venerdì 26 novembre 2010

AUTODAFE' : Tre donne Sarah, Gabriella , Cesira

Autodafé : Tre donne Sarah,Gabriella, Cesira

1.

Sarah

Quando hai perso tutto,ma solo quando hai perso veramente tutto,ti può capitare di incontrarmi , di sponda, in piena notte, nel bar di una stazione di autobus ,tra donne che non partono ,e non riescono a dormire, e hanno voglia di bere. Io sono lì perché quello è l’unico bar aperto prima delle sei.

Sono una ragazza bassa di statura, pallida, con dei segni scuri sotto gli occhi. Ho l’aria stanca ma intelligente . Se mi siedi davanti, nemmeno solleverò il viso. Fumo sigarette francesi e non mi laureerò mai. Mi puoi offrire un caffè o un whisky, se tiva. Ma non ti fare strane idee perché non è facile attaccare discorso con me e scoprire il mio modo di guardare.

Solo quando mi alzerò per andarmene ti accorgerai della cadenza singhiozzante del mio passo. E non potrai evitare di pensare che la poliomielite che mi ha storpiato l’ha fatto in una maniera assai più perfida di quanto appaia di fuori. E che il mio silenzio ti brucia il sangue più di ogni parola.

Walter Tevis, Lo spaccone, 1959

2.


Gabriella

Dicono di me che non mi si può spiegare , basta sapere che esisto. Dicono che odoro di garofano e ho colore di cannella , che domo i gatti stringendoli al seno , che la mia pelle brucia , che non sono fatta per un solo uomo. Dicono anche che ho una bocca di rosa , che cucino salse inimitabili , che non sono mai stanca sonnolenta sazia .

Arrivai un giorno scalza e danzante in una vecchia provincia e, dopo, nulla da quelle parti rimase uguale . L’amore, come per miracolo , tornò ad essere allegria , invito, febbre, disordine e mai più colpa e delitto. Solo esuberanza africana , voce di canto, luce lunare del desiderio.

Jorge Amado, Gabriella garofano e cannella, 1958

3.


Cesira.

Appartenevo ad una razza sanguigna e senza paura : una popolana di provincia , contadina, bottegaia , con una fiera praticaccia della vita e un corredo di proverbi per ogni occasione. Ma il mio carattere spigoloso e umorale contrastava con la rotondità delle mie fattezze , con la bocca morbida, rossa come corallo , rispecchiandosi invece nella gagliardia del seno , nella scurezza degli occhi , nei miei lunghi capelli corvini.

Il matrimonio l’avevo tollerato ma come si tollera una seccatura: qualcosa che ha più a che fare con la violenza che con il rispetto. Dell’amore conoscevo solo quello per mia figlia e da vedova credevo che sarei stata felice nell’impavido dominio della mia solitudine.

Ma i tempi sgangherati che vissi mi confusero in una moltitudine universale di sfollati, gente sempre in marcia tra città e villaggi invasi dalla guerra e letti di granturco,mulattiere , damigiane sbrecciate e valigie di fibra. Un’umanità inevitabile di borsari neri ,di prostitute di lazzari perduti alla pietà umana , dannati a ripassare l’inutile inventario di ciò che si è lasciato.

Perché la guerra è un incrudimento di tutto , una sciancatura, un rattrappirsi di ogni senso; e non c’è nessun peccato d’origine , solo un altare di innocenze profanate , lo stupro di una figlia , gli occhi spalancati, l’urlo inutile. Un guado doloroso prima che si torni a questa povera cosa di oscurità e di errore senza sapere perché sia preferibile alla morte.

Alberto Moravia , La ciociara, 1957

Eremo Via vado di sole , L'Aquila, venerdì 26 novembre 2010

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