venerdì 6 maggio 2011

STORIE E VOCI DAL SILENZIO : I serpari di Cocullo

STORIE E VOCI DAL SILENZIO : I serpari di Cocullo


Il 5 e 6 maggio a Cocullo si tiene la festa di San Domenico con "Il Rito dei Serpari", una tradizione che pare risalga al XII secolo, una delle feste più rappresentative d'Abruzzo, ricca di una forte carica simbolica dal contenuto religioso e pagano.

Programma:

- 5 maggio alle ore 21:30, spettacolo musicale in P.zza Madonna Delle Grazie ad aprire la festa

- 6 maggio, alle ore 9:00, arrivo di compagnie di pellegrini; alle ore 10:00 il corteo di ragazze in costume con offerta rituale di ciambellati; alle ore 11:00 la Messa Solenne in onore di San Domenico Abate presieduta da Mons. Angelo Spina, Vescovo di Valva e Sulmona; alle ore 12:00 Processione con la partecipazione dei serpari; alle ore 17:00 riconoscimento al ruolo dei serpari; Alle ore 21:30 spettacolo Musicale con la partecipazione di Vincenzo Olivieri


L’apertura ufficiale dei festeggiamenti di S. Domenico a Cocullo prevede quest’anno 2011 un convegno sul tema “Antropologia della paura: dal serpente al terremoto”, curato dalla Prof. Lia Giancristofaro, docente dell’Università D’Annunzio ed organizzato dall’Associazione Culturale A. Di Nola e dalla Facoltà di Scienze Sociali dell’Università D’Annunzio, in collaborazione con il Comune di Cocullo e la Pro Loco locale. Al dibattito parteciperanno il Sindaco di Cocullo Nicola Risio, il Presidente della Comunità Montana Peligna Antonio Carrara, l’Assessore alla Cultura della Provincia de L’Aquila Marianna Soccia e l’Assessore alla Cultura della Regione Abruzzo Luigi De Fanis.


Il piccolo centro di Cocullo, paese in provincia de L’Aquila arroccato su un colle nel mezzo della Valle del Sagittario al confine con la Marsica, si riempie di migliaia di visitatori, giornalisti e fotografi, provenienti da tutte le parti del mondo per assistere alla suggestiva cerimonia.

Naturalmente sono numerosi anche gli studiosi e gli antropologi che puntualmente giungono in Abruzzo per studiare ed analizzare questo antichissimo rito, definito uno dei più misteriosi ed esoterici, che risale addirittura ad un’età pre-romana e che si è mantenuto vivo attraverso i secoli, dando vita ad una cerimonia che racchiude al suo interno una mescolanza tra tradizione pagana e significati religiosi legati al culto di San Domenico di Sora Abate, un santo molto venerato nel paese di Cocullo e in tutti i territori della Marsica e della Ciociaria in generale, la cui statua ricoperta da serpenti viene portata in processione per le vie del paese.


Si pensa che il rito dei serpari di San Domenico sia andato a soppiantare il culto pagano della dea Angizia, protettrice dai veleni e non erano poche le credenze in merito ad una probabile valenza taumaturgica e miracolosa per cui chi era stato morso da serpenti, cani con la rabbia o altri animali velenosi, potesse guarire dopo essere stato scosso da fortissime convulsioni epilettiche, segno evidente che per opera del santo il sangue aveva rigettato il veleno.


La processione di San Domenico è il momento conclusivo e più suggestivo di una festa che inizia già alcuni giorni precedenti il primo giovedì di maggio, quando i cosiddetti Serpari si recano nelle montagne circostanti il paese per catturare i serpenti, naturalmente non velenosi, che vengono poi posti in cassette di legno per essere liberati solo nel giorno della processione. Nella giornata del giovedì la festa comincia già nelle prime ore della mattina, quando i numerosi pellegrini iniziano ad affollare le vie del borgo.

A partire dalle 10:00 i serpari esibiscono i rettili alla folla, dando loro la possibilità di toccarli per esorcizzare la consueta paura che questi animali evocano nell’essere umano. Allo stesso tempo le ragazze del paese, vestite con il costume tradizionale, offrono ai partecipanti il Ciambellato, dolce tipico cocullese. Alle ore 11:00 ha inizio nel Santuario di San Domenico la Santa Messa, che quest’anno sarà celebrata dal Vescovo della Diocesi di Sulmona e Valva Mons. Angelo Spina. Alla fine della messa ha inizio il momento culminante della giornata, quello dell’uscita del Santo, salutato dallo sparo dei mortaretti, che viene “vestito” dai serpari e viene portato in processione per tutte le vie del borgo per poi fare ritorno in chiesa. Alla fine delle celebrazioni religiose arriva il momento della convivialità, con i pellegrini che si accampano sul prato per pranzare e trascorrere qualche ora in compagnia prima di salutarsi e darsi l’appuntamento per l’anno successivo. E i serpenti? Originariamente alla fine delle celebrazioni essi venivano sacrificati come segno di devozione al santo, oggi vengono liberati dai serpari nei luoghi dove erano stati catturati.


Così il prof. Alfonso Di Nola che per decenni ha studiato questa espressione della religiosità popolare nella cultura contadina descrive alcune fasi della festa .

L’annuncio dell’inizio della festa è dato dall’arrivo delle compagnie di pellegrini provenienti da quei luoghi dove il culto del Santo è più profondo: Lazio, Molise e Campania.

E’ un momento di alta tensione umana: contadini per norma etica delle culture rurali poco avvezzi al pianto hanno, in questo lento avanzare, il volto commosso. Donne di antica bellezza, braccianti, ragazzi, costiuitscono la testimonianza più viva dei significati attuali del rito tra i quali, appunto, quello del recupero della identità sociale e antropologica smarrita.

Avanzano cantando inni devozionali: il canto di entrata in chiesa e il canto di partenza, quest’ultimo eseguito camminando a ritroso, secondo l’etichetta di omaggio del suddito che mai deve volgere il volto dal Signore.

All’interno della chiesa, mentre l’altare maggiore è il luogo delle liturgie ecclesiastiche legate alla devozione a San Domenico, in altri luoghi si svolgono dei rituali dal contenuto fortemente simbolico: si tira, con i denti, la corda di una campanella per preservarsi dal mal di denti; si preleva la terra, un tempo spazzatura della chiesa, posta in una piccola grotta dietro la nicchia del Santo, per usi apotropaici: sparsa sui campi o intorno alle abitazioni, essa tiene lontani i pericoli di ogni genere, sciolta nell’acqua e bevuta, combatte la febbre.

La piazza principale è il luogo dove sostano i serpari i quali, in attesa della processione, esibiscono orgogliosamente i vari tipi di serpi che sono riusciti a catturare. E’ questo un momento durante il quale antichi timori, ingiustificate avversioni e oscure paure nei confronti dei rettili, pian piano si sciolgono fino al punto che, seppure con qualche residuo di ritrosia, ci si lascia convincere al contatto con una serpe, quasi per soddisfare la necessità di un rapporto più profondo con il mondo soprannaturale che questi animali rappresentano.

A mezzogiorno inizia la processione: il Santo, portato a braccia da quattro persone, esce dalla chiesa e là, sul sagrato, atteso con ansia fremente dai serpari, ancora una volta ricorda a tutti di essere lui il vero dominatore dei serpenti.

Ai lati della statua due ragazze in costume tradizionale, portano sulla testa i canestri contenenti cinque pani sacri, i cosiddetti “ciambellani”, che, in ricordo di un miracolo compiuto dal Santo, verranno offerti, per antico diritto, ai portatori del simulacro e dello stendardo.

La processione passa in mezzo alle vecchie case e qui, nel suo compiersi, il rito ricalca arcaici modelli costituendo l’esempio residuo di un mondo antico paneuropeo: a Santiago di Compostela, in Spagna, fatta centro delle pietà peregrinanti di tutta Europa, si maneggiavano i serpenti. A Marcopulos, nell’isola di Cefalonia, nel giorno dell’Assunzione della Beata Vergine, il 15 agosto, le serpi entravano in chiesa. Le vergini greche salivano sull’Eretteo, sull’Acropoli, e nutrivano le serpi sacre con il latte.

Storie e metafore nell’ambiguità dei segni attribuiti ai serpenti, ora custodi di fecondità, ora nemici.


Fin qui la descrizione della festa del santo nella quale si evidenzia una figura particolare quella del serparo.

Appena dopo il disgelo, quando il tepore primaverile incomincia a scaldare la terra, vuol dire che è tempo di andare per serpi.

“...Fermati, serpe, perché devi servire per la festa di San Domenico!” intimava Simone ad un ofide che gli attraversava la strada un giorno del mese di aprile del 1768.

Leggendo questo episodio riportato in un libello dell’epoca, si può avere l’impressione che sia molto facile catturare i serpenti. In realtà così non è. La maggior parte delle volte, infatti, dopo aver battuto palmo a palmo la campagna, si rischia di ritornare a mani vuote.

“...Non fa sosta alle soglie. Passa. E’ frate del vento. Poco parla. Sa il fiato suo tenere. Piomba. Ha branca di nibbio, vista lunga. Piccol segno gli basta. Perché triemi il filo d’erba capisce…”


Questo è il serparo descritto da Gabriele D’Annunzio nella tragedia “La fiaccola sotto il moggio”: un personaggio mitico che deriva la sua arte, ereditariamente, da una antica stirpe originata dal figlio di Circe. Quei Marsi, il cui nome vuol dire “maneggiatori di serpenti”, come riferiva Plinio il Vecchio, erano muniti di poteri magici tali da guarire i morsicati dai rettili con il solo toccamento.

Non attendibile, eppure frequente, è l’accostamento del serparo alla dea Angizia, divinità marsa e latina, venerata nella vicina Luco dei Marsi. Ma l’interpretazione che connette il nome di Angizia a quello di anguis, nome latino di serpente, è etimologicamente errata in quanto è più proprio associare la radice del nome della dea ai tempi stretti del periodo primaverile, quando le scorte della precedente stagione sono terminate e non è ancora assicurato il nuovo raccolto.

Per meglio comprendere la storia dei serpari è necessario risalire alla figura del “ciarallo”, il personaggio che compare nella elaborazione tardo medievale. Era costui una figura sacrale di diffusione europea, ma più radicata nell’Italia meridionale, che derivava il suo potere da trasmissione ereditaria o da iniziazione, e che esercitava proprie tecniche segrete di cattura e di vaneggiamento degli ofidi e, parallelamente, di cura e immunizzazione.

I serpari di oggi conservano dei loro antichi predecessori le stesse tecniche, ma il ruolo sacrale e professionale proprio del “ciarallo” si è mutato in una forma di devozione laica e di partecipazione al rito che è, appunto, riappropriazione delle radici in un rapporto di rinnovato rispetto per la natura.


La specie dei serpi

Quattro sono le specie di serpi nel Rito di Cocullo:

Il CERVONE (elaphe quatuorlineata) è l’esemplare più grande. Può raggiungere e superare i due metri di lunghezza. E’ il più raro e il più difficile da catturare.

Il SAETTONE (elaphe longissima) o colubro d’Esculapio, detto comunemente “lattarina” o “pastoravacca”, in seguito alla falsa credenza che sia in grado di cingere le zampe delle mucche per non farle muovere (appastorare) e di succhiarne il latte.

La BISCIA DAL COLLARE (natrix natrix) che vive nelle sone umide, famosa perché attua una tecnica di autodifesa particolare: si finge morta al momento della cattura.

Il BIACCO (col uber viridiflavus) detta anche serpe nera, è la più vivace ed è aggressiva.


Si tratta di specie innocue. I loro morsi, infatti, provocano solo una lieve irritazione della parte offesa, senza conseguenze.

Una volta catturate vengono custodite con estrema cura fino al giorno della festa.

Un tempo si riponevano nei recipienti di terracotta. Attualmente vengono tenute dentro apposite cassette di legno.

Dopo la celebrazione, i serpari le liberano restituendole al loro ambiente.

Eremo Via vado di sole , L'Aquila,

venerdì 6 maggio 2011






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