lunedì 14 febbraio 2011

MICROLOGUS : Una domenica di febbraio



MICROLOGUS : Una domenica di febbraio


Nel mio breve saggio “ Gli storpi entreranno per primi “ ho raccontato il fascino dei mercatini dell’usato. Un esercizio di fantasia non esente a volte di amare e tristi considerazioni . Un esercizio che comunque ci permette, ancora a volte di rubare l’anima agli oggetti, alle cose esposte. Anima spesso condivisa da chi quegli oggetti possedeva e che dunque una parte di quelle persone. Così percorrendo questi viaggi inusuali mi sono qualche volta imbattuto in persone, mondi che mai avrei pensato di incontrare nella vita. Ho spesso pensato alle virtù e offerto la pietà alla vita che rimane imprigionata in quegli oggetti nelle loro superfici fredde, lisce, dipinte, al naturale dei materiali con i quali sono fatti.
Una folla di presenze e di ombre che nel sole della domenica pomeriggio, di una domenica di febbraio mi si sono presentate visitando il mercatino della Conca d’oro in un quartiere di Roma dove mi sono trovato .

D’un tratto , ma non proprio così all’improvviso, ci sono andato sapendo dove andare ed in buona compagnia, dicevo d’un tratto mi sono trovato tra flaconi di shampo alle banane, di gel doccia verde pisello, salviette rinfrescanti,saponette al gelsomino di antica ed incerte origini , creme da barba in minitubetto, beauty da viaggio.

E poi enormi credenza stile cucine poovere dei contadini degli anni trenta dello scorso secolo e animali tigri, gatti di porcellana e piatti e tazzine da cafè, da latte , da tè a un euro ciascuna queste ultime con i loro piattini e forse anche qualche cucchiaino dal manico argentato .


E poi grandi cornici con tele strappate c con immagini di angeli, angeli anche di gesso e quadri della Sacra Famiglia come quello di casa a L’Aquila che Caterina aveva avuto per tutta la vita sul muro a capo del letto. E poi libri e libricini . E profumi di mirto e zenzero, formaggi acidi e ricotte di pecora, salsicce e mozzarelle appassite di L’Aquila, ciglioni di mulo di Campotosto . Un pezzo di Abruzzo, Lucania, Sardegna in quel mercatino su un campo sterrato tra palazzi a nove piani senza soluzione di continuità attraversati da un fiume pigro al sole sonnolento di una domenica pomeriggio di metà febbraio.

Un “ love time “ dunque con le persone che sono con me , con Ida che ci ha condotto in quel luogo e la condivisione con tutte quelle persone presenti di un inebriante bouquet ( che fiorisce ogni domenica ) di tempi, sapori, odori, umori di un passato vicino o lontano che quegli oggetti ci restituiscono.

Ci restituiscono anche in parte i giorni della nostra vita passata perché di alcune o molte di quelle cose la nostra vita è stata popolata . Frutto dunque di rispecchiamenti e affascinante catalogo di giorni , tutti quegli oggetti ti aiutano a difenderti da quella progressiva perdita di senso che accompagna la fase complessa e disordinata che stiamo vivendo.


Difendersi da quei guai che il populismo di destra e di sinistra ha creato disarticolando il rituale e tradizionale rapporto tra le persone e le cose. Quelle cose, quegli oggetti così vicini e così lontani dalla felicità quotidiana di mondi paralleli che danno senso alla vita. Quella vita che ha bisogno qualche volta di conforto che andiamo a trovare su E.bay ,cinicamente per acquistare l’inutile che ci appaga oppure in un mercatino dell’usato l’inutile che ci ri-paga.
Sui banchi e sui banchetti ho visto anche altri mondi : quelli delle foto ingiallite dal tempo. Scatti per la memoria, La memoria in uno scatto. Oggi che la società visiva e soprattutto tele-visiva ha trasformato tutto , anche i luoghi più istituzionali, sacri e lontani in qualcosa che sembra a portata di mano , è giusto riflettere su quelle foto ingiallite di una società di almeno cinquant’anni fa. E lo sguardo si è addolcito in una tenerezza perché in quella società quegli scatti, quelle foto rappresentavano l’uni approccio alla realtà visiva. Oggi ne sono la memoria; sono la memoria di quegli anni .

Anche se appunto memoria di tenerezze e nostalgie, ma vive , senza appiattimenti . Lo so che la fotografia coglie l’attimo e fissa la storia. Ecco perché quell’attimo narra giorni e mesi e anni di una storia , della storia delle persone, delle famiglie dei gruppi , della politica, della cultura, della società in definitiva. Certo, lo so, non basta una rassegna fotografica per comprendere la Storia intesa come successione di speranze e tragedie, slanci e cadute. E’ però un ausilio potente e insostituibile per non far sbiadire la memoria .

Ma d’un tratto lasciate le foto mi sono comparse innanzi grandi mappe. Delle grandi mappe o carte geografiche che mi hanno fatto sentire come davanti ai capolavori del Rinascimento. Davanti alla vita , che poi lo sviluppo della cartografia è di quel periodo storico , complici le esplorazioni e le scoperte geografiche . E’ come dire davanti a quelle mappe : nato per percorrere quei chilometri o quelle leghe in un folle , spavaldo, rilucente sogno di un viaggio. Il viaggio in una fantastica età in cui la National Geographic Society non era ancora nata e tutto aveva bisogno di essere ancora esplorato.


Un desiderio che oggi forse fa ridere in un tempo in cui basta prendere un aereo e si va da polo a polo o una navetta e si va nello spazio. Ma quelle mappe non esploravano soltanto la geografia della terra ma anche la geografia dell’anima di uomini e donne che percorrevano brevi spazi con l’intento di segnare , nominare, costruire.

Mappe e carte desiderio di quel viaggio di altri tempi per il quale bisognava impegnarsi con sacrifici inumani per raggiungere luoghi inaccessibili e vivere avventure oltre ogni immaginazione.

Mi sono chetato di fronte ad uno stand di abiti per tornare a volare però guardando quei costumi da ballo variopinti, ariosi, fuor di misura, perche’ troppo piccoli o troppo grandi, adatti forse al carnevale che si avvicina più che a una silenziosa serata davanti alla tivvù indossando una vestaglia da camera firmata Cardin anche però a portata di mano e di tasca.


All’ultimo anno delle superiori avevo una ragazza e non riuscivo a dimenticarne un’altra che avevo conosciuto alle medie e che ho aspettao poi ancora quindici anni per sposare. All’ultimo anno dells superiori non leggevo più Salgari e Verne e avevo letto Baccelli, Pratolini, D’Annunzio e Cechov, Dostojevskij, Pavese, Lorca , Pasolini, Primo Levi, Bassani , Mann, Kafka e un’altra montagna di libri.

Leggevi Philip K. Dick ed ero innamorato delle storie gialle e di fantascienza che leggevo senza soluzione di continuità sino alla parola fine di ogni storia. A piler ho trovato su quelle bancarelle il giallo mondatori e la fantastica Urania che qualche volta accorciava i testi delle storie e che andavo poi a cercare da Fanucci perché li pubblica integralmente. E in quel mondo mi sono perso un po’.La curiosità a quel tempo era diventata passione e forse ossessione. Quello che ho ritrovato su quei banchetti .


Non si è fatto tardi su quei banchetti: Siamo andati via che c’era ancora il sole . Si è fatto tardi per farsi ancora investire dal movimento di quegli oggetti pieni di disastri e di meraviglie , di bellezza e di orrori. Libri centrali e negletti nei ricordi d’infanzia e adolescenza. Oggetti assoluti , oggetti assoluti perché indicano quello a cui si espone la vita: l’affranta bellezza di un’eco che ci fa di volta in volta ( come ieri e come oggi ) inventare e incontrare la vita.


Eremo Via vado di sole, L’Aquila,
lunedì 14 febbraio 2011

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