mercoledì 23 febbraio 2011

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI : Balene




ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI : Balene


La Commissione internazionale per la caccia alle balene (IWC, International Whaling Commission) fu istituita nel 1946 per favorire uno sviluppo coordinato dell'industria baleniera e per regolarla. Inizialmente incoraggiava la caccia e, come risultato, più di due milioni di balene sono state uccise nei primi trent'anni di vita dell'organizzazione, nonostante i pareri contrari dei membri della Commissione Scientifica.

Fino agli inizi del Novecento le balene e l’economia legata alla loro caccia erano quello che è oggi il petrolio. Per l’accesso e l’uso di questa fonte di ricchezza ,anche nel recente passato, sono state sostenute delle guerre . Nei traffici legati al commercio della carne e degli altri derivati dalle balene il soggetto non è mai stato la balena che è stata sempre vista come e solo un animale a disposizione dell’uomo.


Dopo una moratoria della caccia da parte del Giappone che aveva fatto esultare i protezionisti è recente la notizia della ripresa di questa attività giustificata come “ricerca scientifica con la caccia alle balene”.

Il Sol Levante ha introdotto il concetto di ''caccia ai fini scientifici'' per aggirare la moratoria internazionale del 1986, sostenendo di aver diritto a valutare l'impatto delle balene sull'industria della pesca. La flotta nell'Antartico, composta da un equipaggio di 180 persone su quattro navi, ha lasciato il Giappone lo scorso anno con il proposito di catturare 850 balenottere entro fine marzo.

In sostanza la caccia alle balene che viene etichettata una attività di ricerca scientifica da parte dei giapponesi, in realtà sottende una vecchia questione. Il rifiuto da parte della cultura orientale di sottostare alla cultura occidentale che si mostra in questo campo apparentemente più avveduta e comunque più protezionista.


Proprio in termini di protezionismo lo stesso IWC ovvero la Commissione internazionale per la caccia alle balene nel 1982 ha votato per una blanda moratoria della caccia commerciale. Ma questo "trattato di pace" a livello mondiale ha lasciato troppe scappatoie per poter essere veramente efficace. Da allora sono state uccise 57.391 balene, tra cui balenottere minori, balenottere comuni, balenottere boreali, balenottere di Bryde, megattere, balene grigie, capodogli e balene della Groenlandia. Perfino dal 1986, anno di entrata in vigore del divieto della caccia alla balena, Giappone, Norvegia, Islanda, Russia, Corea e balenieri locali di diversi altri Paesi hanno continuato la loro attività, uccidendo complessivamente circa 21.760 balene.

Nel 1994 i membri della IWC hanno approvato l'istituzione del Southern Ocean Whale Sanctuary, che copre un'area di 50 milioni di chilometri quadrati intorno all'Antartide. La riserva è stata progettata per proteggere un'area di alimentazione particolarmente critica per sette specie di grandi balene. Ma perfino questa zona non è inviolabile, dato che il Giappone continua a uccidere balenottere minori al suo interno.

Due Paesi, Norvegia e Giappone, continuano a cacciare le balene sfidando sfacciatamente l'opinione mondiale e le disposizioni della IWC.

Greenpeace a questo proposito scrive :” Sovrasfruttamento, imbrogli ed estinzione: è questo il circolo vizioso degli interessi che si nascondono dietro la caccia commerciale alle balene e che spazzano via una popolazione di balene dietro l'altra. Anche dopo decenni di protezione, non siamo sicuri di poter recuperare alcune specie.”


E continua : “Le statistiche parlano chiaro. Le balenottere azzurre, in Antartide, sono l'1 per cento della popolazione originaria, nonostante quarant'anni di protezione totale. Alcune popolazioni di balene si stanno espandendo, ma altre no. Si stima che le balene grigie del Pacifico Orientale abbiano recuperato appieno la propria condizione originaria. Le balene grigie del Pacifico Occidentale, invece, sono le più minacciate in assoluto: contando circa cento esemplari, la specie è ormai sull'orlo dell'estinzione.

La caccia commerciale non è l'unico pericolo che le balene devono fronteggiare. Negli ultimi cinquant'anni, da quando cioè si è cominciato a proteggere le balene, l'impatto delle attività dell'uomo sugli ecosistemi marini è profondamente cambiato.

Il cambiamento climatico, l'inquinamento chimico e quello acustico, l’aumento del traffico marittimo, lo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche mettono a repentaglio la sopravvivenza delle popolazioni di balene rimaste. La pesca industriale sottrae alle balene preziose risorse alimentari e le espone al rischio delle catture accidentali.

Nonostante le minacce aumentino e dal 1986 sia in vigore una moratoria sulla caccia commerciale, la Commissione Baleniera Internazionale (IWC) - organismo istituito per tutelare le popolazioni di cetacei – non è ancora stata in grado di fermare le nazioni baleniere. Norvegia, Islanda e Giappone continuano a cacciare. Quest’ultimo ricorrendo al pretesto della caccia effettuata a fini scientifici viola ogni anno il Santuario dell’Oceano Antartico (istituito nel 1994), uccidendo ogni anno oltre 500 esemplari di balene nell’area.


In realtà, il fronte a favore della caccia commerciale all'interno dell'IWC non riflette un cambiamento nell'opinione pubblica, ma è solo il frutto di una politica di acquisto di voti che da anni l'Agenzia di Pesca giapponese con invidiabile perseveranza porta avanti, reclutando nuove e piccole nazioni e offrendo appetitosi finanziamenti in cambio di un voto allineato.

Le aspettative troppo ottimistiche sul recupero delle popolazioni di balene si basano sull'assunto che, a eccezione della caccia commerciale, le balene sono al sicuro esattamente come potevano esserlo centinaia di anni fa. Purtroppo questa premessa non è più valida. Ed è per questo che noi di Greenpeace crediamo sia necessario fermare la caccia commerciale alle balene in ogni sua forma.”


E Greenpeace oltre che scrivere ha avviato anche una azione di forza ma non violenta contro le navi giapponesi che hanno ripreso la caccia alle balene tanto che Tatsuya Nakaoku, funzionario dell'Agenzia della pesca nipponica, ha fatto sapere: 'La nave Nisshin Maru ha sospeso le operazioni a partire dal 10 febbraio 2011 per motivi di sicurezza e stiamo studiando la situazione, non escludendo la possibilità di fermare la missione prematuramente'. In seguito, così, all'attacco della nave ammiraglia da parte di un gruppo di attivisti l'intera flotta potrebbe rientrare anticipatamente.

Scrive l’Ansa :

E’ stata la strategia adottata dagli ‘ecopirati’ di Sea Shepherd, con le loro tre navi specialmente attrezzate, fra cui l’intercettore superveloce Gojira (nome giapponese del mostro cinematografico Godzilla), a costringere la flotta baleniera giapponese a sospendere il programma annuale di caccia ‘scientifica’ ai grandi cetacei nell’Oceano Antartico.


Una strategia “senza compromessi”, attuata tenendosi sulla scia delle quattro baleniere giapponesi sin dal loro arrivo in zona, puntando in particolare sulla nave-mattatoio, l’ammiraglia Nisshin Maru, piazzandosi davanti allo scivolo a poppa e bloccando l’accesso alle navi arpionatrici.

Il comandante della flotta di protesta e fondatore del gruppo ambientalista radicale Sea Shepherd, Paul Watson, ha accolto con cautela la notizia della sospensione della caccia. “Se è vero, dimostra che la nostra strategia ha avuto successo” ha detto per telefono satellitare alla radio australiana Abc.

Non credo che abbiano preso più di 30 balene, su una quota originale di oltre 1.000“, ha detto. “Li abbiamo trovati prima che cominciassero a uccidere balene e li abbiamo seguiti da allora. Siamo riusciti a manovrare in modo che le navi arpionatrici non potessero avvicinarsi alla Nisshin Maru, e abbiamo bloccato completamente le loro operazioni”.

“Ogni balena salvata è per noi una vittoria“, ha detto, aggiungendo che la campagna di quest’anno, la settima, è la più potente. Le azioni di disturbo di Sea Shepherd consistono nell’interporsi con le navi e i gommoni fra le navi arpionatrici e le balene, oltre a lanciare bombe puzzolenti o di vernice contro le baleniere, e tentare di bloccare le eliche con funi d’acciaio.


Le attività di disturbo stanno costando milioni alla flotta giapponese, e gli ambientalisti sperano che la pressione finanziaria metta fine del tutto alla caccia ‘scientifica’, che sfrutta una scappatoia del trattato baleniero internazionale.

Parliamo la sola lingua che capiscono, la lingua dei profitti e perdite. E ora stiamo costando ancora di più in perdite di profitti al settore, che è già in debito di centinaia di milioni di dollari con il loro governo”, ha aggiunto Watson.

“Abbiamo la maggioranza dell’opinione pubblica dalla nostra parte, abbiamo la legge internazionale dalla nostra parte, ed è solo questione di tempo prima di poter vedere la fine delle loro operazioni illegali”. Le autorità di Tokyo affermano che questa caccia fa parte integrante della cultura nipponica, senza nascondere che, nonostante i dichiarati fini di ricerca, la carne finisce sulla tavola dei giapponesi. Gli ecologisti dal canto loro denunciano una pratica crudele e inutile, sottolineando che la carne non è più particolarmente apprezzata in Giappone, e che le missioni sovvenzionate dalle autorità costano care ai contribuenti.


Lo stop alla caccia alle balene da parte del Giappone è anche frutto di una mancanza di supporto della popolazione, oltre a poter essere anche il segnale di “uno sgretolamento politico“. Così Giuseppe Notarbartolo di Sciara, presidente dell’Istituto Tethys (organizzazione non-profit per lo studio e la tutela dell’ambiente marino) e del comitato scientifico dell’Accordo Accobams per la protezione dei cetacei, commenta la sospensione della caccia alle balene da parte delle autorità nipponiche nei mari antartici.

Il Giappone, spiega Notarbartolo di Sciara – attento conoscitore delle vicende legate alla Commissione balienera internazionale, l’Iwc (International whale commission), che sorveglia sullo stato di questi mammiferi marini – aveva “acquistato i voti in Commissione, corrompendo i piccoli stati caraibici e riuscendo a proseguire nella caccia“. Almeno per quest’anno, però, i piani di caccia nelle acque dell’Antartico si sono per ora fermati, ufficialmente – secondo il governo di Tokyo – “a causa dell’attività di disturbo” degli attivisti ambientalisti di Sea Shepherd.


Per Notarbartolo di Sciara lo stop alla caccia del Sol Levante è “un segnale importante anche sul piano politico”. Il “supporto della popolazione” alla ‘caccia scientifica’ sta cominciando a “sgretolarsi. Mi auguro – prosegue – che succeda lo stesso con il supporto politico”. Anche perché, avverte l’esperto di biologia marina e in particolare di cetacei, “la caccia alle balene costa tantissimo al contribuente giapponese, e non si capisce per cosa venga fatta, quale sia lo scopo”.

Inoltre, “suscita una grande avversione di moltissimi Paesi, tra cui, nell’emisfero australe, della Nuova Zelanda e dell’Australia”. Forse – spiega Notarbartolo di Sciara – fermare la caccia è anche una decisione frutto di “tutte queste cose messe insieme“. In ogni caso, “vedo con grande gioia questo evento. La caccia alle balene è un assurdo che deve scomparire. Non ha senso continuare questa attività”.

Uccidere un animale di quelle dimensioni in acqua è, infatti, conclude Notarbartolo di Sciara, “impossibile senza evitargli sofferenze”, alle quali vanno questi esemplari comunque incontro per “le condizioni sempre peggiori dei nostri mari”.


Eremo Via vado di sole , L’Aquila,
mercoledì 23 febbraio 2011

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