lunedì 24 gennaio 2011

AD HOC : Un punto di vista sul federalismo fiscale

AD HOC : Un punto di vista sul federalismo fiscale

“I problemi che l'Italia ha scordato”

di Mario Deaglio da La stampa 24 gennaio 2011


Per una decina di giorni gli italiani hanno vissuto una sorta di «vita parallela» in cui le vicende di Ruby e Berlusconi hanno spiazzato i normali parametri della realtà. E’ ormai tempo di scuoterci di dosso il senso di disgusto per il modo in cui una parte della classe politica trascorre le proprie serate di rilassamento e di tornare a occuparci di cose sicuramente più banali e, altrettanto sicuramente, meno disonorevoli. Scopriremo allora che molto è cambiato, in questi dieci giorni, in Italia e nel mondo. E non precisamente sotto il segno della tranquillità.


In Italia la bocciatura unanime da parte dell’Anci - l’associazione dei Comuni italiani - del progetto federalista del governo, per la parte che riguarda il fisco dei Comuni, conferisce una nuova dimensione al quadro politico italiano: alle molteplici, e in qualche modo normali, spaccature «verticali» (tra maggioranza e opposizione, e tra i raggruppamenti all’interno di entrambe) si viene a sommare una vistosa spaccatura «orizzontale» fra centro e periferia sull’attuazione del federalismo fiscale che forse non sarà facilmente sanata dagli incontri che il governo avrà con la stessa Anci questa settimana.


Il fatto è che il federalismo è sicuramente accattivante a parole ma molto difficile da realizzare in concreto. Invece di rappresentare una soluzione, il semplice passaggio dal centro alla periferia del controllo di alcune attività amministrative crea esso stesso dei problemi. In un Paese stremato dal debito e dal deficit pubblico, esso è economicamente accettabile solo se porta a una riduzione della spesa complessiva a parità di pressione fiscale, liberando risorse per altre iniziative. Si sta invece scoprendo che esso rischia di portare, a regime e nel migliore dei casi, a un aumento della pressione fiscale a parità di servizi pubblici erogati. Il che è assai poco accettabile prima di tutto per gli italiani e in secondo luogo per il mondo della finanza internazionale al quale l’Italia dovrà, per anni, continuare a chiedere di rifinanziare il proprio debito pubblico.


Se il federalismo non deve ridursi a una vuota etichetta, non ci può essere devoluzione di potere dal centro alla periferia senza una contestuale riorganizzazione dei servizi. Il mero trasferimento di competenze da un ministero romano a un assessorato comunale o regionale non risponde a quest’esigenza. E’ inoltre illusorio pensare che questo trasferimento possa avvenire contemporaneamente in tutte le parti d’Italia: alcune Regioni e alcune città sono probabilmente in grado di assumere già oggi il controllo di determinate funzioni pubbliche in maniera efficiente, magari anche elevando la qualità dei servizi. Altre decisamente no. Eppure un’introduzione graduale del federalismo, collegata a una sorta di «patente di efficienza» che le autorità locali debbono conseguire per poter diventare parte attiva del nuovo sistema, non è mai stata seriamente presa in considerazione.


Per quanto riguarda il panorama internazionale, nei dieci giorni in cui una diciottenne si è impadronita delle prime pagine dei mezzi d’informazione italiani né l’Europa né l’Italia hanno fatto segnare molti punti a loro favore. Al vertice sino-americano di Washington mancava una sedia, quella del rappresentante dell’Unione Europea. Invece di un G2 Washington-Pechino si sarebbe dovuto realizzare un G3 Washington-Pechino-Bruxelles. I problemi dell’ordine monetario internazionale, delle possibilità di un effettivo rilancio delle economie avanzate che ponga davvero fine alla crisi sono stati affrontati (e forse sono stati oggetto di intese) senza che l’Unione Europea - che è (ancora) la seconda potenza economica mondiale, di dimensioni di gran lunga superiori a quelle della Cina nonché, ovviamente, parte in causa - fosse presente o anche solo consultata. E questo perché, pur essendo un gigante economico, l’Unione Europea è un nano politico, dopo che i referendum del 2005 in Francia e in Olanda hanno affossato una costituzione faticosamente elaborata. Accanto a una Germania indecisa e a una Francia ridimensionata, l’Italia ha la sua parte di responsabilità per la «distrazione» europea.


Questa «distrazione» pesa in maniera particolare per l’Italia perché in questi giorni si è avuta la conferma della rapida evoluzione degli assetti politici del Mediterraneo, forse troppo a lungo ingessati. Tale evoluzione ha trovato l’Italia impreparata quando, dopo l’Egitto, l’Algeria e la Tunisia - tutti Paesi in cui gli interessi italiani sono fortissimi - anche in Albania la situazione è sfuggita di mano alle autorità. Dopo gli avvenimenti di Tunisi, a meno di duecento chilometri dalle coste siciliane, manifestanti uccisi, auto bruciate, caos politico si ripropongono a Tirana, a meno di duecento chilometri dalle coste pugliesi. Ci vorrebbe quanto meno una riflessione sulla possibilità che il malessere della Riva Sud del Mediterraneo superi il mare e coinvolga la Riva Nord, per non parlare di progetti per lo sviluppo armonico delle due rive, molto presenti nella retorica politica ma assai carenti di contenuto. La classe politica italiana appare però troppo occupata ad analizzare i propri comportamenti con le diciottenni per aver tempo per queste banalità.

(mario.deaglio@unito.it)


Eremo Via vado di sole , Lunedì 24 gennaio 2011

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