venerdì 18 febbraio 2011

EDITORIALI : Il saccheggio impunito dei predatori dell'arte

EDITORIALI : Il saccheggio impunito dei predatori dell'arte

«Vandali»: come il nostro Paese sta sperperando la sua ricchezza

Il traffico dei tesori artistici rubati, il degrado dei musei, il cemento abusivo che deturpa il paesaggio: è lo scempio che l’Italia sta facendo di se stessa raccontato in «Vandali», il libro-denuncia di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. Un abbandono culturale, spiegano i due inviati del «Corriere della Sera», che penalizza pesantemente il turismo, altra risorsa che dovrebbe essere strategica per il nostro Paese. «Vandali», edito da Rizzoli, è in libreria al prezzo di 18 euro. Pubblichiamo qui alcuni stralci tratti dell’ottavo capitolo.

"Ma ce la meritiamo, la Venere di Morgantina? Ti torce le budella questo dubbio, leggendo ciò che diceva a metà novembre del 2010 l'assessore siciliano ai Beni culturali, Sebastiano Missineo, entusiasta per il ritorno dalla California della preziosissima statua: «Stiamo valutando se allestire una sala provvisoria...».

Che storia è questa? Quattro anni dopo l'annuncio che sarebbe tornata? Cinque dopo le manifestazioni di piazza per accelerare il rientro? Dieci dopo l'avvio ufficiale da parte del governo della procedura di restituzione? Dodici dopo l'indagine giudiziaria su una guerra mafiosa intorno al traffico dei reperti antichi che aveva visto anche l'assassinio di qualche «archeologo» clandestino? Ventidue dopo l'apertura di un'inchiesta sull'itinerario seguito dal capolavoro, trovato dai tombaroli nel 1977 in contrada San Francesco e finito al J. Paul Getty Museum di Malibu, e le prime richieste di riconsegna?


Eppure è così. C'è da vergognarsi a dirlo, ma è così. Un mese prima che la grande galleria d'arte californiana, sconfitta in tribunale e nella trattativa diplomatica, esponesse per l'ultima volta quella meravigliosa scultura comperata a un'asta nel 1988 per 18 milioni di dollari e da allora cuore ammiratissimo del museo visitato ogni anno da un milione e mezzo di persone, il Comune di Aidone nel cui territorio sono i ruderi di Morgantina, la Provincia di Enna e la Regione Sicilia non avevano ancora deciso dove mettere quel tesoro in arrivo dall'America.

Sulle prime pareva che dovesse andare, su consiglio anche di Vittorio Sgarbi, alto commissario della Villa Romana a Piazza Armerina («Sennò è meglio lasciarla in America»), nella chiesa sconsacrata di San Domenico ad Aidone. La Regione aveva anzi ottenuto dallo Stato per restaurarla un milione e mezzo di euro ricavati dal Lotto, ma ritarda oggi, ritarda domani, i soldi sono stati accreditati dallo Stato sul conto palermitano solo ai primi di novembre del 2010, due mesi prima del rientro. (...)

Sia chiaro: fin da quando la magistratura ha accertato che la statua in marmo (testa, braccia e mani) e in pietra calcarea (il resto del corpo) era stata trovata a Morgantina, nessuno ha messo mai in discussione i diritti di Aidone. Dove dal primo istante reclamano a gran voce la scultura: «È nostra! È nostra!». (...) Mettetevi al posto degli abitanti isolati da secoli in questo borgo fuori dal mondo: come è possibile non sognare, davanti all'arrivo dall'America («La Merica! La Merica!») di un capolavoro che a Los Angeles richiamava un milione e mezzo di visitatori l'anno? «I turisti! Arriveranno i turisti! A frotte! Con le tasche gonfie di soldi!».

Al di là dei principi, però, c'è modo e modo. E viene un groppo alla gola a scoprire (...) «come» il paese, arroccato sui monti Erei, 5.176 abitanti, zero librerie, zero cinema, zero teatri, zero Internet point, si prepara ad accogliere quell'opera meravigliosa alta due metri e venti centimetri, scolpita a quanto pare da un allievo di Fidia, che in origine era probabilmente policroma e rappresentava non tanto Venere (quello è solo il nome che le è stato appiccicato) quanto Demetra o Persefone. I turisti! I turisti! Mettetevi ora nei panni di un turista che cerca Aidone su Google maps: un albergo, quattro bed&breakfast, tre trattorie, una pizzeria, 98 chilometri dall'aeroporto di Catania, 195 da quello di Palermo senza un solo autobus diretto, nessuna informazione (tranne venti righe copia-incolla sulla statua prese da Wikipedia) sul sito comunale.


E meno male che gli americani hanno detto che no, loro non avevano alcuna intenzione di spaccare la statua in tre parti per il trasporto, così come era stata rotta da quei bastardi dei tombaroli, riportarla in nave in Italia, rimontarla per una mostra a Palermo (che sarebbe piaciuta tanto alla Regione), smontarla di nuovo, rimontarla per un'altra mostra a Enna (che sarebbe piaciuta tanto alla Provincia), per arrivare infine ad Aidone dopo un viaggio da incubo. (...) C'era il rischio che la dea si svegliasse come nel film "Il bacio di Venere" con Ava Gardner e che soavemente dicesse: «Scusate, ma con tutti questi casini, perché non avete lasciato che mi adorassero a Malibu?». (...)


Luigi Palma di Cesnola, un piemontese di Rivarolo che dopo avere combattuto per l'Unità d'Italia se n'era andato negli Stati Uniti dove era diventato comandante di vari reggimenti di cavalleria nella Guerra di secessione americana, non si poneva proprio il problema. Premiato da Abramo Lincoln con l'incarico di console a Cipro, tornò a New York con un carico di 275 casse, ognuna lunga nove piedi cioè quasi tre metri, piene di ogni ben di Dio: statue, statuette, vasi, bracciali, braccialetti d'oro massiccio, orecchini, anelli, spille, amuleti, spilloni, collane. (...)

Era il 1873 ed erano davvero altri tempi. Che l'ufficiale sabaudo-americano avesse approfittato degli anni ciprioti per saccheggiare tutto quello che aveva potuto saccheggiare sembrava, allora, del tutto normale. Fatto sta che ancora oggi sono tanti gli italiani che, in un contesto totalmente cambiato e con motivazioni assai più affaristiche di Palma di Cesnola, continuano a fornire «pezzi» artistici o archeologici a tutti i musei del pianeta. (...)


«La Razzia è immensa» scrive nel suo libro «I predatori dell'arte perduta» Fabio Isman. «Nel luglio 2000, un'indagine della Camera dei Comuni di Londra valuta che il traffico illecito di antichità e cultura superi i 6 miliardi di dollari all'anno. Per buona parte, oggetti italiani. E la Razzia coinvolge vari importanti, e spesso anche insospettabili, musei al mondo. Il Metropolitan di New York, che per primo ha restituito reperti trafugati al nostro Paese; e il californiano J. Paul Getty, pure autore di numerose restituzioni...» (...) In Giappone, senza scandalo, esiste un museo, il Miho, fondato dalla soave signora Mihoko Koyama con un investimento di 750 milioni di dollari, dove tutti ma proprio tutti i reperti antichi italiani sono ricettati da trafficanti di arte senza scrupoli.

Trafficanti ai quali ricorrono ancora, senza alcun problema di coscienza, molte altre gallerie sparse per il mondo. Le quali, visto che anche il pezzo più prezioso non varrebbe nulla senza le necessarie garanzie d'autenticità (dov'è stato trovato esattamente, a che profondità, cosa c'è intorno, cosa c'era sopra...), hanno potuto spesso contare sulla premurosa e interessata «collaborazione» di importanti storici e critici d'arte. (...)


Gli stessi tombaroli del resto, racconta Isman, si sono attrezzati. Vale per tutti la storia delle tre intere pareti di affreschi pompeiani staccati da chissà quale villa forse dalle parti di Boscoreale, vicino a Pompei, e trovati nel 1995 nel deposito ginevrino di Giacomo Medici, un trafficante d'arte italiano. C'erano le foto, quella volta. Scattate dai criminali nel ventre stesso della Domus. (...)

Cosa dovrebbe fare un Paese sottoposto a un tale saccheggio come il nostro? Ovvio: dovrebbe avere regole feroci contro predatori, trafficanti, ricettatori. È in gioco la nostra memoria, la nostra faccia, la nostra storia. Il nostro turismo. Eppure, non una sola sentenza di condanna, in questi anni, è mai arrivata fino alla conferma in Cassazione senza essere svuotata prima da un'amnistia, un condono, una prescrizione. Neppure una. (...)


Se possibile, poi, la situazione è peggiorata dopo l'approvazione, nel 2004, del codice dei Beni culturali che porta il nome dell'allora ministro Giuliano Urbani. Da allora, nemmeno in flagranza di reato i tombaroli rischiano l'arresto. La pena massima prevista è tre anni, e per quella c'è la denuncia a piede libero. Le manette possono scattare solo per danneggiamento, ma anche questa possibilità è spesso legata alla sensibilità del magistrato. E poi, vallo a dimostrare che i danni sono stati procurati dallo scavo clandestino. Esattamente come nel caso della Venere di Morgantina tagliata in tre pezzi perché era più facile da far sparire e portare al di là dei confini. Così fanno i tombaroli: amputano le statue, spaccano i sarcofagi, tagliano e sezionano i quadri per venderli a tranche, come accadde qualche anno fa a un dipinto di Lorenzo Lotto, i cui frammenti sono stati poi recuperati dalla Finanza. Solo facendoli a pezzi, in molti casi, i reperti archeologici si possono trasportare, nascondere, commerciare. In più, una volta venduto un frammento, il frammento successivo può essere proposto a un prezzo ancora maggiore allo stesso acquirente, invogliato a entrare in possesso dell'opera completa.


È successo a un meraviglioso monumento funerario decorato con bassorilievi che rappresentano scene di combattimenti fra gladiatori scoperto casualmente sbancando un terreno nel 2007 nella zona del sito di Lucus Feroniae, vicino a Fiano Romano: per farlo sparire lo ridussero e lo sotterrarono in 12 pezzi, troppo tardi trovati dalla Finanza. È successo al fantastico tetto in terracotta del tempio arcaico di Caprifico, fatto edificare intorno al 520 a.C. da Tarquinio il Superbo nel territorio di Cisterna di Latina. Ridotta in centinaia di pezzi venduti separatamente, l'opera è stata sparpagliata in mezzo mondo: 80 frammenti all'Ashmolean Museum di Oxford, 137 all'Antikenmuseum Basel und Sammlung Ludwig di Basilea, 20 al Metropolitan di New York, 20 al British Museum di Londra, 20 al Fogg Museum del Massachusetts...

Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella


Eremo Via vado di sole, L'Aquila,
venerdì 18 febbraio 2011

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