mercoledì 24 novembre 2010

STORIE E VOCI DAL SILENZIO : Adriana Zarri ( I)


STORIE E VOCI DAL SILENZIO : Adriana Zarri ( I )


"Da poco più di trent'anni Adriana Zarri, 91 anni, teologa progressista e saggista, viveva in un cascinale di campagna in totale solitudine, seguendo uno stile di vita austero che si può definire monastico. - Scrive Davide Pelanda su Nuovasocietà. - Era una sorta di eremita. Una scelta radicale presa nel settembre 1975 che comunicò agli amici: con una lettera ella annunciava un trasloco non «dovuto a motivi pratici - scriveva - ma a causa di una scelta di vita eremitica. La mia nuova residenza sarà infatti una vecchia cascina solitaria, dove trascorrere i restanti anni della mia vita nella preghiera e nel silenzio».

No, non era diventata «(...)un misantropo inavvicinabile - come scriveva ancora in quella lettera - non è nemmeno necessariamente un recluso che non possa, di tanto in tanto, muoversi ed incontrarsi con la gente, che non possa soprattutto ricevere chi venga a condividere qualche ora della sua solitudine e a fargli dono della sua amicizia: ché, anzi, l'ospitalità è sempre stato carisma monastico. L'eremita è semplicemente uno che sceglie di vivere da solo perché nella solitudine ha il suo momento privilegiato d'incontro». Il suo primo eremo fu una cascina chiamata Il Molinasso nelle colline canavesane poco distante da Ivrea, poi da quindici anni a questa parte la sua nuova casa, una rustica cascina d'epoca, sorgeva in località Crotte, a pochi chilometri da Strambino. A un tiro di schioppo – ironia della sorte - da Romano Canavese, paese che ha dato i natali al Segretario di Stato Vaticano monsignor Tarcisio Bertone".

Nella notte tra il 18 e il 19 novembre è dunque morta Adriana Zarri, “poetessa orante, teologa, donna libera, eremita comunicante, critica, preveggente, viva”. Rossana Rossanda la definisce “più sincera che scomoda” e “ poetessa delicata, giornalista acuta. E anche gattara” . Amava i gatti e se ne circondava quando capitava di andarla a trovare per ascoltare qualcosa di illuminante e farsi rapire dalla sua tranquillità in questi tempi burrascosi. La penso come una delle più grandi donne dei nostri giorni, con le sue osservazioni poderose e dolcemente irritate per una società che indietreggia mentre c’è bisogno di speranza nel futuro. Potevamo seguirla settimanalmente nella rubrica Parabole che aveva su Il Manifesto e oggi possiamo ricordarla con affetto e con profonda ammirazione

Scrivono su Avvenire Marco Roncalli e Gianni Gennari, ( 19.11.10)


Chissà se adesso che per lei comincia la vita futura, il gufo continuerà ad annunciare il giorno, se ritroverà le rose del suo giardino o gli amati gatti, come tanto sperava chiedendo a Dio di non farle scherzi. È arrivato ieri – per lei, vera credente un po’ ribelle e a tratti molto border line – il giorno del 'passaggio terribile' come definiva la morte. A novantun anni se n’è andata la notte scorsa Adriana Zarri (i funerali si terranno domani nella chiesa di Crotte alle 9,30). Teologa 'progressista' affascinata dalla Trinità (e pronta ad individuare nella mancanza della dimensione trinitaria «un dato tragico della cultura cattolica»), ma pure scrittrice multiforme (libri di vario genere, saggi, articoli, vergati spesso da una penna tanto felice quanto impietosa). Una donna che con i suoi occhi grigi scrutava il mondo reale, lasciando che contaminasse tutta la sua teologia, e raccontando tutto quanto pensava (anche – a suo dire – per rendere credibile la Chiesa...).

Così se, in passato, più volte si era spinta a criticare il manicheismo di don Milani o le indicazioni nate dal collateralismo fra Chiesa e Democrazia cristiana, più recentemente aveva bersagliato le scelte degli ultimi papi (con pesanti riserve su coloro che chiamava i 'restauratori' Giovanni Paolo II o Benedetto XVI) o i vescovi che definiva «ciechi, muti, afoni» (con pesanti affondi in relazione allo sfacelo morale del Paese). Per non parlare degli attacchi a parecchi movimenti accusati di fondamentalismo (i neocatecumenali, Comunione e liberazione, l’Opus Dei,..), e senza dimenticare le precedenti divergenze dalla dottrina cattolica, quanto a divorzio, aborto, celibato del clero. Insomma: una fede, la sua, per così dire, parecchio libera, non disposta ad accettare confini e paletti. E tuttavia anche una fede, fatta di ascolto e disponibilità, concentrata non sui crocifissi di legno appesi alle pareti, ma su quelli di carne itineranti per le nostre strade. Nutrita dalla linfa della preghiera e del silenzio così importanti in una donna che da oltre trent’anni aveva fatto la scelta eremitica. Andando a vivere successivamente in solitarie cascine piemontesi. Un modo per non smettere di contestare, scegliendo forse la contestazione più vera: capace di minare ogni dinamica di utilitarismo. Una solitudine, la sua, anelata da tempo, e tuttavia concepita non come reclusione o spazio di isolamento, aperta agli amici (guai a chiamarli discepoli) con i quali continuare a parlare di fede e ricerca di senso. Così, dopo aver trascorso periodi prima ad Albiano, poi a Molinasso, era finita a Crotte, a pochi chilometri da Strambino, dove aveva trasformato un granaio nella sua cella-studio, sotto la quale quotidianamente, attraverso un ascensore raggiungeva la sua chiesetta.

Uno stile di vita austero. Monastico, potremmo dire. Levata all’alba, colazione, lodi, campagna, liturgia, pranzo, riposo, lavoro, corrispondenza, articoli, cena, ricreazione, lavoro notturno. Sino a quando si era dovuta adeguare al letto. Nata nel 1919 a San Lazzaro di Savena, vicino a Bologna, presto impegnatasi negli studi teologici e in un confronto personale con il cristianesimo, con esperienze in un Istituto secolare e nell’Azione cattolica. Giovanissima comincia a collaborare con testate cattoliche, dall’Osservatore Romano a Studium, dal Regno a Concilium, fino a Rocca e Servitium. Fu attiva anche nell’Associazione teologica italiana. Poi ha scritto su giornali come Politica o Sette giorni (già giudicati come 'cattocomunisti'), finendo la sua carriera sempre più nel segno della laicità, con una rubrica domenicale sul Manifesto, non senza essersi fatta conoscere sul piccolo schermo nel programma di Michele Santoro Samarcanda (atto di umiltà o contraddizione?). Ma in questi anni ci sono anche tanti libri, persino romanzi e raccolte poetiche. Fra questi si ricordano titoli come È più facile che un cammello, Il figlio perduto, Nostro Signore del deserto. Il Dio che viene, il recente Vita e morte senza miracoli di Celestino VI, oppure il precedente Erba della mia erba , che Einaudi riproporrà a breve insieme ad altri testi sotto il titolo Un eremo non è un guscio di lumaca. Pagine di una donna difficile da definire. Che ad un cronista confidò: «Una volta mi definivo in un qualche modo. Ora non mi definisco più in nessun modo perché credo che la cosa più importante sia essere cristiani». Aggiungendo: «Se ci riusciamo».

Diceva della fede (riporto la citazione dall’Enciclopedia delle donne):

«Credo che noi abbiamo un concetto molto intellettualistico della fede. La fede non è necessariamente credere nell’esistenza di Dio, nella divinità di Cristo, nella risurrezione, nei cosiddetti contenuti di fede. La fede è soprattutto un atteggiamento di ascolto, di disponibilità».

http://www.pinkblog.it/post/7532/morta-adriana-zarri-leremita-donna

Anche riferendosi alla morte, il suo pensiero era controcorrente: «La morte è l’ultimo danno, l’ultimo disastro. Tutti hanno paura della morte, a cominciare da Cristo che ne ha avuto paura. chi sostiene che sia “amica dei Cristiani” forse non aveva neanche letto il Vangelo, perché Cristo ha avuto paura della morte, come tutti. La morte è veramente un passaggio terribile, poi sì ci aprirà le porte dell’aldilà, ma questo passaggio resta una cosa molto traumatica».

Consigliamo anche un altro articolo interessante su Adriana Zarri su www.enciclopediadelledonne.it di Giancarla Codrignani


Scriveva ancora Adriana Zarri

«Non credo nell’inferno perché mi sembra un insulto alla bontà di Dio. Anche la nostra cultura laica non ammette più la giustizia puramente punitiva. E la concepisce solo come capacità di riscatto, di reinserimento. In una pena che dura per sempre come quella dell’inferno questo riscatto non c’è. Penso sia difficile ritenere che gli uomini sono più buoni di Dio. Quindi all’inferno non credo».

«La mia è una teologia trinitaria. La Trinità presuppone un certo concetto di Dio, che ha una ricaduta sulla vita terrestre. L’unità non si contraddice con la pluralità, nell’essere c’è il divenire di Dio».

Scrive Giancarla Codrignani

Adriana Zarri nasce a San Lazzaro di Savena, vicino a Bologna, nel 1919. I suoi studi e il suo impegno furono subito orientati al confronto con il Cristianesimo e con una chiesa cattolica da portare oltre la visione di Pio XII. È diventata, anno dopo anno, esperienza dopo esperienza, una delle più importanti testimoni di quella fedeltà al Vangelo che si coniuga - proprio in virtù di una verità che rende liberi - con la più schietta laicità. Antifascista, coinvolta nei problemi sociali, decisa a difendere la libertà di coscienza, diventa giornalista e scrive dapprima su tutti i giornali e le riviste di area religiosa: l'«Osservatore romano», «Studium», «Servitium», «Il Regno», «Concilium», «Rivista di teologia morale» (RTM), «Rocca», ma in seguito anche «Politica», «Settegiorni» (riviste che, negli anni del concilio Vaticano II, rappresentavano l'impegno politico dei cattolici di una sinistra ancora democristiana, ma già accusata di "cattocomunismo"), seguite oggi da «Micromega» («una sola volta, ma significativa», dice lei) e «Manifesto», dove

scrive "parabole domenicali" tutte le settimane. Ha partecipato anche a trasmissioni radiofoniche (Uomini e profeti) e televisive (la Samarcanda del primo Santoro). E' autrice di diversi libri e perfino di qualche romanzo (Dodici lune, Quaestio 98), ovviamente imperniati su conflitti di coscienza e di fede umana e divina. Tra le opere di competenza «E' più facile che un cammello», «Il figlio perduto», «Nostro Signore del deserto»,« Il Dio che viene», «Vita e morte senza miracoli di Celestino VI». Forse più significativo perché è un "resoconto di vita", «Erba della mia erba» (1999). Scrittura, dunque "plurale": succede alle donne che lo stile resti non scisso e mescoli i generi letterari. E così si racconta quando un giornalista le chiede come vive una teologa eremita: «Mi alzo alle sei del mattino, poi faccio colazione e recito le lodi. E così comincia la giornata. Durante il mattino dirigo un poco i lavori di campagna e in seguito faccio la liturgia nella chiesetta. A mezzogiorno pranzo. Il pomeriggio mi riposo un poco perché vado a letto tardissimo. Poi mi alzo, lavoro, vado a cena alle otto, poi mi distendo un poco e verso le dieci riprendo a lavorare, fino alle tre di notte. Ed è il periodo in cui faccio il lavoro più importante, più impegnativo perché durante il giorno tra lavori esterni, tra corrispondenza e articoli la giornata mi passa. E invece i lavori seri li sbrigo di notte» (in «Voce evangelica» del 6 giugno 2005).


Eremo Via vado di sole, L'Aquila, 24 novembre 2010

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