 BIBLIOFOLLIA  : Togliamo il disturbo
BIBLIOFOLLIA  : Togliamo il disturbo
 Una  massa scura, parlottante che sale lungo via Acquasanta dalla  sottostante Via Panella. Li osservo meglio poi quando li guardo dalla  finestra del mio ufficio che sta proprio  su via Acquasanta
Una  massa scura, parlottante che sale lungo via Acquasanta dalla  sottostante Via Panella. Li osservo meglio poi quando li guardo dalla  finestra del mio ufficio che sta proprio  su via AcquasantaStamattina nell’osservarli ho ripensato alla recensione di Pietro Citati al libro di Paola Mastrocola : “ Togliamo il disturbo”.
 Dice  Citati : “ Nessuno, o quasi nessuno tra quei ragazzi  ha voglia di  andare a scuola. Nessuno si vergogna di questo rifiuto . Tutti  detestano  leggere o scrivere o ascoltare le lezioni. Qualche volta,  basta ascoltarli per cinque minuti. Il lessico umano è immenso, ma i  ragazzi ne conoscono  pochissime parole  : usano termini impropri ,  pasticciano , confondono ortografia  e punteggiatura. Non sanno pensare.  Non riescono a distribuire le idee e le sensazioni secondo una  architettura. Elaborare i concetti e disporli nel tempo sembra. A  ciascuno di loro , un’impresa  disperatissima. Discorrono in modo vuoto ,  con parole senza vita, senza agilità e movimento “.
Dice  Citati : “ Nessuno, o quasi nessuno tra quei ragazzi  ha voglia di  andare a scuola. Nessuno si vergogna di questo rifiuto . Tutti  detestano  leggere o scrivere o ascoltare le lezioni. Qualche volta,  basta ascoltarli per cinque minuti. Il lessico umano è immenso, ma i  ragazzi ne conoscono  pochissime parole  : usano termini impropri ,  pasticciano , confondono ortografia  e punteggiatura. Non sanno pensare.  Non riescono a distribuire le idee e le sensazioni secondo una  architettura. Elaborare i concetti e disporli nel tempo sembra. A  ciascuno di loro , un’impresa  disperatissima. Discorrono in modo vuoto ,  con parole senza vita, senza agilità e movimento “. Mi  domando se Citati abbia ragione, se è così. E se è così domani mattina  mi devo ricordare di guardare bene in faccia quei ragazzi quando sto  fermo con l’auto incolonnato nel traffico e loro mi passano a fianco. E   mi devo sforzare di ascoltare i loro discorsi.
Mi  domando se Citati abbia ragione, se è così. E se è così domani mattina  mi devo ricordare di guardare bene in faccia quei ragazzi quando sto  fermo con l’auto incolonnato nel traffico e loro mi passano a fianco. E   mi devo sforzare di ascoltare i loro discorsi.Comunque sono sicuro che Paola Mastrocola nello scrivere quel suo libro “ Togliamo il disturbo” li ha guardati in faccia e ha ascoltato le loro parole. Mastrocola e Citati non può fare a meno di dirlo “ ama i suoi ragazzi , perennemente annoiati e in quei lunghi sbadigli percepisce delusioni, desideri speranse. Quando guarda verso le cattedre si accorge che i professori non posseggono il dono di insegnare . Nel mondo e nei libri , non esiste quasi nulla di noioso: tutto è misterioso , concentrato, enigmatico, affascinante. Basta saper capire e interpretare: Ma i professori lasciano spento quello che era spento, morto ciò che era morto. Sopra il loro capo ci sono i volti dei presidi : Sopra quello dei presidi , i sottosegretari : sopra quello dei sottosegretari, l’intelligenza sovrana dei Ministri – riformatori…. “
 E  qui il discorso si fa difficile . E’ vero che la scuola con le ultime  riforme  viene smantellata mattone dopo mattone  e va verso la  distruzione ? Oppure è proprio per  porre rimedio a questa distruzione a  questo degrado che una riforma doveva essere approntata e fatta  costi  quel che costi ?
E  qui il discorso si fa difficile . E’ vero che la scuola con le ultime  riforme  viene smantellata mattone dopo mattone  e va verso la  distruzione ? Oppure è proprio per  porre rimedio a questa distruzione a  questo degrado che una riforma doveva essere approntata e fatta  costi  quel che costi ?Io non lo so perché non faccio l’insegnante e non ho più figli che frequentano la scuola.
So che su questi temi sarebbe possibile formare un’opinione attraverso un dibattito serio e serrato che non fa sconti a nessuno con la partecipazione del movimento studentesco. Ho visto poche occasione in cui gli argomenti pro e contro sono stati affrontati con queste modalità.
 Ho  visto con simpatia,  avendo partecipato da studente  a quel movimento e  a quello che accadde nel 1968 ,  il comportamento degli studenti  e del  loro nonno ( scherzando mi riferisco al Presidente della Repubblica )  che sono riusciti a spostare l’attenzione sulla sostanza dei problemi.   Attenzione che va coltivata  per dare però risultati.
Ho  visto con simpatia,  avendo partecipato da studente  a quel movimento e  a quello che accadde nel 1968 ,  il comportamento degli studenti  e del  loro nonno ( scherzando mi riferisco al Presidente della Repubblica )  che sono riusciti a spostare l’attenzione sulla sostanza dei problemi.   Attenzione che va coltivata  per dare però risultati.E proprio dopo aver ricordato quegli studenti mi piace continuare a leggere Citati perché mi fa ripercorrere un percorso che poi in defintiva è quello della mia adolescenza .
 “Nel  1943, avevo tredici anni, come gli alunni sonnacchiosi di Paola  Mastrocola, e attraversavo le stesse esperienze. Non andavo mai a  scuola: non studiavo né il latino né il greco. I bombardamenti di Torino  avevano costretto la mia famiglia a rifugiarsi in un'immensa casa in  Liguria, con stanze altissime, scale ombrose, soffitte che accoglievano  uccelliere vaste come saloni. In quel piccolo paese di mare, vivevo  quasi solo. La scuola del capoluogo vicino era chiusa perché gli aerei  inglesi mitragliavano le strade: i miei due migliori amici erano stati  fucilati durante un rastrellamento tedesco; e qualcosa nel mio contegno  teneva lontani da me i ragazzi del paese, coi quali avrei voluto giocare  a pallone.
“Nel  1943, avevo tredici anni, come gli alunni sonnacchiosi di Paola  Mastrocola, e attraversavo le stesse esperienze. Non andavo mai a  scuola: non studiavo né il latino né il greco. I bombardamenti di Torino  avevano costretto la mia famiglia a rifugiarsi in un'immensa casa in  Liguria, con stanze altissime, scale ombrose, soffitte che accoglievano  uccelliere vaste come saloni. In quel piccolo paese di mare, vivevo  quasi solo. La scuola del capoluogo vicino era chiusa perché gli aerei  inglesi mitragliavano le strade: i miei due migliori amici erano stati  fucilati durante un rastrellamento tedesco; e qualcosa nel mio contegno  teneva lontani da me i ragazzi del paese, coi quali avrei voluto giocare  a pallone.
 Tutti  i libri della mia casa di Torino erano finiti in una cucina  abbandonata: identica a quella del Castello di Fratta. Mio padre li  aveva sistemati a caso dentro vecchie librerie o lasciati dentro le  casse. Dovunque mi avventurassi e esplorassi, l'immensa casa grondava di  libri. Un avo aveva nascosto il suo Buffon, il suo Voltaire, la sua Encyclopédie dentro una cassapanca della soffitta: mia nonna aveva raccolto i romanzi della sua Bibliothèque rose,  pubblicazioni audaci del Settecento, libri di spiritismo e di  rivendicazioni femministe in una madia della stanza da pranzo: dal  ripostiglio di cucina emergevano le storie di battaglia, gli studi di  tattica e di strategia, che mio nonno militare aveva amato: nelle stanze  da letto qualcuno aveva disseminato i fascicoli di un feroce romanzo  antimassonico; mentre nel salotto facevano pompa di sé i volumi delle  mediocri glorie letterarie della famiglia. Vivevo rinchiuso nella  cucina-biblioteca, nella soffitta-biblioteca, nei ripostigli-biblioteca:  in tutti gli angoli di quell'alveare ronzante di libri.
Tutti  i libri della mia casa di Torino erano finiti in una cucina  abbandonata: identica a quella del Castello di Fratta. Mio padre li  aveva sistemati a caso dentro vecchie librerie o lasciati dentro le  casse. Dovunque mi avventurassi e esplorassi, l'immensa casa grondava di  libri. Un avo aveva nascosto il suo Buffon, il suo Voltaire, la sua Encyclopédie dentro una cassapanca della soffitta: mia nonna aveva raccolto i romanzi della sua Bibliothèque rose,  pubblicazioni audaci del Settecento, libri di spiritismo e di  rivendicazioni femministe in una madia della stanza da pranzo: dal  ripostiglio di cucina emergevano le storie di battaglia, gli studi di  tattica e di strategia, che mio nonno militare aveva amato: nelle stanze  da letto qualcuno aveva disseminato i fascicoli di un feroce romanzo  antimassonico; mentre nel salotto facevano pompa di sé i volumi delle  mediocri glorie letterarie della famiglia. Vivevo rinchiuso nella  cucina-biblioteca, nella soffitta-biblioteca, nei ripostigli-biblioteca:  in tutti gli angoli di quell'alveare ronzante di libri.
 Fino  allora avevo letto soltanto i romanzi di Salgari. All'improvviso, mi  misi a leggere tutti i libri di casa: senza scelta né discernimento,  perché la mia curiosità senza forma prendeva tutte le forme. Shakespeare  nella versione ottocentesca di Andrea Maffei, i libri rosa di mia  nonna, i racconti delle battaglie russo-giapponesi che mio nonno  compilava per la Rivista militare, le meravigliose descrizioni di uccelli nella Histoire naturelle di Buffon, le voci dell'Encyclopédie sulle arti, la Storia delle crociate  affidata alla penna fantastica di Gustave Doré. Non smettevo mai.  Appena sveglio, scendevo in cucina: passavo tra i libri la mattina e il  pomeriggio; e la voce di mia madre mi chiamava inutilmente a cena.  Quelle letture mi hanno segnato per sempre: malgrado gli anni, sono  rimasto un dilettante, a casa in tutti i luoghi e in nessun luogo. La  biblioteca domestica, frutto casuale della sedimentazione del tempo,  figlia delle generazioni, luogo aperto all'invincibile curiosità, è la  più formativa che esista. Con tutte le sue lacune e stranezze, eccita la  passione del libro molto più della biblioteca scolastica, dove i libri  sono scelti e registrati in ordine, e sopravvivono soltanto i  trionfatori della storia e della letteratura.
Fino  allora avevo letto soltanto i romanzi di Salgari. All'improvviso, mi  misi a leggere tutti i libri di casa: senza scelta né discernimento,  perché la mia curiosità senza forma prendeva tutte le forme. Shakespeare  nella versione ottocentesca di Andrea Maffei, i libri rosa di mia  nonna, i racconti delle battaglie russo-giapponesi che mio nonno  compilava per la Rivista militare, le meravigliose descrizioni di uccelli nella Histoire naturelle di Buffon, le voci dell'Encyclopédie sulle arti, la Storia delle crociate  affidata alla penna fantastica di Gustave Doré. Non smettevo mai.  Appena sveglio, scendevo in cucina: passavo tra i libri la mattina e il  pomeriggio; e la voce di mia madre mi chiamava inutilmente a cena.  Quelle letture mi hanno segnato per sempre: malgrado gli anni, sono  rimasto un dilettante, a casa in tutti i luoghi e in nessun luogo. La  biblioteca domestica, frutto casuale della sedimentazione del tempo,  figlia delle generazioni, luogo aperto all'invincibile curiosità, è la  più formativa che esista. Con tutte le sue lacune e stranezze, eccita la  passione del libro molto più della biblioteca scolastica, dove i libri  sono scelti e registrati in ordine, e sopravvivono soltanto i  trionfatori della storia e della letteratura. Finì  la guerra. Giunse il 1945: abbandonai la biblioteca della casa al mare:  ritornai a Torino; e, insieme ai miei compagni del D'Azeglio, cominciai  a passeggiare lungo il Po, a discorrere di tutto  -  monarchia,  repubblica, storia, filosofia, famiglia, scuola, scuola. Su tutto, avevo  idee e contro-idee. Nel 1946 scrissi uno sciocchissimo articolo sul  giornale scolastico. Sostenevo che bisognava smettere - per sempre - di imparare le poesie a memoria. Niente più Infinito, Chiare, fresche e dolci acque, terzo canto del Paradiso.  Era una cosa meccanica: un'esperienza per parassiti; fatta apposta per  quei bambini, che avevamo smesso di essere. Ero orgogliosissimo delle  mie convinzioni.
Finì  la guerra. Giunse il 1945: abbandonai la biblioteca della casa al mare:  ritornai a Torino; e, insieme ai miei compagni del D'Azeglio, cominciai  a passeggiare lungo il Po, a discorrere di tutto  -  monarchia,  repubblica, storia, filosofia, famiglia, scuola, scuola. Su tutto, avevo  idee e contro-idee. Nel 1946 scrissi uno sciocchissimo articolo sul  giornale scolastico. Sostenevo che bisognava smettere - per sempre - di imparare le poesie a memoria. Niente più Infinito, Chiare, fresche e dolci acque, terzo canto del Paradiso.  Era una cosa meccanica: un'esperienza per parassiti; fatta apposta per  quei bambini, che avevamo smesso di essere. Ero orgogliosissimo delle  mie convinzioni.
 Qualche  anno dopo, mi resi conto che avevo torto. Imparare le poesie a memoria,  richiamare e rispecchiare le parole, andare avanti e indietro,  sillabare e risillabare, era un gioco bellissimo. Se dicevo e ripetevo  tra me: Sedendo e mirando, interminati spazi: oppure herba et fior che la gonna leggiadra ricoverse; oppure Qual per vetri trasparenti e tersi o ver per acque nitide e tranquille:  - la mente variava e arricchiva il vocabolario, rafforzava la scrittura  mentale, imparava a pensare e a ripensare. Oggi, sono pieno di  rimpianti. Mi ricordo tutti i versi che, per arroganza giovanile, ho  dimenticato, e penso a quello che avrei potuto essere e non sono."
Qualche  anno dopo, mi resi conto che avevo torto. Imparare le poesie a memoria,  richiamare e rispecchiare le parole, andare avanti e indietro,  sillabare e risillabare, era un gioco bellissimo. Se dicevo e ripetevo  tra me: Sedendo e mirando, interminati spazi: oppure herba et fior che la gonna leggiadra ricoverse; oppure Qual per vetri trasparenti e tersi o ver per acque nitide e tranquille:  - la mente variava e arricchiva il vocabolario, rafforzava la scrittura  mentale, imparava a pensare e a ripensare. Oggi, sono pieno di  rimpianti. Mi ricordo tutti i versi che, per arroganza giovanile, ho  dimenticato, e penso a quello che avrei potuto essere e non sono."
giovedì 10 febbraio 2011

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