soggetto di diritto»

In effetti dal punto di vista fenomenologico il senso della vergogna viene descritto come:
- un senso improvviso e sgradevole di nudità, di sentirsi scoperti, spogliati, smascherati, - il conseguente desiderio di sparire, di sprofondare, di diventare invisibili, - un senso di paralisi, di blocco, un sentirsi irrigiditi, pietrificati.
La sensazione generale che ne deriva è una sorta di profondo turbamento, di disorientamento, di confusione, desiderio di fuga e di blocco dell'azione.


La vergogna è conseguente ad una sensazione di smascheramento: cade la maschera, ciò con cui ci si tende a coprire, a proteggere, l'intimità del proprio sé e l'immagine di sé diventa improvvisamente evidente all'occhio esterno, alla vista degli altri; ci si percepisce nudi, esposti allo sguardo altrui, visti per come si è e non si ci si sarebbe voluti mostrare.
In genere il senso di vergogna è associato al rendersi improvvisamente evidenti di quei lati di noi che consideriamo sgradevoli, indecenti, o addirittura mostruosi.
A differenza di questo il pudore, come vedremo, ha una sfumatura leggermente più tenue: esso pone l'accento sul bisogno di proteggere qualcosa di intimo che tuttavia non è necessariamente vissuto come inadeguato o sgradevole.
Il senso della vergogna si pone su un piano di esperienza piuttosto immediata, di tipo percettivo, particolarmente associata al senso della vista: è legata ad un'immagine visiva che si fa evidente, che non è necessariamente ancora parola, e quindi pensiero.
Spesso proprio quando diventa dicibile, quando passa cioè dal piano percettivo a quello del pensiero, perde parte della propria intensità. Arrivare a dire che si prova vergogna e a individuare che cosa genera tale sensazione spesso segna l'inizio dell'elaborazione che può portare dall'accettazione, all'ironia, fino all'autoironia liberatoria.
Tuttavia, pur essendo immediata e percettiva, fa parte delle cosiddette emozioni complesse, che richiedono cioè un certo grado di evoluzione, in quanto fa riferimento ad un modello del sé già esistente e ad un insieme di regole sociali, più o meno esplicite, con cui quell'immagine di sé si trova direttamente in relazione: la vergogna richiede quindi un certo livello di coscienza.
Una caratteristica specifica della vergogna è il suo carattere instabile e aleatorio che la rende talvolta più difficile da cogliere e riconoscere rispetto ad altre emozioni: è un'emozione episodica, in cui non si resta a lungo, che tende piuttosto a trasformarsi in altre emozioni simili (rabbia, colpa, invidia, ansia,).
Funziona prevalentemente per accessi, del tipo tutto o nulla e tende a coinvolgere globalmente il sé.
Inoltre presenta un carattere di contagio e di transitività: si prova vergogna per essersi vergognati, si prova imbarazzo di fronte all'improvviso vergognarsi di qualcuno, ci si vegogna di parenti o amici.
Queste caratteristiche rendono difficile l'ascolto della vergogna e quindi la sua reale e profonda accoglienza, sia da parte di chi la sperimenta e sia da parte di chi ascolta: il terapeuta spesso tende, per difesa inconscia, a ricondurre l'esperienza della vergogna ad altri registri, per esempio della colpa o dell'invidia, come se risultassero più facili da affrontare.
Il momento della vergogna sembra quindi assai difficile da accogliere ed accettare: si tende più facilmente a fuggirlo.
Esiste poi uno specifico carattere corporeo della vergogna: spesso il corpo viene particolarmente chiamato in causa da questa emozione e ne diventa il supporto espressivo.
Il sé difettoso si "incarna" per così dire nel corpo che si trasforma nell'oggetto vergognoso da nascondere: la mimica della vergogna lo esprime bene con i gesti di ripiegamento su se stessi, l'abbassare gli occhi, coprirsi la bocca o altre parti del corpo.
Vergognarsi del proprio corpo, della sua forma, della sua goffaggine o rigidità di movimento è un modo piuttosto immediato attraverso cui si esprime la vergogna di sé, la non accettazione, l'autogiudizio e l'autocondanna.
L'intensità del vissuto di vergogna è variabile: quando è sentita come insopportabile la vergogna viene nascosta o più spesso camuffata in rabbia, odio, invidia o depressione, apatia, ritiro.
Inoltre la vergogna si pone sul crinale tra intrapsichico ed interpersonale:
si tratta infatti di un sentimento che riguarda contemporaneamente - la sfera della massima intimità dell'individuo e della sua interiorità, il senso di sé e le sofferenze e i disagi ad esso connesse, - la dimensione relazionale e sociale in quanto concerne i vissuti relativi al sentirsi visti dall'altro.
Quindi il senso di vergogna mette in relazione l'esperienza intrapsichica con quella interpersonale, la sfera narcisistica e la sfera cosiddetta oggettuale, ponendosi su un terreno di mediazione tra i due versanti, che del resto sono sempre intimamente intrecciati.
Il sentimento della vergogna è strettamente legato all'immagine di sé ovvero è connesso non tanto a ciò che si fa o si è fatto (il che rimanda di più alla colpa), quanto a ciò che si è.
Possiamo provare a tracciare a grandi linee la distinzione tra colpa e vergogna.
La colpa appartiene più al registro della trasgressione, mentre la vergogna a quello dello scacco, del non essere all'altezza.
La colpa è un sentimento di autocondanna rispetto ad un'azione specifica (che non si doveva compiere e si è compiuta o viceversa); il rimedio è connesso alla confessione (aspetto catartico), alla ricerca di "perdono" (riconciliazione) e, quando è possibile, alla riparazione.
La vergogna è invece un senso di avversione e di condanna verso il proprio sé, è quindi più diffuso e generalizzato, si estende in genere all'intero sé percepito come deficitario, imperfetto, inadeguato, con qualcosa che "non va". La reazione è il nascondimento, la tendenza all'occultamento di sé.
L'antidoto all'esperienza di vergogna mette in ballo la sfera narcisistica del rapporto con se stessi: richiede un difficile lavoro di accettazione del sé difettoso da parte di se stessi e quindi degli altri.
La vergogna è quindi più difficile da affrontare della colpa, presenta meno possibilità di risoluzione e fa sentire più impotenti.
La vergogna quindi ha a che fare particolarmente con l'identità, con l'immagine di sé, con quegli aspetti difettosi di se stessi in cui è riposta - consciamente o inconsciamente - la propria identità.
Questo svelamento della propria identità - e nel caso della vergogna è uno svelamento doloroso - di ciò che si sente di essere, avviene inevitabilmente in contesto relazionale: passa cioè attraverso lo sguardo dell'altro.
Quindi "mi vedo" - e mi vedo in quel determinato modo, che suscita in me un sentimento preciso - guardandomi attraverso l'occhio altrui, cioè "mi vedo per come mi sento visto", e viceversa continuo a sentirmi visto per come mi vedo.
C'è un gioco di specchi tra il senso deficitario di sé che "viene da dentro", e il senso di sé, altrettanto deficitario, che "viene da fuori"che si continua a vivere come rimando da parte degli altri: una sorta di cortocircuito penoso da cui può riuscire difficile saltare fuori.
Tuttavia è questo stesso gioco di specchi che rende possibile, nella relazione terapeutica, l'aprirsi di un varco, la possibilità di una sguardo diverso, non giudicante bensì accogliente, che può consentire il graduale recupero della dignità di sé e il relativo superamento del penoso vissuto di vergogna.
Il sentimento di vergogna coincide quindi con il fissarsi in me di un'immagine di me stesso inadeguata, sgradevole e soprattutto inaccettabile, immagine con cui, in proporzioni più o meno intense, tendo ripetutamente ad identificarmi.
In primo piano, per quanto riguarda dunque il sentimento della vergogna, è il senso della vista: l'essere visti, il provare disagio per come ci si sente visti (da sé e dagli altri) e quindi il volersi nascondere alla vista e, in ultima analisi, il non voler a propria volta vedere.
Un gioco di sguardi tra un Io e un Tu, le cui traiettorie si incrociano, generano turbamenti, tendono ad evitarsi e talvolta a scambiarsi e con-fondersi; giochi di sguardi dove l'Oggetto Vergognoso talvolta sono Io a vederlo e talvolta lo vedi Tu, un gioco di visioni ma anche di sviste reciproche in cui restano impigliate le rispettive identità, in un emergere di rossori, imbarazzi e timori che aprono comunque alla percezione dell'Alterità.

Le immagini sono opere di Savinio
Da uno studio di Agnese Galotti
Eremo Via vado di sole, venerdì 18 maggio 2012

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