venerdì 8 aprile 2011

MEDITERRANEO : Nel mare ci sono i coccodrilli

MEDITERRANEO : Nel mare ci sono i coccodrilli


E’ la storia vera, stupenda e commovente, di un ragazzino afghano e dell'incredibile forza che lo porta in Italia, passando per l'Iran, la Turchia e la Grecia. Un'odissea che l'ha messo in contatto con la miseria e la nobiltà degli uomini e che, nonostante tutto, non è riuscita a fargli perdere l'ironia né a cancellargli dal volto il suo formidabile sorriso.

«Tanti pensano che i talebani siano afghani, Fabio, ma non è così. Ci sono afghani tra di loro, ovvio, ma non solo: sono ignoranti, ignoranti di tutto il mondo che impediscono ai bambini di studiare perché temono che possano capire che non fanno ciò che fanno nel nome di Dio, ma per i loro affari».

Ricordo che il primo anno mi sono trovato male con i compagni, perché a me piaceva parecchio andare a scuola. Per me era un privilegio. Studiavo tantissimo e se prendevo un brutto voto andavo subito dall'insegnante a dire che volevo recuperare e agli altri dava un sacco fastidio Questa cosa, e anche quelli più piccoli di me dicevano che ero un secchione. Poi è andata meglio. Ho fatto amicizia. Ho imparato molte cose che mi hanno costretto a guardare la vita con occhi diversi, come quando ti metti un paio di occhiali da sole con le lenti colorate. Quando studiavo igiene ero stupito da Quello che mi dicevano, perché lo paragonavo al mio passato, alle condizioni in cui avevo vissuto, al cibo che avevo mangiato eccetera: mi sono chiesto com'era possibile che fossi ancora tutto integro.

Ero alla fine della seconda Quando è arrivata una lettera, a casa, che diceva che dovevo presentarmi a Roma per incontrare la commissione che avrebbe stabilito se potevo ottenere il permesso di soggiorno come rifugiato politico. La aspettavo, quella lettera.


La aspettavo perché al Ctp Parini avevo conosciuto un ragazzo afghano che era arrivato in Italia poco prima di me e che aveva una storia molto simile alla mia. Così tutto quello che capitava a lui, be', dopo poco capitava anche a me, tipo essere chiamato per i documenti e cose del genere. Lui aveva ricevuto la lettera alcuni mesi prima, era andato a Roma, aveva incontrato la commissione e la risposta era stata: niente rifugiato politico.

Ricordo la sua disperazione Quand'era tornato e me lo aveva detto. Non riuscivo a capire.

Perché non glielo avevano concesso? Senon lo avevano concesso a lui, non lo avrebbero concesso neppure a me. Ricordo che si prendeva la testa tra le mani, Questo mio amico, piangendo, ma senza lacrime, piangendo con la voce e con le spalle, e diceva:

Ora dove posso andare?


Un giorno sono partito in treno con Marco e Danila e ho fatto al contrario la strada che avevo fatto per arrivare da Roma a Torino.

Ci siamo presentati puntuali in Questo palazzo, in una zona che ora non ricordo, abbiamo atteso un pochetto, poi hannochiamato il mio nome, che è rimbombato per tutto il corridoio. Marco e Danila sono rimasti lì. lo sono entrato.

Siediti, mi hanno detto.

Mi sono seduto.

Quello è il tuo interprete, hanno detto, indicando un ragazzo vicino alla porta.

Ho detto che avrei preferito fare senza.

Grazie.


Parli bene l'italiano Quindi, hanno detto.Ho risposto che sì, lo parlavo abbastanza bene. Ma non era solo Quello. Se parli diret-

tamente con le persone trasmetti un'emozione più intensa, anche se le parole sonoincerte e la cadenza è diversa; in ogni caso,il messaggio che arriva assomiglia di più a quello che hai in testa, rispetto a quello che potrebbe ripetere un interprete - o no? - perché dalla bocca dell'interprete non escono emozioni, escono parole, e le parole sono solo un guscio. Abbiamo chiacchierato per quarantacinque minuti. Ho raccontato tutto, ogni cosa. Ho raccontato di Nava, di mio padre e di mia madre, del viaggio, di Quando dormivo, lì, a Torino, a casa di Marco e Danila, e degli incubi che agitavano le mie notti, Quasi come il vento aveva agitato il mare tra la Turchia e la Grecia, e che in quegli incubi fuggivo e, fuggendo, cadevo dal letto, spesso, oppure mi alzavo, strappavo via la coperta, me la avvolgevo attorno alle spalle, scendevo le scale, aprivo la porta del cortile e andavo a dormire in macchina, e tutto questo senza rendermene conto, oppure piegavo i vestiti da una parte, ordinati,emi sdraiavo in bagno, in un angolino. Ho raccontato che cercavo sempre gli angolini, per dormire. Ero - come si dice? - un sonnambulo. Ho raccontato tutto Questo e a un certo punto lui, il commìssario ha detto che non capiva perché dovevo fare il rifugiato politico dato che in Afghanistan non c'era una situazione così pericolosa per gli afghani, in fondo; che io sarei benissimo potuto restare a casa mia.

Allora ho tirato fuori il giornale. Era un Quotidiano di pochi giorni prima. Ho indicato un articolo.

Il titolo era: Afghanistan, bimbo-talebano sgozza una spia.


Il giornalista raccontava di un ragazzino senza nome che era stato ripreso dalle telecamere mentre tagliava la gola a un prigioniero

urlando Allah Akbar. La sequenza era stata diffusa dalla propaganda talebana nelle zone di confine pakistane. Nel video si vedeva il prigioniero, un uomo afghano, ammettere le proprie colpe davanti a un gruppo di militanti, fra cui c'erano molti adolescenti. Quindi la parola passava al boia, un ragazzino, davvero, piccolissimo, con addosso una giacca mimetica di alcune taglie troppo grande. È una spia americana, diceva il ragazzino armato di coltellaccio rivolto alla telecamera. Gente come questa merita la morte. A quel punto un talebano sollevava la barba del condannato mentre tutti urlavano Allah Akbar, Allah Akbar, Dio è grande, e il ragazzino affondava la lama e sgozzava l'uomo.

Ho indicato l'articolo. Ho detto: Sarei potuto essere io, Quel ragazzino.

'Che il permesso di soggiorno come rifugiato politico mi era stato concesso, be', me lo hanno detto qualche giorno dopo.


Il racconto scritto da Fabio Geda e pubblicato nel volume “ Nel mare ci sono i coccodrilli da B.C Dalai editore è la storia vera di Enaiatollah Akbari che dopo una serie di peripezie riesce ad ottenere l’asilo politico in Italia.

Enaiatollah racconta le sue vicissitudini, dall’infanzia fino al suo arrivo in Italia. Il padre morì a seguito di un agguato. La madre, per evitare che Enaiatollah fosse preso come risarcimento della merce perduta e fatto schiavo dai creditore non potè fare altro che portarlo in Pakistan e abbandonarlo là. E così, all’età di dieci o forse undici anni, il nostro eroe dovette cavarsela da solo con diversi lavoretti. Dal Pakistan poi andò in Iran dove fece il muratore. Fu rimpatriato diverse volte ma non si arrese. Continuò a tornare in Iran finchè, stufo, decise di andarsene. Comincia così un’odissea che lo porterà, trasportato dai mercanti di uomini, prima in Turchia, poi in Grecia e infine a Roma. Una volta in Italia, Enaiatollah riesce a rintracciare un conoscente che sta a Torino. Lì conosce un’assistente sociale che decide di ospitarlo in casa propria facendo una pratica di affidamento.

Enaiatollah è ora rifugiato politico in Italia e può avere una vita serena. La sua storia, per quanto forte e piena di sofferenza, non è una delle più terribili. Molti sono coloro che non possono raccontare le loro storie di disperazione perché non ce la fanno ad arrivare, perché muoiono nel viaggio o vengono ricacciati senza essere ascoltati vedendo i loro diritti calpestati e ignorati.


Fabio Geda è nato nel 1972 a Torino, dove vive. Si occupa di disagio minorile e animazione culturale. Scrive su Linus e su La Stampa circa i temi del crescere e dell'educare. Collabora stabilmente con la Scuola Holden, il Circolo dei Lettori di Torino e la Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura.


Eremo Via vado di sole , L'Aquila,
venerdì 8 aprile 2011

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