martedì 2 novembre 2010

LINEA D'OMBRA : Alcol II

LINEA D’OMBRA : Alcol II


Lo studio pubblicato da David Nutt su Lancet riapre il dibattito sulla classificazione degli stupefacenti in Gran Bretagna e sulla necessità di una campagna contro l'alcolismo. Se le droghe fossero classificate per il danno che producono, sostengono Nutt e i suoi colleghi dell'Independent Scientific Committee on Drugs, gli alcolici dovrebbero rientrare nella categoria "A", con l'eroina e il crack. Nella classificazione su una scala di pericolosità da 1 a 100 l'alcol è a quota 72, l'eroina a 55 e il crack a 54. Gli alcolici sono tre volte più dannosi della cocaina (27) e del tabacco (26), si legge sulla rivista scientifica, mentre i danni dell'ecstasy (9) sono appena un ottavo al pari degli steroidi e prima dell'Lsd (7) e dei funghi allucinogeni (5). Nutt è stato licenziato lo scorso anno dall'allora ministro dell'Interno Alan Johnson peraver contestato la posizione del governo contraria a una revisione della classificazione degli stupefacenti. Il Comitato indipendente continua a chiedere che la marijuana resti droga di categoria "C" e che l'ecstasy sia spostata dalla classe "A" sulla base di un giudizio di minor pericolosità rispetto ad altre droghe. «È interessante notare che le due droghe legali in classifica sono in testa alla nostra scala di valutazione: un fatto che indica che le droghe legali provocano almeno altrettanti danni di quelle illegali» ha detto Nutt. Secondo stime dell'Oms i rischi legati all'alcol causano 2,5 milioni di morti all'anno per malattie cardiache o epatiche, incidenti stradali, suicidio e cancro, pari al 3,8 per cento di tutte le morti.

SITUAZIONE IN ITALIA - Nel nostro Paese le morti attribuibili all'alcol sono fra le 21 e le 25mila all'anno, contro alcune centinaia di morti per droga. Lo spiega Emanuele Scafato, direttore dell'Osservatorio nazionale alcol dell'Istituto Superiore di Sanità e presidente della SIA, la Società italiana alcologia. L'analisi di Nutt è condivisa dallo studioso che definisce l'alcol una «droga ponte» verso altre sostanze. I nuovi bevitori a rischio in Italia si differenziano dal resto della popolazione italiana che consuma alcol (56,7% del totale) perché sono giovani, uno su tre ha meno di 24 anni, sono soprattutto maschi e vivono nelle regioni del Nord. A disegnare questo identikit è il rapporto 2009 Passi (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia) dell'Istituto Superiore di Sanità. Da 10 anni, spiega Scafato, si è cominciato a parlare di "binge drinking": si assumono sei o più unità alcoliche in un'unica occasione (un'unità è pari a una lattina di birra o a un bicchiere di vino), ma, a suo parere, non si è colto il reale pericolo dell'impatto culturale di un modello del bere che ha portato alla diffusione di questa pratica tra i giovani. Secondo i dati, il 36% dei giovani tra i 18 e i 24 anni è considerato bevitore a rischio, mentre questa percentuale scende al 25% tra i 25 e i 34 anni. L'alcol, secondo l'esperto, «è una "gateway drug", una droga ponte che traghetta attraverso i suoi effetti psicotropi i giovani, prima verso la commistione di superalcolici con energy drink, per risollevarsi nel tono quando cala la prima euforia, e poi alle droghe sintetiche e alla cocaina, per superare la fase di "down" che causano queste sostanze. Pesantissimo anche il bilancio economico: le malattie legate all'alcol (cirrosi del fegato, diabete mellito, malattie neuropsichiatriche, problemi di salute materno-infantile) costano l'1% del Prodotto interno lordo di un Paese a medio e alto reddito. (Fonte: Ansa)

Scrive Elena Meli il 2 novembre su il Corriere della sera a proposito dei danni dell’alcol rispetto a chi soffre di ipertensione

Bere un drink dopo l'altro fino a ubriacarsi, anche se solo sporadicamente, fa male a tutti. Ma il cosiddetto binge drinking a qualcuno può fare ancora più male: è il caso degli ipertesi, che se eccedono con le "abbuffate" di alcolici si ritrovano con un rischio di morte per cause cardiovascolari fino a dodici volte più alto rispetto a chi beve poco e più coscienziosamente.

STUDIO - La dimostrazione arriva da una ricerca pubblicata sulla rivista Stroke e condotta su oltre 6mila persone che nel 1985 avevano più di 55 anni e che sono state quindi seguite per circa 20 anni. I ricercatori del Dipartimento di Medicina Preventiva dell'università di Seoul, in Corea del Sud, hanno verificato che la pressione alta è di per sé un rischio: gli ipertesi con valori superiori a 168/100 mmHg registravano infatti una mortalità per cause cardiovascolari triplicata rispetto a chi non aveva la pressione alta. Ma se all'ipertensione si aggiunge l'abitudine al bere il pericolo schizza alle stelle: gli ipertesi che si scolano sei o più drink in una sola occasione hanno una mortalità quattro volte maggiore, in quelli che bevono dodici o più drink in una singola occasione il rischio di morte per cause cardiovascolari è addirittura dodici volte maggiore rispetto a chi non ha la pressione alta. I dati si riferiscono agli uomini, perché la quantità di donne che rientrava nella categoria del binge drinking è risultata troppo esigua per trarre conclusioni valide: solo l'1 per cento delle donne beve tanto saltuariamente, contro il 18 per cento degli uomini.

ALCOL - I risultati arrivano da una popolazione asiatica, per cui gli stessi autori ammettono che non necessariamente tutto ciò può valere anche per altre etnie. Di certo c'è però che anche l'American Heart Association, ad esempio, raccomanda di bere poco e con moderazione: due drink al giorno per gli uomini, uno per le donne (dove per drink si intende un bicchiere di vino o una lattina di birra). «È una raccomandazione condivisibile - commenta Gianfranco Parati, direttore della Divisione di Cardiologia all’Auxologico di Milano e docente di medicina interna all’università di Milano-Bicocca -. Gli ipertesi devono effettivamente essere cauti con l'alcol: in piccole quantità fa bene, perché esercita un effetto vasodilatatore e ha anche proprietà antiossidanti preziose. Se però si esagera prevalgono gli effetti negativi, soprattutto se si scelgono i superalcolici come spesso accade in caso di binge drinking: grazie a un aumento dell'attività del sistema nervoso simpatico indotto dall'etanolo, la pressione si alza e diventa anche più variabile; l'etanolo, inoltre, modifica il metabolismo, aumenta la resistenza all'insulina e l'infiammazione, rende l'endotelio incapace di dilatarsi a dovere. In un iperteso, dove molti di questi meccanismi di malattia sono già presenti, l'effetto degli eccessi con l'alcol è ancora più dirompente. Sì quindi a un bicchiere di vino ai pasti e no alle esagerazioni, per quanto sporadiche», conclude Parati.


Eremo Via vado di sole, L’Aquila, martedi’ 2 novembre 2010



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