domenica 14 novembre 2010

AD HOC : Esodo

AD HOC : ESODO

Lettura spirituale e sociale di Esodo

Dopo una presenza secolare nella città dell’Aquila, i Gesuiti erano andati via nel 2008. Dopo il tragico evento sismico del 6 aprile 2009, la Compagnia di Gesù ha raccolto l’appello di alcuni laici aquilani ad esercitare una funzione di ascolto,di comprensione e condivisione dei problemi determinati dal terremoto e per aiutare a trovare, anche in questa drammatica esperienza, i segni della presenza del Signore. Sono così stati organizzati, a partire del mese di novembre, una serie di incontri sulla lettura spirituale e sociale del libro dell’Esodo. E’ questa una lettura aperta a credenti e non credenti, che comunque si interrogano sul significato della storia e degli eventi, a volte anche
tragici, che possono colpire l’umanità. La lettura dell’Esodo rappresenta l’occasione per comprendere, vivendola, l’esperienza della liberazione e della predilezione di Dio nei riguardi del povero. Ma rappresenta anche la possibilità di confrontarsi con il racconto del progressivo passaggio – attraverso prove, lamenti, contestazioni, desiderio di ritorno – verso la libertà. Il deserto è luogo di formazione, di crescita, di cammino verso la novità, e contiene in sé il simbolo della tensione ad un futuro ideale. Gli incontri, organizzati dal Centro Ignaziano di Cultura e Spiritualità, inizieranno il 13 novembre 2010 alle ore 18.30 presso il salone della Chiesa di Santa Rita in via Strinella, gentilmente messo a disposizione dal parroco Don Alfredo Cantalini, e saranno guidati dai Padri Gesuiti Vincenzo Sibilio e Franco Annicchiarico (il calendario degli incontri 13 novembre,27 novembre, 18 dicembre 2010 e poi 15 e 29 gennaio 2011 ,12 e 26 febbraio,9 aprile, 7 maggio e 21 maggio ).

Per informazioni: 338.9306869; 329.0171749; E-mail: centroignaziano@gmail.com

Ma lo scopo dell’Esodo non è raggiungere la terra promessa ma adorare Dio .Così scrive a questo proposito Claudio Risé, su “Il Mattino di Napoli” di lunedì, 1 novembre 2010,

La «società liquida», senza forme, dove ogni comportamento sembra possibile e lecito, ha fame di riti. Delusa da quelli sbiaditi proposti spesso nelle Chiese, la gente li cerca in Oriente, o da sciamani o santoni improvvisati. Il grande antropologo Julien Ries parla del «bisogno di sacro» che caratterizza questo millennio. Papa Ratzinger ha così deciso che le sue Opere complete comincino dall’undicesimo volume «Teologia della liturgia», dedicato proprio alla liturgia, e ai suoi riti. Com’è lontano il modo di sentire del secolo scorso, quando Sigmund Freud, fondatore della psicoanalisi, accomunava (nel 1907) nevrosi e religione proprio perché il rito (ad esempio lavarsi le mani, modo di camminare, portamento, dizione), era centrale in entrambe le esperienze. Per la verità le scienze umane del Novecento avevano poi rivisto la similitudine tra nevrosi e rito religioso avanzata da Freud, ormai popolare solo nelle riflessioni più superficiali delle tecnoscienze o dei dibattiti ateistici. L’antropologia ad esempio ha dimostrato come nel rito appaiano bisogni e rappresentazioni non verbali, inconsce, che è possibile sperimentare solo attraverso i rituali delle liturgie. L’antropologia culturale, poi, ha notato come in ogni cultura i riti abbiano una funzione centrale nel proteggere l’individuo nei passaggi delle stagioni della vita (ad esempio dalla giovinezza all’età adulta), delle stagioni e fasi climatiche, dal celibato al matrimonio, e nell’avvicinarsi alla fine della vita. Proprio nella terapia, però, si è osservata la funzione dell’esperienza religiosa, organizzata anche in precise liturgie, nell’aiutare lo sviluppo sano della psiche, ed evitare pericolosi «scompensi» nel procedere nella vita. Lo psicologo svizzero Carl Gustav Jung, da «osservatore dei fenomeni della psiche» come si definiva, considerava gli «dei, demoni, ideali» dell’uomo come dei «fatti psichici». Ricordava, però, che

l’uomo nella sua storia ha sperimentato così a lungo e intensamente la loro potenza sulla propria personalità «da giudicarli degni della più scrupolosa considerazione»: così nasce il rito. L’azione di questi fatti psichici, tradotti nelle forme liturgiche, è di tipo dinamico; particolarmente efficace insomma nell’organizzare i cambiamenti (i passaggi nelle diverse fasi della vita), o nel promuoverli nei momenti di stasi (dovuti a smarrimento, trauma, depressione od altre nevrosi). Il rito raccoglie le forze dell’uomo affidandole ad un’Entità superiore che dia loro forma, coesione e direzione positiva; negarne il senso non tiene conto delle spinte verso la dissoluzione e la dispersione, la cui intensità aumenta nelle forme di vita più elevate e complesse, come quella umana. La pietra non ha bisogno di riti, gli animali ne conoscono già di più, gli uomini ne hanno assoluto bisogno a meno di cadere nel marasma della «società liquida». Questo bisogno, ricorda Benedetto XVI nel suo libro, è centrale nei momenti di passaggio, individuali e collettivi. Lo scopo dell’Esodo degli Ebrei dall’Egitto non è, inizialmente, raggiungere la Terra Promessa, ma l’adorare Dio, nel deserto, in modi che neppure Mosé inizialmente conosce, e gli verranno comunicati lungo il percorso, quando Dio farà conoscere i Comandamenti, e il popolo saprà come adorarlo. Solo dopo potrà arrivare alla propria Terra, e sarà libero. Questo è il rito per ogni essere umano: l’apertura ad un Padre originario (che la psicologia chiama anche Sé), in cui troviamo forme e principi di comportamento e di direzione, indispensabili per trovare il nostro terreno esistenziale, personale e collettivo.

Esodo allora come libertà .

Di Esodo parla anche Erri De Luca commentando a Napoli Il San Matteo di Caravaggio come riferisce Cristina Zagaria nel suo blog Voltapagina http://www.cristinazagaria.com/

“De Luca parte dal San Matteo di Caravaggio: "Io ho un'idea confusa della libertà, non credo che sia il diritto di camminare o di parola, quelle sono facoltà, non riguardano il nervo intimo della libertà. E guardando il San Matteo mi interrogo proprio su questo e seguo la traccia del senso di libertà di Caravaggio frugando nel libro dell'Esodo, che parla dell'uscita dall'Egitto degli ebrei e che ricalca il senso della libertà di San Matteo, cercata dal Caravaggio. Questo libro comincia con queste parole: "Queste sono le generazioni del popolo di Israele che sono entrate in Egitto". Cosa vuol dire? Vuol dire che questo libro non narra la rivolta di un popolo di immigrati, che improvvisamente si ribellano, ma la storia di un popolo che vive in Egitto da 21 generazioni e pur essendo una minoranza etnica è ben radicato. Sono entrati in 70 maschi e sono diventati 600 mila, dai 21 anni in su. Sono diventati cosi numerosi che il faraone dell'epoca si preoccupa...." De Luca si avventura e si perde nel racconto della persecuzione del faraone, della migrazione, del

deserto, delle 42 tappe, della manna, di labirinti e ombre come tappeti e ...le sue parole dolci e perfette, incantano. La sala è piena. De Luca parla di libertà, che "non è stare al riparo, ma seguire una traccia", che è "dignità", che è "un viaggio verso lo sbaraglio", che è anche "sradicarsi dal passato, perché la libertà assomiglia a quel ragazzo che scappa di casa per seguire il circo e non potrà più tornare indietro. Compiuto quel passaggio non c'è ritorno. Proprio come il mar Rosso, che si chiude dietro gli ebrei in fuga dall'Egitto. Proprio come in montagna esistono dei punti di non ritorno. La libertà è fatta di gesti irreparabili...e di questi gesti è accanitamente marcata la vita di Caravaggio".


Eremo Via vado di sole , L'Aquila, domenica 14 novembre 2010



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