martedì 15 febbraio 2011

ET TERRA MOTA EST : tra futuro e nostalgia

ET TERRA MOTA EST : tra futuro e nostalgia

Pubblicato 10 febbraio 2011 Dalla rete


di Franco La Cecla, (http://www.ilsole24ore.com/), 12 febbraio 2011

L’Aquila rinasce tra il futuro e la nostalgia

Ogni volta che torno qui rimango impressionato da due cose, una quasi permanente e una fluttuante, nascente. La prima sono le montagne, adesso innevate, questo coro di dolci vette che circondano una terra di colori ambra e marrone, una Scozia nostrana di pecore, borghi sui crinali, tratturi ostinati. La seconda cosa, fluttuante, è che questo posto d’Abruzzo, questa provincia d’Aquila è diventata un luogo on the road.


Quelle che erano le piazze sono diventate le stazioni di benzina, i bar lungo la statale, quelli che erano il corso lungo il quale si facevano le “vasche”, oggi sono circonvallazioni umanizzate da uno sciamare di giovani che si ritrovano tra pub, luoghi riaperti, fiere, bancarelle e vinerie. Sembra di stare in una provincia americana. L’abitare si è “diffuso”, e l’Aquila è ancora il centro ideale, ma di un sistema territoriale che viene percorso continuamente in macchina da chi vuole ritrovare amici, colleghi di lavoro, occasioni di discorsi e di progetti.

A me l’insieme dà l’impressione di una freschezza altrove rara in Italia, un’energia che viene proprio da quell’imprevisto terribile che ha scompaginato strutture e sistemi e che costringe la gente che è rimasta a ri-inventarsi. Mi sembra anche che questo dopo-terremoto, con la città ancora disabitata, ma teneramente ricolonizzata ogni notte dai giovani che pretendono di vivere le piazze e i palazzi transennati, come se tutta L’Aquila fosse una Berlino da “squattare”, mi sembra che riveli uno stato delle cose mai evidente come adesso. I giovani che incontro sono per buona parte in diaspora altrove, dispersi tra università italiane e straniere, alla ricerca di occasioni qui impossibili (però anche prima L’Aquila era una provincia trascurata dai grandi flussi) ma hanno acquistato una nostalgia mitica. Raccontano di angoli perduti per sempre, di panchine del primo bacio e di vicoli dei primi meeting artistici e politici importanti, raccontano una città che non c’è più ma che loro hanno imparato a innalzare a mito.

La novità è che loro portano qui l’altrove, come ad esempio fanno due personaggi che incontro, Angelo Imperiale ed Elvira Di Bona, uno filosofo tra Milano e Barcellona e impegnato fino ai gomiti nella ricostruzione, l’altra filosofa della mente e violinista dottoranda tra Milano e Sydney. L’altrove è per loro l’apertura di uno spazio di discussione, di una rivista che si chiama non a caso Crack, dalla canzone di Leonard Cohen, there are cracks everywhere, this is the way the light comes in, «ci sono crepe dappertutto, questo è il modo con cui la luce si fa avanti». Insomma l’imprevisto del terremoto è diventato un paradigma metodologico, una provocazione epistemologica. Angelo mi racconta il suo impegno di filosofo nella ricostruzione di due borghi intorno all’Aquila, Paganica e San Gregorio, e quel paradigma di ricostruzione dal basso, con gli abitanti, esercitato con un architetto friulano strano e coraggioso che si chiama Roberto Pirzio Biroli. Insieme camminano con gli abitanti tra le rovine e spiegano che c’è tutto per potere ricostruire subito, che le case così come vanno giù, possono essere riportate su con cantieri veloci, con tecnologie leggere e sicure.


Applicano un’epistemologia della complessità che comporta vedere un insediamento come un insieme di relazioni umane prima ancora che di pietre e mura. Fanno parte di una fioritura più larga e generale che ha portato qui all’Aquila università austriache – impegnate a Onna – gruppi d’autocostruzione berlinesi ma anche i cantieri sperimentali di Renzo Piano e Shugeru Ban: l’auditorium del primo comincerà ad essere costruito in aprile, quello del secondo, sostenuto da immensi pilastri di cartone, è in corso di ultimazione. Ovviamente non tutto è rosa, Angelo ed Elvira me lo raccontano, sospetti degli architetti locali, immobilismo totale di istituzioni, il peso sul groppone degli insediamenti provvisori privi di qualunque collegamento all’Aquila e alla sua storia. Ma in queste sere gelide e nitide, fra il vento del Velino che soffia sotto i vestiti c’è un’energia di base che promette bene, un’energia europea, direi, di giovani che non s’illudono di restare qui per sempre, ma che non rinunciano a essere di qui. Da questi “crack”, da queste screpolature del reale è possibile vedere prospettive che alla compattezza della normalità sono negate.

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martedì 15 febbraio 2011

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