martedì 27 marzo 2012

SILLABARI : Biopolitica

SILLABARI  : Biopolitica


Che la democrazia contemporanea sperimenti qualcosa di più che una semplice battuta di arresto - una vera e propria malattia che ne blocca la crescita e ne riduce le potenzialità - è sotto gli occhi di tutti. Una serie di libri recenti, tra i quali il dialogo di Ezio Mauro e Gustavo Zagrebelsky sulla felicità della democrazia (Laterza), ne indaga genesi e fenomenologia, dal punto di vista dello scarto vistoso tra enunciazione dei principi ed esiti conseguiti. .
Se compito primario della democrazia, uscita vittoriosa nello scontro con i totalitarismi, era l'allargamento della partecipazioni dei cittadini al governo della cosa pubblica, non si può dire che quest' obiettivo sia stato raggiunto.
Al contrario ciò che oggi si registra è una progressiva spoliticizzazione tendente a degenerare, in contesti istituzionalmente fragili come quello italiano, verso forme di populismo regressivo (si veda a riguardo il volume collettaneo La democrazia in Italia, Cronopio).
Ciò detto, resta aperta un'altra domanda di fondo, forse ancora più spinosa perché non riguarda tanto la degenerazione della democrazia, quanto la sua grammatica costitutiva. Ci si può chiedere se non sia proprio questa ad essere entrata in dissonanza con la mutazione profonda che, almeno a partire dalla seconda metà del secolo scorso, coinvolge non soltanto la forma, ma la materia stessa della politica. Mi riferisco a quel salto di paradigma, identificato per primo da Michel Foucault
con il termine di "biopolitica", ricostruito nella sua storia recente e nei suoi effetti di senso da Laura Bazzicalupo in un saggio omonimo (Biopolitica. Una mappa concettuale, Carocci 2010).
Di cosa si tratta? Del fatto che, nelle sue dinamiche, sempre più il potere si rivolge direttamente alla vita biologica degli individui e delle popolazioni. Naturalmente la conservazione e lo sviluppo della vita ha costituito fin dall' origine la cornice e l'obiettivo della politica. Ma con la differenza decisiva che, mentre nella prima fase . della modernità il rapporto tra politica e vita passava per tutta una serie di mediazioni istituzionali; da un certo momento in poi quei filtri sono venuti meno. Da allora il centro della sfera politica, come anche la scena dei media, è stato occupato dalle vicende del corpo - prima confinate nell'ambito della sfera privata, se non nell' ordine della natura - con le conseguenze ambivalenti su cui ha richiamato recentemente l'attenzione Massimo Recalcati .
Ora il problema è che, almeno nella sua forma classica, la democrazia è stata pensata al di fuori di queste coordinate e anzì, per certi versi, in contrasto con esse. Dovendo riscattare
l'eguaglianza dei cittadini dalle rigide distinzioni di ceto e di  censo dell'antico regime, essa ha fatto necessariamente riferimento ad un soggetto puro, astratto da ogni determinatezza concreta, inteso come centro di imputazione formale di diritti e doveri uguali per tutti. E' inutile dire come questa opzione abbia costituito un passaggio essenziale nella civilizzazione umana, di cui è necessario custodire ad ogni costo il nocciolo progressivo. Ciò non toglie che l'universalismo democratico  evidenzi un limite rispetto alla particolarità di condizioni, fisiche e sociali, irriducibili alla fìgura stilizzata della persona giuridica.
Come può, una teoria come quella democratica, incardinata intorno al perno dell'eguaglianza formale, fare fronte ai bisogni e alle esigenze di segmenti socio-culturali non omologabili in una cornice unitaria? Se spostiamo l'attenzione dall'Europa agli Stati Uniti certo non meno democratici di noi - tutte le culture politiche progressiste chiedono il rispetto delle differenze con l'argomento, difficilmente confutabile, che un'uguaglianza davvero giusta non è quella che parifica astrattamente condizioni diverse, ma quella che, al contrario, le compone in un mosaico capace di tenere conto, e anzi di valorizzare, tale diversità. Allo stesso modo immaginare di trattare i profughi che si ammassano alle nostre frontiere con i criteri, necessariamente formali, delle giurisdizioni dei singoli Stati ) con una normativa valida in ogni contingenza, ci fa perdere il contatto con la concretezza drammatica della questione.

Anche da questo lato comprimere la realtà eccedente dei. corpi viventi nella griglia omologante del soggetto giuridico significa spingerli in una zona di nessuno da cui rischiano di non avere scampo. Non è un caso che, nonostante le più nobili intenzioni di coloro che ne fanno uso, la nozione di "persona", dalla sua genesi romana fino a tempi non troppo remoti, ha costituito un dispositivo escludente rispetto ad esseri umani tenuti fuori da suoi confini appunto perché dichiarati non completamente tali  persone potenziali, semi-persone o addirittura non-persone.
E' vero, come ha ricordato in più occasioni Stefano Rodotà, che è in atto un processo di "costituzionalizzazione della persona", orientato a spezzare il guscio dell' astrazione giuridica a favore di una presa in carico di differenze irriducibili, secondo il dettato delle più avanzate costituzioni democratiche, compresa quella italiana. Nella stessa direzione  la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea assegna un rilievo alla condizione specifica dell'infante, dell'anziano, del portatore di handicap, sciogliendo l'indifferenza della norma in una nuova dialettica tra uguaglianza e diversità. Ma si tratta di un percorso appena avviato, che richiede la costruzione di un lessico politico capace di abbandonare, superandole in una nuova sintesi, le dicotomie moderne tra pubblico e priva.to, persona e corpo, natura e storia .

Roberto Esposito  : Corpi contemporanei e vecchie democrazie  La Repubblica 22 agosto 2011

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, martedì 28 marzo 2012

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