venerdì 11 giugno 2010

STORIE E VOCI DAL SILENZIO : Massimo Lelj ( Parte II )

STORIE E VOCI DAL SILENZIO : Massimo Lelj
(Parte II )


La descrizione di Lelj della vita contadina della sua regione e di alcuni particolari usanze e prodotti appunto della sua terra sembra essere sospesa in qualcosa di irreale.
La descrizione del l suo paese ,sembra una favola antica, e già sospeso nel vuoto dell’emigrazione,sul punto di quel crollo di costume che ci è sembrato un progresso ,e coi motivi della vita del Sud, che sono suoi , costanti in tutto il suo lavoro ,particolari in Mezzaluna Grigioverde,sulla guerra degli emigranti ,Stagioni al Sirente, Via Gregoriana e con quella indole sua di lingua che a Bo pare “ un linguaggio vivo, ,cosciente,insomma sotto una luce di grande responsabilità interiore”.
Per Flora “ un racconto all’italiana , ove le parole valgono per la virtù associativa di quel piccolo mito che ciascuna porta in sé da un’antichissima e familiare civiltà”

Ma è nel "Romanzetto del Tione " che Lelj parla diffusamente di Tione degli Abruzzi e della vicina S. Maria del Ponte.
Così inizia appunto il “Romanzetto del Tione"
“Tra il Gran Sasso e la Maiella si stende la catena del Sirente, un'antica muraglia di italici, e ci stava ancora aggrappata alla fine del secolo passato gente come ce ne sarà stata al quinto secolo di Roma, intatta, ferma, in quei siti impervi, immobile d'un'immobilità minerale, e con una drammatica vena di ulissidi solitari, che rientravano dall'Asia Minore, dalla Cina, dalla Boemia, e con famiglie che per generazioni avevano aspettato un disperso, come se, respinta dal mondo che l'aveva circondata, e l'assediava, quella gente avesse buttato propaggini al di là, in un mondo astratto e non meno avverso, prima di essere costretta a sradicarsi, e come avesse presagito e si fosse preparata alle partenze a tribù maledette, quelle orge di lacrime, vino e organetto, gridi, nelle stazioncine perdute, per andare a pagare il tributo allo staffile dei negrieri del progresso, gli uomini, e le donne, le figlie, alle botteghe sotterranee del sudore, chiuse a chiave dall'alba alla notte, e durante gl'incendi. Schiumati del sangue disperato dell'emigrazione, i paesi ebbero in cambio dollari abbastanza da pestare acqua cambiando padrone ai piccoli patrimoni, e seguitarono a chiamarsi col nome comune e il nome latino come le piante

e gli animali nella storia naturale senza badare che della loro eredità non era stato accettato neanche quell'innocuo codicillo, e seguitarono a cantare latino, leggere l'ufficio alla congregazione, così che il discorso comune era sempre un arsenale di modi latini; intatto anche l'antico nome delle valli; ma quelle parole non erano che il fondiglio di una remota sostanza, la cenere d'una civiltà più antica della cristiana, che al vento adesso sarebbe stata dispersa per sempre.
Sta col cielo chi ha qualche cosa da fare, questo è il senso religioso del lavoro; ma quei paesi erano ridotti a mettere in commercio le braccia degli uomini dopo che i macchiavelli del progresso gli avevano levato l'antico lavoro senza potergliene dare un altro, e così il costume ora ci avrebbe pensato da sé a mettersi in dialettica col progresso”.(pag. 13- 14)

La geografia del Romanzetto del Tione : i paesi della solagna:
“ La valle nostra era a dirupi con un monte pelato e uno d’ombra con la selva e il bosco ,e i paesi come maceri di pietra appesi ai campanili;il fiume, lacerato,fumante, a mugghiare in fondo. E pareva uscita a bollire quando quel fumare bianco saliva e la empiva e noi anneghevamo in un’ovatta di madreperla con schegge e polvere di sole come tritatura di rame ardente.Nebbia bassa bon tempo lassa. Ma a noi soltanto lasciava l’ombra pulita della sera. E ci scopriva di faccia la muraglia calva e lebbrosa e i paesi della solagna asciugati da un sole rosso. Per questo ci dicevamo gente dell’opaco..La torre pareva mozzata con la cima sotto l’imbottita bianca,la nebbia tramontava sul bosco ,faceva l’erta di corsa lasciando appesi alle querce lenti fiocchi estatici come un incendio senza fiamme sotto il fiato d’un gigante invisibile ,attraversata dai lontani scampanii delle capre. Ricompariva il cielo, verde che metteva freddo, e la sera s’incamminava dal fiume coi lumi dei caselli ferroviari…” ( pag. 15)

Eremo Via vado di sole, L’Aquila .Venerdì 11 giugno 2010

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