sabato 9 ottobre 2010

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI : Orso


ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI : Orso


Scrive Paolo Rumiz : “ Totemico e terribile ci aspettava in piedi, in fondo alla radura sfolgorante della prima neve dell’anno. Si dondolava , e con le mani – tali ci sembrarono data la postura eretta - disegnava nell’aria strani segnali ,non si capiva se minatori , di fastidio o di ansia. Poi si rimise giù e cominciò a muovere verso di noi , sempre scuotendo la testa. Eravamo in tre, immobili, sui nostri sci e non aspettammo di capire le sue intenzioni. Girammo su noi stessi e via , più veloci del vento infilammo al contrario le nostre tracce nei boschi impenetrabili della Slovenia. Corremmo per una ventina di minuti , senza mai guardare indietro , e i primi due della fili non ebbero mai il tempo di controllare se il fiatone che sentivano dietro era quello del compagno o dell’orso . L’ultimo della fila, che ero io, restò incollato al trenino per paura di restare solo con il bestione e fu così che polverizzammo ogni record di velocità. Ridemmo a lungo di quella scena da cartoon di Walt Disney , ma in noi era rimasto un impasto mai provato prima di timore, riverenziale, simpatia e insieme mistero come se avessimo valicato impreparati una linea d’ombra . Personalmente ne divenni certo: era quello il mio animale totemico .irritabile e coccolone, goloso e imprevedibile. Da allora la mia vita è stata segnata da ripetuti e memorabili incontri con gli orsi. Niente di strano in questo: vivo in una città – Trieste – che sfiora il territorio a maggior densità di plantigradi in Europa , la Slovenia e ho la percezione che la loro ombra bruna mi sesua sempre, anche nei sogni , e segni una loro rivincita nell’immaginario dell’uomo che li ha trasformati per secoli in zimbello da circo ”


Il libro pubblicato recentemente da Michel Pastoureau (L'orso. Storia di un re decaduto, trad. it. di C. Bongiovanni Bertini, Torino, Einaudi, 2008; ed. originale: L'ours. Histoire d'un roi déchou, Paris, Édition du Seuil, 2007) nel quale si ripercorre la lunga storia “simbolica” dell'orso: dalla venerazione come dio e come re degli animali (dal paleolitico all'età feudale) alla lotta contro il suo potere “pagano” e la sostituzione con il leone “cristiano” come re degli animali (dall'età carolingia all'età moderna), fino alla sua rivincita in età contemporanea sotto forma di pelouche. In occasione del convegno verranno ripercorse le tappe della ricerca scientifica e storica sull’orso e per quanto riguarda la tutela della specie sarà ribadita l’importanza del passaggio culturale da conservazione a piccola scala a rete ecologica. In riferimento al libro citato verrà inoltre proposta un’indagine storica sul rapporto tra il culto dell’orso in Abruzzo e i festeggiamenti di San Martino. Infatti secondo quanto riportato da Pastoureau, l'11 novembre in gran parte d'Europa i contadini festeggiavano il momento in cui si pensava che l'orso entrasse in letargo nella sua tana. Questo comportamento dell'orso costituiva una immagine simbolica di quel periodo dell'anno: il passaggio dall'esterno all'interno, come avveniva per tutte le attività contadine (il bestiame veniva riportato nelle stalle, il grano veniva riposto al chiuso, gli utensili da lavoro venivano messi al riparo, etc.). I riti per la festa del letargo dell'orso avevano come caratteristica il fatto di essere rumorosi, trasgressivi, spesso a sfondo sessuale, con travestimenti e maschere. Tuttavia, nel V secolo in molte diocesi della Gallia la data dell'11 novembre cominciò ad essere usata per festeggiare un santo,Martino, piuttosto che il letargo dell'orso. L'ipotesi di Michel Pastoureau offre l'occasione per riflettere sul prevalente percorso di ricerca fino ad ora seguito per l'interpretazione della festa di san Martino, vale a dire quello relativo ai cicli temporali agrari della cultura storico-tradizionale celtica e greco-romana, per cui i giorni dal 1 all'11 novembre costituirebbero un periodo di passaggio da una stagione all'altra, una sorta di capodanno. Fermo restando che questo filone di ricerca ha le sue solide basi storico-documentarie e che fino ad ora ha prodotto ottimi risultati, almeno a giudicare dal materiale edito con criteri scientifici, si impone, tuttavia, una domanda: l'ipotesi di Pastoureau può trovare una sua ragion d'essere in area abruzzese? L'unico modo per rispondere a questo interrogativo è la ricerca di prove ed indizi relativi ad una “religione dell'orso” in Abruzzo. Le possibili vie di indagini che verranno proposte nel convegno, nascono dal rinvenimento di ossa e crani di orso nelle caverne abruzzesi e dal coinvolgimento di un orso nella fondazione dell'abbazia di S. Bartolomeo di Carpineto.

Le comunità umane che vivono a stretto contatto con la natura considerano sacri alcuni animali. Normalmente vengono adorati animali che uniscono doti terrifiche ma anche positive, come il coraggio e la generosità. L’orso, nei popoli artici e subartici, è uno di questi. Essendo proibito evocarlo per nome, esistono tanti nomignoli con i quali viene affettuosamente indicato. Riti relativi all’uccisione rituale dell’orso si ritrovano in tutta l’Eurasia. Questo animale, così amato dai popoli di tutto il mondo, simboleggia la rinascita periodica della natura. L’orso incarna il mito dell’eterno ritorno, ha un “timer” biologico che lo fa uscire dal letargo all’inizio di ogni primavera, risvegliandosi all’equinozio dalle profondità della Madre Terra e quindi in sincronia con i cicli naturali.

ll 2 febbraio la Chiesa Cattolica festeggia la Candelora cioè la presentazione di Gesù al Tempio: Cristo, illumina le genti con la sua luce, ecco perchè in questo giorno si benedicono le candele che vengono distribuite ai fedeli. La tradizione popolare associa a questo giorno la fine dell'inverno e l'aumento delle ore di luce e quindi il ritorno della primavera. Questo risveglio della natura è stato associato in alcuni luoghi all'orso, questo giorno viene chiamato infatti anche "giorno dell'orso":

Di Candelora l’orso esce fuora per un momento e se vede l’ombra torna dentro

Se l'ors à la Siriola la paia al fa soà ant l'invern tornom a antrà (Quando l'orso alla Siriola fa saltare la paglia, cioè si rigira nel giacilio, si rientra nell'inverno)

se l'ouers fai secha soun ni, per caranto giouern a sort papì (se l'orso fa asciugare la sua tana per quaranta giorni non ne esce più)

Il primo e l'ultimo detto si riallacciano alla credenza che se il giorno della candelora è sereno (quindi l'orso vede la sua ombra o fa asciugare la tana), il peggio dell'inverno deve ancora arrivare. Alla candelora in alcuni paesi è anche legata una "caccia all'orso" simulata, in cui spesso l'orso è un forestiero travestito. Dopo essere stato "catturato" l'animale viene portato nel centro del paese e schernito dalla popolazione, l'orso, al tempo stesso cerca di fuggire ed infastidisce le ragazze. In alcuni casi viene ucciso e, sempre teatralmente, risorge a nuova vita, rappresentando così la risurrezione della natura. Una volta tornato in vita, l'orso si comporta bene con le ragazze, non più in modo "bestiale" chiudendo così il ciclo ombra-luce, bestia-uomo, selvaticità-civiltà, morte-vita. Ad un simbolo così complesso si è naturalmente ricollegata la resurrezione del Cristo e il ritorno alla vita e alla luce. La figura dell'orso in alcuni paesi può essere associata all'"uomo selvaggio" o, come nei paesi anglosassoni, alla marmotta o al riccio, anch'essi animali che tipicamente in primavera si svegliano dal letargo.


Eremo Via vado di sole, L'Aquila, sabato 9 ottobre 2010

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