lunedì 11 aprile 2011

SILLABARI : Possibilità

SILLABARI : Possibilità


Ha scritto Kierkegaard «Esistere significa "poter scegliere"; anzi, essere possibilità. Ma ciò non costituisce la ricchezza, bensí la miseria dell'uomo. La sua libertà di scelta non rappresenta la sua grandezza, ma il suo permanente dramma. Infatti egli si trova sempre di fronte all'alternativa di una "possibilità che sí" e di una "possibilità che no" senza possedere alcun criterio di scelta. E brancola nel buio, in una posizione instabile, nella permanente indecisione, senza riuscire ad orientare la propria vita, intenzionalmente, in un senso o nell'altro.»

La categoria della possibilità è connaturata al pensiero umano. Il senso della possibilità, come ricorda Andrea Borghini citando Robert Musil, è “la capacità di pensare tutto ciò che potrebbe essere, e di non dar maggior importanza a quello che è, che a quello che non è” (p. 7). In quanto pensiero della diversità, il pensiero della possibilità riesce a far risaltare le ragioni d’essere della realtà. La possibilità, comunque, non è soltanto una categoria filosofica. Si può anzi affermare che la nozione del possibile giunge ad introdursi quotidianamente nei nostri ragionamenti, allorché pensiamo fatti e circostanze sub conditione, nonché quando tentiamo di individuare le cause di un evento o di argomentare dialetticamente contro una tesi. Qual è, tuttavia, il significato della possibilità? O, per esprimerci nei termini di Borghini, “che cosa significa dire che una certa situazione è possibile?” (p. 8). A questa domanda, che manifesterebbe il “problema della possibilità”, si connettono altre due questioni: “come veniamo a conoscenza di ciò che è possibile?” (problema epistemico della possibilità) e “che cos’è un ente possibile?” (problema metafisico della possibilità) (p. 9).

Nella prospettiva della filosofia analitica (entro la quale Borghini sceglie di collocarsi) sono state elaborate numerose teorie della possibilità. Certamente si potrebbe evitare di porre simili interrogativi, adducendo le motivazioni di un “common sense” di stampo empiristico che riterrebbe la possibilità nulla più di un parto del pensiero umano, di un’utile finzione, rigettando contemporaneamente i tre problemi appena esposti. Nessuno scetticismo e nessun atteggiamento empiristico, tuttavia, può essere considerato degno dell’attività filosofica, se non riesce a rendere ragione di se stesso. Anche lo scetticismo, pertanto, ha il dovere di porsi adeguatamente come teoria della possibilità.


In linea generale, si può sottoporre l’intero dibattito sulla possibilità ad una triplice classificazione. In primo luogo, bisognerà chiedersi se i possibili siano concetti oppure no. In caso di risposta negativa, sarà necessario considerarli o come espressioni incomprensibili (scetticismo), o come espressioni di sentimenti (espressivismo). Lo scetticismo, a sua volta, può affermare che la possibilità riguarda soltanto il modo in cui parliamo di una cosa (scetticismo quiniano) oppure che la “mera possibilità” non è affatto indagabile (scetticismo radicale). Lo scettico radicale, però, non riesce a render ragione del carattere aprioristico di alcune conoscenze umane. L’espressivismo, invece, che reputa la possibilità di x come l’espressione di un sentimento del parlante nei confronti di x, si trova in difficoltà quando deve indicare il sentimento in questione e quando deve fondare, sulla scorta di esso, le implicazioni argomentative tra possibili. Abbiamo citato le obiezioni dell’anti-scetticismo ed anti-espressivismo non tanto per rilevare le posizioni di Borghini in proposito (posizioni che peraltro non vengono mai tematizzate apertamente nel libro), quanto per esemplificare il procedimento scelto dall’autore ed i suoi intenti: esporre i problemi e le tesi, classificarle, rilevarne i punti di forza ed i punti deboli.

Sulla possibilità Andrea Borghini scrive un libro nel quale si sofferma anche sulle teorie della possibilità che giudicano fattibile dal punto di vista concettuale la disputa sui possibili. Si deve stabilire, a questo punto, se i concetti dei possibili possano essere analizzati nei termini di altri concetti oppure no. Il modalismo, che non reputa realizzabile una simile analisi, riconosce l’irriducibilità dei concetti modali, cioè il fatto che essi siano parte del nostro mondo proprio in quanto concetti modali. I filosofi che si sono accinti a spiegare concettualmente la possibilità, invece, hanno fatto ricorso, nella maggior parte dei casi, ad una teoria tanto affascinante quanto densa di problematiche ontologiche e conoscitive: la teoria dei mondi possibili.

I mondi possibili, per esprimerci in termini semplificati, sono mondi nei quali ciò che è possibile nel nostro mondo diviene reale o viene pensato come tale. Sullo statuto dei mondi possibili, tuttavia, non si può affatto riscontrare consenso nel panorama della filosofia analitica. David Lewis, ad esempio, ritiene che i mondi possibili siano nient’altro che mondi reali distinti dal nostro: la possibilità, allora, indica semplicemente l’esistenza di un oggetto o di un evento in un altro mondo, concreto al pari del nostro. Il realismo modale di Lewis pare contrapporsi direttamente al funzionalismo, per il quale i mondi possibili non sono altro che utili finzioni per spiegare gli enunciati modali.


L’agnosticismo, invece, farà precedere la spiegazione di questi enunciati dalla verifica delle loro condizioni di ammissibilità: esso, perciò, distinguendosi dallo scetticismo, “accetta la plausibilità di una teoria della possibilità, in particolare di una teoria dei mondi possibili, ma nega l’assenso circa la verità di quelle asserzioni modali del linguaggio ordinario” la cui traduzione implicherebbe di affidarsi all’esistenza di situazioni “totalmente difformi dalle situazioni che si verificano nel nostro mondo” (p. 80). L’ersatzismo, infine, ritiene che vi sia un solo mondo attuale, il nostro, del quale gli stati possibili non sarebbero altro che surrogati. La nozione di surrogato, però, si presenta in modo alquanto vario, a seconda che si stia trattando di descrizioni complete e consistenti di stati di cose (ersatzismo linguistico), di loro ricombinazioni (combinatorialismo) o rappresentazioni quadridimensionali (ersatzismo pittorico), o che si consideri il mondo possibile surrogato come un ente unico ed indivisibile (ersatzismo atomico). In linea generale, comunque, tutte le teorie dei mondi possibili devono render ragione della reidentificabilità degli stessi oggetti in mondi distinti. Il disposizionalismo, d’altronde, che rifiuta tali teorie e pensa i possibili come disposizioni degli enti del mondo attuale, dovrà chiarire il numero e la natura di tali disposizioni.


Massimo Cacciari al Festival della filosofia di Modena Carpi nella edizione del 2010 che aveva come tema la fortuna ha tenuto una lezione sulla possibilià.Proprio la libertà come possibilità è oggetto di un intervista al filosofo pubblicata su : http://www.pantarei.co.uk/index.php?option=com_content&task=view&id=114&Itemid=109 Cacciari così risponde ad una domanda :

L'idea di libertà è, in questi momenti difficili, utilizzata spesso come slogan a favore delle proprie posizioni politiche. Lei si è occupato di questo argomento in alcuni suoi interventi e scritti: quando si può parlare effettivamente di libertà e in che senso?

Mi pare che tutta la filosofia moderna e contemporanea abbia riconosciuto il carattere sostanzialmente aporetico dell'idea di libertà. Nella filosofia e teologia medioevale il problema veniva girato con l'argomentazione che il libero volere fosse innato e irraggiasse immediato a deo nell'anima. Quindi la libertà del nostro volere diventa una sorta di argomentum fidei. In quanto creati da Dio a sua immagine siamo liberi e la libertà è il sigillo che immediatamente, senza l'intervento di nessuna causa secondaria, Dio ha impresso nella nostra anima. Caduta questa visione o messa in crisi, il carattere aporetico si impone immediatamente anche nel caso di Spinoza, perché in Spinoza è esplicito che la nostra idea di libertà così come

comunemente viene declinata è niente altro che il sintomo della nostra ignoranza sulla causa. Quindi vi è un atteggiamento essenzialmente "naturalistico" dal punto di vista della libertà. La libertà coincide classicamente, per Spinoza, con la capacità che abbiamo di liberarci dalle passioni in quanto idee confuse e non ordinate. L'idea di libertà che è l'idea di incondizionatezza è un errore, è assolutamente fuori luogo, è un frutto delle nostre illusioni, è sostanzialmente una passione perché noi riteniamo di poter essere incondizionati, così che l'idea di libertà coinciderebbe con l'idea di assoluta incondizionatezza. Ma da questo punto di vista assolutamente incondizionata è solo la sostanza.

Il carattere aporetico della libertà, che ritorna anche in Kant, è un'idea che, in quanto idea, è indimostrabile. Kant parla proprio diidea per indicare un'affermazione che non è dimostrabile. Anche se questa è base e condizione del nostro agire, ciò non toglie che sia un'idea, cioè qualcosa di scientificamente non dimostrabile. Da questo punto di vista si distingue tra volere e libertà: infatti una cosa è dire volere - nella tradizione filosofica precedente volere e libertà si confondono nell'idea di volere libero - ma dire volere o dire libertà significa indicare delle cose diverse. Che vogliamo è il fatto su cui nulla possiamo, ma dal fatto che vogliamo è del tutto illogico ed erroneo passare all'affermazione che siamo liberi. Noi tendiamo passare dal fatto che vogliamo all'idea di essere liberi, ma questo è un passaggio ad altro genere. Mentre è indubitabile che vogliamo, non è affatto un fatto che siamo liberi e sulla base del volere non si può dimostrare alcun essere libero. Questo è lo sviluppo che della filosofia kantiana svolge Schopenhauer.

Eremo Via vado di sole, L'Aquila,

lunedì 11 aprile 2011


Nessun commento:

Posta un commento