mercoledì 20 aprile 2011

ET TERRA MOTA EST : Crepe nel reale dall’urbanità alla territorialità

ET TERRA MOTA EST : Crepe nel reale dall’urbanità alla territorialità

Intervista di Monica Giuliato a Franco La Cecla architetto,antropologo,scrittore, regista teatrale e cinematografico,grande viaggiatore .Come osservatore “ curioso “ egli descrive in questa intervista un aspetto di l’Aquila anche come anticipazione di un racconto da lui scritto per la mostra su “thomas Ashby e l’Abruzzo”

"Tra tutti i luoghi del mondo che frequenti abitualmente, c'è anche L'Aquila, un luogo che sta vivendo una situazione veramente difficile e dal quale molti sono fuggiti e altri fuggirebbero volentieri. Cosa ti conduce qui?"

"lo non sono aquilano e non sono stato coinvolto dalla tragedia del terremoto. L'Aquila io la vedo dall'esterno, anche se la conoscevo bene già da prima. Posso quindi mantenere il mio sguardo, che è curioso, non drammatico. La mia impressione è che oggi L'Aquila sia un posto magnifico, dove si trova un'energia e una freschezza rare, soprattutto in Italia. Anche se svuotata dalIa gente che ci viveva, L'Aquila è comunque il centro delle serate dei giovani. E mi sembra che tutto ciò non esprima soltanto il grandissimo bisogno di riappropriarsi delIa città"ricostruita". Quando i giovani riniziano a raccontare, è come se avessero costruito tutta una mitologia de L'Aquila stessa.


Per la maggior parte ti parlo di giovani di 20-30 anni, che prima del terremoto erano disamorati della propria città, che se ne erano andati, come tanti giovani del sud, perché non avevano possibilità di lavoro. È come se il terremoto li avesse riportati tutti qui, non tanto per coltivare l'illusione di restare qui per sempre, ma semplicemente per non rinunciare ad essere.di qui.

Il terremoto ha creato e crea ancora sofferenza, ha scompigliato le carte, continua a scompaginare la società, ma, a chi ha voglia di vederlo, ha anche fatto crescere qualcosa di positivo, perché ha aperto ai giovani uno spazio che prima non c'era. Tutto ciò mi incuriosisce molto come antropologo: c'è una visione della città che prima non esisteva, ed è fatta di pura nostalgia di tutti i luoghi "perduti". Le storie che i giovani raccontano sono dense di panchine dei primi baci, di vicoli e angoli dei primi discorsi politici; oggi sono tutti "rovine" transennate, vietate al transito, che teneramente i giovani pretendono di "rivivere" ogni sera con nostalgia. Forse è per questo che le rovine de L'Aquila, proprio come quelle di Berlino, a me ispirano invece una grande possibilità di futuro.

Poi c'è un'altra cosa interessante, di cui invece pochi parlano. L'Aquila, in realtà, è ancora molto abitata. Grazie al vizio, tipicamente italiano, di avere la seconda casa nella campagna vicina al centro dove si vive, molti aquilani che hanno visto crollare la loro casa del centro, si sono trasferiti nella campagna intorno alla città, "ruotano" intorno alla città. Questo è un fatto molto interessante perché è come se la campagna, l'hinterland de L'Aquila avesse preso un'importanza che prima non possedeva. È come se la città venisse guardata e "attesa" sia dall'esterno che da vicino.

Prima il rapporto con l'entroterra era quasi di disprezzo: c'erano i "cittadini" e i "pecorai". Oggi è invece tutto cambiato, perché il territorio abitato dai "cittadini" è proprio quello dei "pecorai".


Questo è ciò che ho cercato di raccontare nel testo per il portfolio della mostra di Thomas Ashby: come un territorio che era molto tradizionale, stia diventando molto simile ad altri territori globalizzati, vissuti in maniera "diffusa". Nel caso de L'Aquila, la direttrice, che è la statale, sta diventando l'asse dove la gente si incontra, dove si dà appuntamento. La gente si vede alla Tamoil, o si dà appuntamento in un pub a 20 km dalla città .L’animazione dell ‘ attività dè territorio, che prima era prevalentemente concentrata in centro, ora si è "sparsa". C'è già una componente molto moderna: si vive "on the road", in un modo interessante perché comunque la gente si cerca. È diventato assolutamente normale percorrere 20-30 km per bere qualcosa insieme, per vedere un amico. Tutto ciò ha in qualche modo "restituito" il territorio aquilano agli aquilani stessi: ci si è ri-accorti del fatto che si vive immersi in un "intorno" dalla bellezza straordinaria. Avendo perso l'urbanità, si è riconquistata una territorialità che prima non c'era, ma in una maniera estremamente originale, sicuramente più americana che italiana, per cui è diventato "normale" fare tanta strada per incontrare un amico. Questo nuovo modo di vivere il territorio ha dato luogo a fenomeni veramente interessanti, a iniziative che agli occhi di un comune abitante italiano possono apparire folli, come, ad esempio, il bistrot berlinese aperto da due giovani a S.Gregorio, sotto una transenna e in quasi totale assenza di abitanti, o nell'ottimo ristorante della Tamoil, dove oltre a mangiare bene ci si diverte, o nel furgone parcheggiato lungo la statale, gestito da due signore che preparano un ottimo pesce fritto alla "gente che passa". Il fatto è che la gente di lì non ci passa e basta, lì si incontra. È come se l'aspetto di accampamento stia prendendo una sua versione che è una nuova maniera di vivere il territorio: nonostante il freddo gelido, si sta fuori come mai prima, si vive all'aria aperta, le storie che si raccontano sono storie di lupi, lupi tornati, lupi incrociati, lupi investiti. È come se la grande mitologia dell'Abruzzo stia ritornando e si stia spargendo proprio come la gente. Poi ci sono anche altre iniziative interessanti. Di fronte alla follia immobile di una città transennata dalla "politica" ci sono cose che si muovono e cambiano grazie all'intelligenza e alla capacità di aggirare la politica stessa. Ad esempio, a S.Gregorio è stato messo in piedi un cantiere di ricostruzione con l'Università austriaca. È interessante perché i proprietari delle case coinvolte si sono messi assieme e sono riusciti a far aprire il cantiere con un escamotage geniale, poiché non hanno presentato domanda di ricostruzione, ma di "restauro". Anche se erano rimaste in piedi tre pietre, hanno richiesto il restauro. Ecco, tutto ciò trovo interessante nel presente aquilano: l'interruzione della normalità ha creato delle vere e proprie crepe del reale dalle quali oggi è possibile scorgere prospettive diverse, originali e modi innovativi di "fare" società.

Hai delineato un presente aquilano che forse nessuno aveva ancora notato, o racconta¬to. Cosa vedi, o cosa ti auguri per il futuro de L'Aquila?"

Mi auguro che prevalga il romanticismo, l'energia e la luce dei giovani aquilani su quella specie di prevenzione che gli abruzzesi adulti, i "padri" hanno nei confronti di loro stessi, pensandosi come un popolo "duro", di pastori che non sanno comunicare. Mi auguro che vada perduta anche la loro forma di relazione con il proprio territorio, un po' gelosa, del tipo "solo noi lo conosciamo" ma anche piuttosto rassegnata - "siamo abbandonati dal governo centrale però in qualche modo siamo anche orgogliosi di esserlo" - e pessimista, destinata al ripiegamento del "almeno stiamo tra di noi".

Tutto quello che può venire di buono in futuro, secondo me, può giungere dal fatto che comunque le nuove generazioni non sono dentro a queste visioni: essendo andati via e facendo la spola con altri luoghi, hanno maturato nuove pretese di vita che ora vogliono realizzare nel loro territorio di appartenenza. Mi auguro anche che prevalga lo straordinario aspetto romantico che possiede oggi questo territorio: questo paesaggio notturno punteggiato di fari di automobili, di giovani che vanno da un pub all'altro senza alcuna regola e con la sola speranza di "incontrarsi". Si vede e si sente che i padri erano "pesanti". Il terremoto ha, in qualche modo, sospeso le loro regole e reso più leggeri i figli, allontanandoli (spero) per sempre dal pessimismo."

Fonte Intervista a Franco La Cecla da MU6 Anno VI/II Trimestre n.19/2011

Eremo Via vado di sole , L'Aquila, mercoledì 20 aprile 2011

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