domenica 1 maggio 2011

Primo maggio

Primo maggio

In “Settimo giorno “ ho ricordato che il giorno della beatificazione di Giovanni Paolo II coincide con il primo maggio festa del lavoro e dei lavoratori . Pensando alla necessità di raggiungere l’obiettivo di assicurare lavoro per tutti e a tutti ritengo che la festa del primo maggio rappresenti una occasione per riflettere sugli interessi generali e comuni il cui senso sembra smarrirsi in questo paese .

Ho scelto allora due riflessioni sul tema del primo maggio. La prima del prete operaio Don Roberto Fiorini ,la seconda di Massimiliano Perna che convergono su una cosa importante e fondamentale . Ossia che la festa di questo giorno per la sua storia e il suo senso rappresenta ormai un valore irrinunciabile per il presente e per il futuro nella storia di questo paese.


Scrive Don Roberto Fiorini : “Un lungo applauso è seguito alla lettura della sentenza che ha condannato per omicidio volontario i dirigenti della Thyssen di Torino. «È il salto più grande di sempre in tutta la giurisprudenza in materia di incidenti sul lavoro. Questa pronuncia deve far ben sperare i lavoratori e far pensare gli imprenditori», ha dichiarato il procuratore Guariniello.

Qualche mese fa, i familiari delle vittime sul lavoro si sono riuniti in convegno a Viareggio – dove la nuvola di Gpl esplosa dopo il disastro ferroviario ha provocato 32 vittime – per dire all’unisono: «La fatalità non esiste. 900mila incidenti l’anno, di cui 300mila gravissimi, escludono la fatalità». È come essere in una guerra infinita dove gli incidenti sul lavoro sono trattati, con disinvoltura, alla stregua degli inevitabili “effetti collaterali” dei bombardamenti. La sentenza di Torino, che ha infranto la tradizione di impunità di dirigenti e proprietari degli impianti con i lavoratori a rischio permanente, ha ridato fiato ai tanti familiari che in diverse parti d’Italia attendono giustizia per i loro congiunti morti sul lavoro o invalidi permanenti.


Basterebbe questo per ridurre al silenzio quanti vorrebbero espungere dalla Costituzione la parola lavoro e sopprimere la festa del 1° maggio. In realtà, far sparire dal vocabolario questa parola significa sanzionare, anche in termini giuridici, la perdita di valore del lavoro umano, che negli ultimi decenni si è consolidata. Nei Paesi industrializzati, la quota che remunera il lavoro è diminuita pesantemente a favore del capitale, oltre a premiare in maniera esponenziale l’élite dirigenziale, con effetti iniqui per gran parte dei lavoratori. «Se i rapporti di forza tra capitale e lavoro fossero quelli di 20 anni fa, per i 23 milioni di lavoratori italiani, vorrebbero dire 5.200 euro in più in media all’anno. Se consideriamo solo i 17 milioni di dipendenti, vuol dire 7mila euro tondi in più in busta paga» (M. Ricci). Si valuta in 120 miliardi di euro il trasferimento dai salari ai profitti avvenuto in Italia, solo in parte reinvestiti in innovazioni tecnologiche, molto più in prodotti finanziari di tipo speculativo o in destinazioni extra-produttive. Con il risultato di una pesante perdita di competitività e produttività dell’Italia, rispetto agli altri Paesi europei.


Il deprezzamento del lavoro, oltre a incrementare il fenomeno dei working poors (poveri al lavoro), tra gli operai e il ceto medio, provoca la caduta del valore morale e sociale del lavoro stesso, con un disorientamento che rende fragili dinanzi alla richiesta di rinunciare ad alcuni diritti in cambio di un po’ di reddito. Pessimo campanello d’allarme per la democrazia, perché «lavoro, uguaglianza politica, rispetto e libertà individuale sono intimamente connessi. L’associazione del lavoro al diritto non può essere considerata come un optional del quale si può fare a meno, ma è a tutti gli effetti un fattore di stabilità democratica» (N. Urbinati).

La festa dei lavoratori, nella sua storia più che secolare, è sorta e si è costruita come rivendicazione della dignità umana, che deve trovare spazio anche dentro gli ambienti di lavoro. Dignità spesso pagata a caro prezzo per le repressioni che si sono scatenate. Quel poco di umanizzazione che troviamo in ambito lavorativo, non è stato regalato da nessuno: è il frutto di lotte costose, di cui il 1° maggio porta la memoria. Vi è chi dice che tale festa sia ormai “superata”. Penso, invece, che l’eclissi del senso del lavoro, il suo occultamento sociale e il degradarlo a pura merce, siano una perdita secca, un segnale nefasto di decadenza di quella che chiamiamo civiltà. Invece, tutti i lavori devono venire alla luce, anche quelli non remunerati, i lavori-ombra come li chiama Ivan Ilich, essenziali per alimentare la quotidianità della vita. La festa è spazio e simbolo di un’umanità che, sospendendo produzione e consumo, scopre la propria irriducibilità ai meccanismi del mercato.


Scrive invece Massimiliano Perna : “ Mi hanno sempre insegnato che agli anziani si deve rispetto. Quando da bambino mi veniva impartito questo fondamentale principio educativo, non sentivo nemmeno il bisogno di approfondirne le ragioni. Guardavo i vecchi e naturalmente ne apprezzavo la fragilità, la dolcezza, sentivo un profondo senso di vita di fronte all’immensa esperienza di quei volti scavati dal tempo e dal sole del Sud. Guardavo i loro occhi, ascoltavo i loro racconti, respiravo la storia, senza date e nozioni, fatta solo di semplice umanità quotidiana, di vite che la storia stessa ha attraversato, mischiandole, gettandole nel suo vorticoso scorrere. Dinnanzi ad occhi che avevano vissuto la guerra (alcuni perfino le due guerre), il dramma di perdite terribili, l’ineluttabile convivenza con la morte e con la fame, la capacità di adattarsi, resistere, guardare avanti, ogni cosa diveniva superflua. Perdonavo così anche le mentalità lontane dal mio modo di vedere il mondo, le piccole ostinazioni, i difetti e le ingenuità.


Crescendo ho poi capito che il rispetto è lo stesso che si deve ad una persona qualsiasi, indipendentemente dall’età. Categorizzarlo, limitarlo è ipocrita. Perché bisognerebbe rispettare un anziano come un bambino, un coetaneo o chiunque altro, dato che è ciò che si dovrebbe ad ogni essere umano, senza gradazioni diverse. Ma per chi, come me, tormentava dolcemente i propri nonni per farsi raccontare nel dettaglio in che modo si svolgesse la loro vita nella prima metà del Novecento, cosa fosse stata davvero la guerra, quanto tangibili fossero le negazioni dei diritti nel periodo fascista, il rispetto per gli anziani coincide con quello per la storia. E così facevo domande su domande, ricevendo risposte che mi hanno fatto crescere, pensare, respingere ed odiare qualsiasi ingiustizia, qualsiasi forma di dittatura politica ed intellettuale, sentire il respiro di una storia che ha marciato per anni sulle gambe del popolo, di uomini di cultura e di persone semplici, tutte insieme, unite, per crescere non come individui ma come Paese.


Questo è quello che ancora riesce a farmi amare in parte l’Italia. La stessa che trovo ritratta nel “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo. Ma dov’è finita quell’Italia oggi? E dov’è il rispetto verso chi si è sacrificato per cercare di tramandarci una forma democratica in cui i diritti fondamentali fossero la base intoccabile ed inalienabile? Il Primo Maggio andrebbe sempre scritto in maiuscolo, non solo sui fogli o negli articoli, ma soprattutto nella vita, ogni giorno, ogni istante. Ed invece, questa data, che un tempo promanava tutto il suo intenso significato, oggi viene svenduta, vilipesa, aggredita. La giornata dei diritti dei lavoratori, in un momento come quello attuale, che per il mondo del lavoro è delicato e drammatico, diventa terreno di scontro tra chi se ne infischia di ogni regola e diritto (le imprese) e che, in nome del business, pretende che si lavori anche il Primo Maggio, e chi invece si oppone, giustamente, a questa ignobile logica schiavista.

L’effetto Marchionne, evidentemente, ha contagiato diversi settori, aprendo una falla pericolosa: c’è chi si è convinto che ormai sui lavoratori e sui loro diritti si possa passare sopra in qualsiasi modo e momento. I sindacati, su cui pesa la vergognosa spaccatura storica, acuitasi con il caso Fiat, in conseguenza del moderatismo servile di Cisl e Uil e dei giochetti di potere interni alla Cgil per indebolire la Fiom, provano a trovare compattezza su uno dei pochi temi attorno al quale ciò è ancora possibile. E intanto, a parte il fenomeno musicale e mediatico del Concertone, che qualcuno ingenuamente ha eletto a simbolo di quella che dovrebbe essere una rivendicazione di piazza reale, forte e dura, che poco ha a che vedere con la musica, resta lo sconcerto per chi vuole negozi aperti e dipendenti al lavoro.

E c’è anche chi pensa di approfittare di questa occasione per compiere l’ennesimo, scellerato oltraggio alla memoria. A Portella della Ginestra, nel comune di Piana degli Albanesi (Pa), teatro della sanguinosa strage di lavoratori, comunisti e sindacalisti uccisi da un attentato attribuito alla banda Giuliano e i cui mandanti politici sono rimasti impuniti, il sindaco del Pdl ha deciso di mischiare la cerimonia di commemorazione delle 12 vittime di Portella con una festa a base di cannoli e di attività mondane, che avrà come padrino d’eccezione Lele Mora, lo squallido protagonista degli scandali sessuali di questi ultimi tempi e, soprattutto, uomo che si dichiara fascista e che vive un perverso feticismo nei confronti delle icone del Duce e della simbologia mussoliniana.


Un oltraggio che ha scatenato le polemiche di chi sa che dietro la strage del Primo Maggio 1947 si nasconde uno dei più ignobili segreti di Stato e che a pianificare e compiere l’eccidio probabilmente fu un gruppo occulto di cui facevano parte esponenti del potere fascista (con in testa Valerio Junio Borghese e la X Mas), della mafia e dell’ala oscura, anticomunista e filo-mafiosa, della Dc siciliana. La scelta del sindaco di Piana è l’emblema dello svilimento e dell’umiliazione a cui tutti i simboli della storia d’Italia, del sacrificio di uomini e donne, della lotta per i diritti sono sottoposti. Un assalto frontale, compiuto senza pudore, senza freni.

Questa gente pensa di avere in mano l’Italia e di gestirla come crede, senza dover dare spiegazioni, cancellando, con fazzoletti griffati e unti di tracotante superficialità, ciò che viene ritenuto “vecchio”, “superato”. Perché i diritti, al cospetto dei padroni, degli aguzzini, dei magnaccia e delle puttane di Stato, sono come i libri per un nazista, per un ministro italiano o per una velina: oggetti fastidiosi o sconosciuti. Nel frattempo, dall’altra parte ci si limita a suonare e cantare…Ed in mezzo? In mezzo ci siamo noi, ad affogare insieme ai nostri diritti ed a lottare da soli per non perderli del tutto.

Fonte :

"Il 1° maggio e l’occultamento del lavoro" di don Roberto Fiorini** Prete operaio in pensione e direttore della rivista Pretioperai(29 aprile 2011) , da Adista 36/2011

"C’era una volta il Primo Maggio" di Massimiliano Perna http://temi.repubblica.it/micromega-online/cera-una-volta-il-primo-maggio/ 30 aprile 2011


Eremo Via vado di sole ,L’Aquila,
domenica 1 maggio 2011

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