mercoledì 27 aprile 2011

GRAFFITI : L’Aquila da ricostruire e l’idea di città

GRAFFITI : L’Aquila da ricostruire e l’idea di città


La lettura di un articolo di Irene Tinagli dal titolo “ Primo Maggio e vecchie barricate mentali “ su la stampa di mercoledì 27 aprile 2011 mi ha fatto pensare di nuovo e di prima mattina alla situazione di l’Aquila terremotata e delle difficoltà per la ricostruzione del centro storico .


Irene Tinagli che è una economista e insegna in Italia e in Spagna parte nella sua riflessione dalla questione “apertura si apertura no” dei negozi per le feste come quelle del 25 aprile e del 1 maggio, esaminando le polemiche tra la segreteria della Cgil Susanna Camusso contraria all’apertura e Matteo Renzi favorevole.

La questione che a me sembra interessante per tutti i risvolti sociali, culturali ed economici che contiene in realtà viene affrontata come riferisce la stessa Tinagli a livello di battaglia sul piano ideologico. Tinagli quindi nello stigmatizzare la polemica per la quale una questione così importante viene affrontata sulla punta del fioretto ideologico in un duello che non sa né di sale né di pepe , dico io, allarga il suo sguardo .


Afferma infatti : “A che servono i negozi, le botteghe, i bar o i ristoranti nei centri delle città? No, non servono solo a far cassa. Per quello basta un centro commerciale, uno dei tanti che punteggiano le uscite autostradali. I negozi cittadini, o meglio «le botteghe», così come i bar, le osterie e i ristoranti sono più di un registratore di cassa, sono parti vitali di un essere vivo e pulsante: la città. Solo chi non ha capito cosa è una città, come e perché è nata e perché sopravvive, può pensare ai negozi come meri luoghi di commercio o avamposti del consumismo moderno. Le botteghe cittadine sono una delle realtà più antiche del nostro Paese, uno dei fenomeni attraverso i quali si è manifestata in maniera più evidente l’imprenditorialità diffusa della nostra gente, e attorno ai quali brulicava la vita di paese e quella socialità che tutto il mondo ci invidiava.”

E continua : “ Le città sono equilibri delicati, sono luoghi di economia, ma anche di socialità e cultura, e queste tre anime, economica, culturale e sociale si sostengono reciprocamente. Non si va in un’osteria in centro solo per sfamarsi, ma perché prima si può fare un aperitivo nel corso e dopo una passeggiata in piazza. E raramente si va in centro solo per vedere un monumento o comprare un oggetto, ma perché sappiamo che mentre siamo lì possiamo incontrare persone che conosciamo, fare due chiacchiere, e allora sì, anche comprare il pane, il caffè, o giocare la schedina. E mentre passeggiamo in centro magari vediamo i cartelloni del teatro o del cinema e ci viene pure un’idea per la serata. Questo è il ruolo e l’essenza delle città. Luoghi vivi fatti per vivere. E in quest’ottica ogni piccolo elemento ha una sua funzione che non è meramente economica o sociale, ma un po’ tutto assieme. Nel suo capolavoro The Death and Life of Great American Cities l’urbanista Jane Jacobs fece un’accurata descrizione di come i marciapiedi, per esempio, siano uno strumento fondamentale per la struttura sociale della città, luoghi in cui

le persone si fermano a parlare, e in cui i bambini possono giocare. E così come i marciapiedi è importante il ruolo delle finestre, dei portoni, delle vetrine. Perché porte, finestre e vetrine aperte danno aria, vita e luce alla città e sono il miglior antidoto contro l’abbandono, il degrado, la delinquenza. Chi vede la città come un mero agglomerato di funzioni distaccate e distaccabili o addirittura contrapposte - il lavoro da una parte, il consumo dall’altra, la socialità in un’altra ancora - non solo non ha capito cos’è una città, ma la condannerà alla morte certa. Così come è già accaduto a molte città straniere e purtroppo anche da noi. La città ha bisogno di essere viva, libera e spontanea, e per farlo ha bisogno di elementi diversi e complementari: arte, musica e commercio, tradizione e modernità, italiani e stranieri. E la politica dovrebbe aiutarla a trovare soluzioni innovative per far convivere spontaneità ed esigenze di tutti.”

La politica dunque dovrebbe trovare soluzioni innovative. La politica dovrebbe creare le condizioni perché la città, questa città, e torno alla riflessione sull’Aquila e alle idee che questo articolo mi ha suscitato, la politica dovrebbe per una volta rinunciare alle barricate, alle passerelle per restituire a questa città la sua funzione che è quella che ha ben illustrato Tinagli nel breve articolo.


Perché conclude la Tinagli .“Dare la possibilità a un negozio di stare aperto se vuole non è tanto un favore che si fa al negoziante, ma anche un servizio a tutti quei lavoratori che durante la settimana sono chiusi in una fabbrica o un ufficio grigio e quando è festa non vedono l’ora di cambiarsi e andare fuori con i figli, andare al cinema, al parco giochi e anche a fare un po’ di spesa tutti insieme. Tutte cose che potrebbero essere fatte in città, senza essere costretti a rinchiudersi in un centro commerciale periferico. Le città aperte servono molto più a questi lavoratori che ai ricchi, perché questi ultimi possono sempre rifugiarsi in qualche villa al mare o in hotel di lusso a Londra o Parigi per sottrarsi alla noia di una città fantasma, ma i meno fortunati no. Certo, anche chi lavora nei negozi ha diritto al riposo, ci mancherebbe altro, ma viene da chiedersi se non sia possibile trovare delle soluzioni innovative che possano andare incontro alle esigenze di più persone senza imporre ulteriori divieti. La proposta del sindaco di Firenze di accordarsi con gli interinali per tenere aperti i negozi senza costringere commessi e commesse agli straordinari poteva essere una possibilità. Altri accordi potevano essere valutati, come è stato fatto in altre città senza troppi clamori.


Eremo Via vado di sole, L'Aquila,
mercoledì 27 aprile 2011

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