lunedì 7 marzo 2011

COTTO E CRUDO : Patate turchesi nel villaggio ‘eco’ di Pescomaggiore

COTTO E CRUDO : Patate turchesi nel villaggio ‘eco’ di Pescomaggiore


Pubblicato da: Giustina il 17/01/10 Le patate turchesi

Si chiama turchesa per il suo colore caratteristico? Oppure perché definita anticamente “turchesca”, per indicarla di origine straniera, come è avvenuto per il “grano turco”? Sta di fatto che è una patata ricca di antiossidanti ed era una coltura tipica dell’Abruzzo in via di estinzione, di cui il Parco del Gran Sasso ha avviato il recupero: tra i progetti dell’ecovillaggio autocostruito (EVA) che sta nascendo a Pescomaggiore (Aq) dopo il terremoto del 6 aprile c’è la coltivazione di questa straordinaria varietà di tubero autoctono.

“L’avevano snobbata – racconta il Comitato per la Rinascita di Pescomaggiore -, scacciata in fondo ai campi e dimenticata fino a farla quasi estinguere. Eppure la sua buccia, come tutte le cose viola e blu, è ricca di antiossidanti e ha quindi proprietà anticancro“.

Le caratteristiche della patata sono riconducibili alla combinazione delle condizioni ambientali unite alla specificità del genotipo. Il tubero si caratterizza principalmente per la buccia di colore viola intenso contenente una notevole quantità di sostanze antiossidanti, paragonabili a quelle del cavolo, e per la pasta bianca. La patata turchesa presenta un elevato contenuto di sostanza secca, consistenza e granulosità media che la rendono adatta a diversi usi e cotture.

La coltura viene seminata a maggio e raccolta a ottobre.

Come veniva cucinata? “Sotto la cenere e poi mangiata con la buccia ed il sapore è straordinario. A salvare il tubero ci ha pensato il Parco Nazionale del Gran Sasso. Il primo passo è stato recuperare gli ultimi 33 tuberi, in due orticelli a Isola del Gran Sasso e San Giorgio. A quel punto è stato avviata la moltiplicazione in vitro e due anni dopo i 33 tuberi hanno restituito 10.000 mini-patate con cui il Parco nel 2005 ha avviato la coltivazione in due campi, a Barisciano e Assergi. A questo punto la semina prodotta è stata affidata a circa sessanta piccoli agricoltori ‘custodi’. Tra questi ci saremo anche noi del villaggio di Pescomaggiore”.

La coltivazione della patata turchesa è solo uno dei progetti di EVA, l’Ecovillaggio Autocostruito di Pescomaggiore che abbiamo descritto in un precedente articolo definendolo uno dei pochi esempi “illuminati” del post-terremoto dell’Aquila. Infatti la rinascita di Pescomaggiore non si fermerà alla costruzione di case (davvero) ecologiche, autocostruite e sostenibili, realizzate con materiali a filiera corta. L’idea entusiasmante è la ricostruzione, dal basso ovvero da cittadini interessati al progetto e da volontari, di un territorio semispopolato e di un tessuto sociale. Nonsolo. E’ necessaria, attraverso il recupero di antiche tradizioni contadine, pastorali e artigiane che altrimenti scomparirebbero, la creazione di “un’economia di prossimità e di una comunità di persone che non saranno sfollati in moduli provvisori in perpetuo bisogno di assistenza o costretti ad emigrare per mancanza di lavoro, fatto che qui a L’Aquila sta diventando un dramma”.


EVA non ha aiuti ‘istituzionali’ e per andare avanti si basa sull’autofinanziamento e sulle donazioni. Rinnoviamo l’appello a contribuire alla rinascita del borgo.

PER IL SOSTEGNO ECONOMICO al progetto EVA ecco le coordinate bancarie Codice IBAN: IT 87 S 057481 54041 00000008397

BIC: IBSPIT3P

COMITATO PER LA RINASCITA DI PESCOMAGGIORE – CAUSALE: ECOVILLAGGIO

Per informazioni http://eva.pescomaggiore.org/

E’ una varietà che ama crescere e “lavorare” nel terreno tendenzialmente umido. Va seminata precocemente, già a marzo, in quanto ha una emergenza piuttosto lenta. Ha una fioritura spettacolare resa ancora più bella dal colore dei suoi fiori, che contrariamente a quasi tutte le altre varietà di patata, sono di un rosa delicato. Dalla Valle di Cavedine la patata blu in pochi anni ha conquistato terreno espandendosi, inizialmente a titolo di curiosità, in tutta la Valle del Sarca e fuori.

L’abbiamo vista la patata blu: è di media grossezza, molto produttiva, resiste alle malattie. In cucina la qualità è buona e tiene la fetta. Per il suo colore blu inizialmente il tubero prendeva per lo più la via dell’alimentazione animale(conigli e pastoni per polli galline ovaiole). Oggi è invece stata scoperta come base per i piatti della grande ristorazione.

Ad utilizzarla per primo è stato il titolare del ristorante “Fior d roccia” di Vezzano, Walter Miori, che ha avuto modo di presentare il tubero blu di Margone perfino in alcune trasmissioni televisive a cavallo del 2000. Miori ha elaborato alcuni piatti sfiziosi.

Lessata e tagliata a fette la patata blu fa da contorno ad un piatto di baccalà cotto al vapore e condito con olio extra vergine DOP del Garda, sale, pepe e qualche oliva nera.

Decisamente curioso e intrigante il piatto di purè che ne conserva il suo colore originario. La patata blu, fatta cuocere nel forno o friggere perde il colore e diventa mattone.

Ma il piatto principe dello chef del Fior di roccia è la patata blu, lessata, parzialmente svuotata a farne una scodelletta, riempita di “formai mizz” reso più morbido da un poco di mascarpone. E’ una chicca culinaria da fine pasto.

Questa varietà di patata meriterebbe quindi di essere maggiormente diffusa, coltivata e valorizzata per andare ad arricchire ancora di più il già ampio ventaglio delle specialità gastronomiche che il Trentino offre a quanti ne frequentano il so territorio.

http://www.asterisconet.it/news.php?n=3706

A Macugnaga vanno contro corrente e riscoprono una qualità che era scomparsa da quasi un secolo: le patate blu. La loro reintroduzione è iniziata tré anni fa, con pochi esemplari acquistati in Svizzera, in uno dei rari mercatini organizzati dalla Fondazione «Pro specie rara» che si batte per la salvaguardia della diversità genetica di ortaggi, fiori e prodotti agricoli delle montagne

elvetiche.

L'estate scorsa sono stati una decina i produttori e quest'anno raddoppieranno, poiché gli esemplari blu e viola

sono stati «esportati» anche a Rima (in alta Valsesia), a Salecchio (dove si dice che un tempo ci fossero le patate più gustose dell'Ossola) e a Cicogna, nel parco nazionale della Val Grande, dove sono state richieste dal titolare dell'agriturismo di Corte Merina.

Insomma in alcune località di montagna si punta decisamente sul recupero dei prodotti tradizionali, sulla biodiversità diffusa, sulla novità gastronomica, ma soprattutto sulla loro genuinità. Sono patate di colore blu-scuro e viola anche internamente, e tali rimangono dopo la cottura. Un tempo diffuse soprattutto nei villaggi dei Waiser, sono state poi abbandonate forse perché, nella fase della raccolta, questa pigmentazione scura le confondeva con quella della terra. Una sorta di mimetismo che rendeva difficile individuarle, con il risultato che rimanevano nel campo.


Eremo Via vado di sole , L'Aquila,
lunedì 7 marzo 2011

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