venerdì 13 maggio 2011

LINEA D’OMBRA :Amnesty e diritti violati

LINEA D’OMBRA :Amnesty e diritti violati

Il rapporto annuale Amnesty sui diritti violati nel mondo nel 2010 Il silenzio degli innocenti ora «urla» in Rete :Dalle rivolte arabe al caso Wikileaks


Scrive Maria Antonietta Calabrò su Il corriere del 13 maggio 2011 :” Cinquant'anni in difesa dei diritti umani: un compleanno che Amnesty International celebra, tra due settimane, il prossimo 28 maggio 2011. Dal 1961, infatti, l'organizzazione internazionale, fondata dall'avvocato inglese Peter Benenson, è al fianco di migliaia e migliaia di persone che, anche in questo momento, stanno subendo violazioni dei propri diritti: sono i «difensori dei diritti umani», uomini e donne che, nella loro professione o nell'ambito della propria azione di volontariato, si battono ogni giorno per proteggere quei diritti e fermarne le violazioni.

I dati contenuti nel rapporto annuale di Amnesty presentato ieri a Roma (e in contemporanea a Londra) sono purtroppo, come sempre, drammatici. In sintesi, secondo Amnesty, nel mondo si tortura di meno, ma il boia lavora di più. In dettaglio, nel 2010 sono stati documentati casi di tortura o di altre forme di maltrattamento in almeno 98 Paesi, (erano 111 nel 2009) processi iniqui in almeno 54 Paesi, limitazioni illegali della libertà in 89 Paesi, (erano 96 nel 2009) in 23 Paesi sono state eseguite condanne a morte e in 67 sono state emesse condanne a morte. E ancora: è stato richiesto il rilascio di «prigionieri di coscienza» (chiunque sia in carcere per motivo di razza, religione, orientamento sessuale o politico senza aver usato violenza) in ben 48 Paesi. Inoltre, due terzi della popolazione mondiale non ha potuto accedere alla giustizia a causa di sistemi giudiziari assenti, corrotti o discriminatori.


Eppure, nello stesso rapporto si mette in evidenza che un'«opportunità storica e senza precedenti» nel campo dei diritti umani viene offerta dalle rivolte arabe sulla sponda sud del Mediterraneo, anche se rischia di essere «una falsa alba». «Un cambiamento storico sul filo del rasoio», insomma. Ma il 2010 potrà essere senz'altro ricordato come un anno di svolta anche per un altro motivo: l'uso delle nuove tecnologie e dei social media «per mettere il potere di fronte alla verità». «Sin dall'inizio Amnesty International ha riconosciuto il contributo dato da Wikileaks alla causa dei diritti umani», scrive Salil Shetty segretario generale dell'organizzazione. L'esempio più straordinario, anche se al contempo tragico «di quanto può essere potente l'azione del singolo se amplificata dai nuovi strumenti del mondo virtuale» è dato però dalla vicenda di Mohamed Bouazizi, un venditore ambulante tunisino che si è dato fuoco davanti al suo municipio per protesta nel dicembre scorso. Le sue parole che descrivevano il suo gesto di disperazione e di sfiducia - tramite i cellulari e Internet - sono «riuscite a galvanizzare il dissenso covato per lungo tempo rispetto a un governo oppressivo». Lui è morto a causa delle ustioni riportate ma poco meno di un mese dopo è caduto il regime ventennale di Ben Alì.

«La comunità internazionale deve cogliere l'opportunità del cambiamento» e assicurare che il 2011 registri un passo avanti e non un ritorno indietro, ha ammonito il presidente della sezione italiana di Amnesty, Christine Weise. Quindi «il sostegno alle rivolte sarà il banco di prova per i governi della Ue».


Le rivolte arabe hanno avuto i loro contraccolpi diretti nel nostro Paese, come dimostra la cronaca recente. In Italia richiedenti asilo e migranti - accusa il rapporto di Amnesty che critica fortemente i respingimenti attuati nel 2010 dall'Italia nei confronti degli arrivi dalla Libia - continuano a essere privati dei loro diritti e «alcuni politici e rappresentanti del governo hanno alimentato un clima di intolleranza e xenofobia». Di cui sono stati vittime in particolare i rom (nel mirino in particolare la politica degli sgombri e delle ruspe del Comune di Roma). Il nostro Paese è anche segnalato per le aggressioni omofobe, mentre forti preoccupazioni sono espresse circa l'accuratezza delle indagini sui decessi in carcere (casi Cucchi e Uva) e su presunti maltrattamenti visto anche che l'Italia ha rifiutato di introdurre il reato di tortura nella legislazione nazionale. Anche il divieto di indossare nei luoghi pubblici il burqa, cioè il velo che copre integralmente il corpo, è per Amnesty una violazione dei diritti umani. «Il divieto adottato in Francia - ha spiegato Weise - non è in favore delle donne. È una restrizione della loro libertà religiosa e culturale e invece di renderle più libere comporta l'effetto di recluderle in casa e di limitare i loro movimenti».


E la cattura di Bin Laden? «Non abbiamo ancora preso posizione sulla legalità dell'operazione delle forze speciali in cui è stato ucciso, abbiamo però chiesto maggiori informazioni al governo americano», ha concluso la Weise, anche se «certamente il leader di Al Qaeda era una persona che promuoveva crimini contro l'umanità».

Il rapporto di Amnesty è consultabile su http://50.amnesty.it/rapportoannuale2011

Dal Rapporto 2010 di Amnesty

“Nel 2011, Amnesty International celebra l’anniversario dei 50 anni dalla sua fondazione. Descritto da un critico contemporaneo come “una delle più grandi follie del nostro tempo”,

il movimento ha preso il via da una semplice chiamata all’azione dell’avvocato britannico Peter Benenson, che chiedeva alla società di ricordare “il prigioniero dimenticato”. La sua passione traeva ispirazione dalla vicenda di due giovani portoghesi che erano stati incarcerati per aver levato i loro calici per brindare alla libertà.


Per fortuna, per le migliaia di prigionieri dimenticati da allora, questa “follia” non solo è prevalsa, ma prosegue ancora oggi, e al fianco dei nostri alleati continuiamo a essere determinati a promuovere il diritto all’informazione e alla libertà di espressione. Assieme abbiamo promosso campagne per il rilascio di migliaia di prigionieri di coscienza, alcuni dei quali, come Ellen Johnson-Sirleaf, sono ora capi di stato. Assieme abbiamo contribuito nel novembre 2010 al rilascio di Daw Aung San Suu Kyi, dimostrando ancora una volta come l’ostinata perseveranza può portare a un cambiamento positivo. Assieme abbiamo salvato innumerevoli vite, come di recente quella di due attivisti che hanno sfidato le forze di sicurezza di un’impresa mineraria le quali erano sul punto di inscenare uno scontro per sbarazzarsi di attivisti disposti a rischiare la loro vita mettendo il potere di fronte alla verità. A 50 anni di distanza il mondo è cambiato enormemente, ma l’imperativo a restare uniti per combattere l’ingiustizia e proteggere i diritti degli esseri umani, ovunque nel mondo, non lo è.


Questo anniversario è una buona occasione per pensare quanto sono in grado di fare i singoli quando lavorano assieme. Se ciascuno dei soci di Amnesty International, oltre tre milioni di persone, convincesse anche una sola persona a unirsi al nostro impegno per la giustizia, noi raddoppieremmo il nostro impatto. Come abbiamo visto nella regione del Medio Oriente e Africa del Nord, le azioni collettive dei singoli quando si uniscono nella ricerca di un’uguaglianza fondamentale possono avere il potere di abbattere governi repressivi.

Il bisogno delle persone che danno valore ai diritti e alle libertà di lavorare assieme all’interno e al di là dei confini resta grande mentre i governi insistono a perseguitare quanti sfidano i loro abusi di potere. Mentre singole persone, coraggiose e determinate, rivendicano i loro diritti e le loro libertà, i governi, i gruppi armati, le aziende e le istituzioni internazionali cercano di sfuggire a ogni controllo e responsabilità.

Ci sentiamo motivati dal rilascio di Daw Aung San Suu Kyi, dal coraggio di Liu Xiaobo, dalla capacità di resistenza di migliaia di prigionieri di coscienza, dal coraggio di innumerevoli difensori dei diritti umani e dalla tenacia, al di là di qualsiasi immaginazione, di centinaia di migliaia di semplici cittadini tunisini i quali, di fronte alla tragica vicenda di Mohamed Bouazizi, sono determinati a farsi garanti della sua eredità, organizzandosi contro l’abuso di quel potere che ha portato alla sua morte. Noi di Amnesty International ci impegniamo a raddoppiare i nostri sforzi per rafforzare il movimento globale di difesa dei diritti umani e a lottare per far sì che nessuno mai si senta così solo nella sua disperazione da non riuscire più a vedere una via di uscita.”


Eremo Via vado di sole , L’Aquila,
venerdì 13 maggio 2011


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