sabato 2 ottobre 2010

SILLABARI . VULCANO (II°) LO SCUDO D'ACHILLE


SILLABARI .VULCANO (II°) : LO SCUDO D’ACHILLE

OMERO Iliade Canto XVIII


Dopo che Ettore s'i fu impossessato delle armi di Achille, che erano state indossate da Patroclo, la madre di Achille, Teti, fece forgiare dal dio Vulcano delle nuove armi per il proprio figlio. Vulcano forgiò i nuovi gambali, la corazza, due spade, un elmo tutto ornato di chiome equine (Iliade, libro XIX, 380-383) e uno smisurato scudo (Iliade , libro XVIII, versi 671,679-842). Vulcano scolpisce sullo scudo una fedele rappresentazione della vita e della società del tempo. L' anello centrale,tutto completamente d'oro, rappresenta tutto l' universo conosciuto : la Terra,il mare , il cielo, il Sole, la Luna piena, alcune stelle e costellazioni (le Pleiadi,le Ladi, Orione , che con il suo sorgere preannuncia l' inverno, l'Orsa Maggiore, che non tramonta mai sul mare. Il nostro cielo è cambiato, per il fenomeno della "precessione" degli equinozi. Abbiamo poi altri anelli in cui vengono rappresentate dodici scene della vita umana : tre di città in pace, tre di città in guerra, tre in materia di agricoltura e tre sulla vita pastorale. L' anello più esterno rappresenta il fiume Oceano che, come pensavano gli Antichi, circondava tutta la Terra.


Mentre seguìan tra lor queste contese, Teti agli alberghi di Vulcan pervenne; stellati eterni rilucenti alberghi, 505 fra i celesti i più belli, e dallo stesso Vulcan costrutti di massiccio bronzo. Tutto in sudor trovollo affaccendato de’ mantici al lavoro. Avea per mano dieci tripodi e dieci, adornamento 510 di palagio regal. Sopposte a tutti d’oro avea le rotelle, onde ne gisse da sé ciascuno all’assemblea de’ numi, e da sé ne tornasse onde si tolse: maraviglia a vederli! Omai compiuto 515 l’ammirando lavor, solo restava ch’ei v’adattasse le polite orecchie, e appunto all’uopo n’aguzzava i chiovi. Mentre venìa tai cose elaborando con egregio artificio, entro la soglia 520 l’alma Teti mettea l’argenteo piede. La vide, e le si fe’ Càrite incontro ornata il capo d’eleganti bende, dell’inclito Vulcan moglie vezzosa: per man la strinse, e il roseo labbro aprendo, 525 Qual, le disse, cagione, o bella Teti, ti guida inaspettata a queste case? Rado suoli onorarle, e nondimeno sempre cara vi giungi e riverita. Inóltrati, perch’io pronta t’appresti 530 le vivande ospitali. - E sì dicendo, la bellissima Dea l’altra introdusse, e in un bel seggio collocolla, ornato d’argentee borchie a lavorìo gentile col suo sgabello al piede. Indi a chiamarne 535 corse l’esimio fabbro, e sì gli disse: Vieni, Vulcan, ché ti vuol Teti. - Ed egli: Venerevole Diva e d’onor degna nella casa mi venne. Ella malconcio e afflitto mi salvò quando dal cielo 540 mi feo gittar l’invereconda madre, che il distorto mio piè volea celato; e mille allor m’avrei doglie sofferto se me del mar non raccogliean nel grembo del rifluente Ocèano la figlia 545 Eurìnome e la Dea Teti. camminavano; ed egli a tardo passo avvicinato a Teti, in un lucente trono s’assise, e la sua man ponendo nella man della Dea, così le disse: Qual mai sorte t’adduce a queste soglie, 585 o sempre cara e veneranda Teti, in quell’ampio tuo peplo ancor più bella? Troppo rado ne fai di tua presenza contenti e lieti. Or parla, e il tuo desire libera esponi. A soddisfarlo il grato 590 cor mi sospinge, se pur farlo io possa, e il farlo mi s’addica. - E a lui suffusa di lagrime i bei rai Teti rispose: Delle Dive d’Olimpo e qual sofferse tanti, o Vulcano, tormentosi affanni 595 quanti in me Giove n’adunò? Me sola fra le Dive del mar suggetta ei fece ad un mortale, al re Pelèo. Ritrosa ne sostenni gli amplessi; ed egli or giace logro dagli anni nel regal suo tetto. 600 Né il tenor qui restò di mie sventure. Mi nacque un figlio. Io l’educai gelosa, e come pianta ei crebbe, e mi divenne il maggior degli eroi. Questo germoglio di fertile terren, questo diletto 605 unico figlio su le navi io stessa spedii di Troia alle funeste rive a guerreggiar co’ Teucri. Avverso fato gli dinega il ritorno; ed io non deggio nella pelèa magion madre infelice 610 abbracciarlo più mai. Né questo è tutto. Fin ch’ei mi vive, e la ria Parca il raggio gli prolunga del Sole, ei lo consuma nella tristezza, né giovarlo io posso. Dagli Achivi ottenuta egli s’avea 615 premio di sue fatiche una fanciulla. Agamennón gliela ritolse; ed esso dell’onta irato, e nel dolor sepolto si ritrasse dall’armi. I Teucri intanto alle navi rinchiusero gli Achei, 620 né permettean l’uscita. Umìli allora i duci argivi gli mandâr preghiere e d’orrevoli doni ampie profferte. Egli fermo negò la chiesta aita: ma cinse di sue stesse armi l’amico 625 Pàtroclo, e al campo l’invïò seguìto da molti prodi. Su le porte Scee tutto un giorno durò l’aspro conflitto. E il dì stesso Ilïon sarìa caduto, s’alta strage menar visto il gagliardo 630 di Menèzio figliuol, non l’uccidea

tra i combattenti della fronte Apollo, esaltandone Ettorre. Or io pel figlio vengo supplice madre al tuo ginocchio, onde a conforto di sua corta vita 635 di scudo e d’elmo provveder tu il voglia, e di forte lorica e di schinieri con leggiadro fermaglio. A lui perdute ha tutte l’armi dai Troiani ucciso il suo fedel compagno, ed egli or giace 640 gittato a terra, e dal dolore oppresso. Tacque; e il mal fermo Dio così rispose: Ti riconforta, o Teti, e questa cura non ti gravi il pensier. Così potessi alla morte il celar quando la Parca 645 sul capo gli starà, com’io di belle armi fornito manderollo, e tali che al vederle ogni sguardo ne stupisca. Lasciò la Dea, ciò detto, e impazïente ai mantici tornò, li volse al fuoco, 650 e comandò suo moto a ciascheduno. Eran venti che dentro la fornace per venti bocche ne venìan soffiando, e al fiato, che mettean dal cavo seno, or gagliardo or leggier, come il bisogno 655 chiedea dell’opra e di Vulcano il senno, sibilando prendea spirto la fiamma. In un commisti allor gittò nel fuoco argento ed auro prezïoso e stagno ed indomito rame. Indi sul toppo 660 locò la dura risonante incude, di pesante martello armò la dritta, di tanaglie la manca; e primamente un saldo ei fece smisurato scudo di dèdalo rilievo, e d’auro intorno 665 tre ben fulgidi cerchi vi condusse, poi d’argento al di fuor mise la soga. Cinque dell’ampio scudo eran le zone, e gl’intervalli, con divin sapere, d’ammiranda scultura avea ripieni. 670 Ivi ei fece la terra, il mare, il cielo e il Sole infaticabile, e la tonda Luna, e gli astri diversi onde sfavilla incoronata la celeste volta, e le Pleiadi, e l’Iadi, e la stella 675 d’Orïon tempestosa, e la grand’Orsa che pur Plaustro si noma. Intorno al polo ella si gira ed Orïon riguarda, dai lavacri del mar sola divisa. Ivi inoltre scolpite avea due belle 680 popolose città. Vedi nell’una conviti e nozze. Delle tede al chiaro per le contrade ne venìan condotte dal talamo le spose, e Imene, Imene con molti s’intonava inni festivi. 685 Menan carole i giovinetti in giro dai flauti accompagnate e dalle

cetre, mentre le donne sulla soglia ritte stan la pompa a guardar maravigliose. D’altra parte nel fôro una gran turba 690 convenir si vedea. Quivi contesa era insorta fra due che d’un ucciso piativano la multa. Un la mercede già pagata asserìa; l’altro negava. Finir davanti a un arbitro la lite 695 chiedeano entrambi, e i testimon produrre. In due parti diviso era il favore del popolo fremente, e i banditori sedavano il tumulto. In sacro circo sedeansi i padri su polite pietre, 700 e dalla mano degli araldi preso il suo scettro ciascun, con questo in pugno sorgeano, e l’uno dopo l’altro in piedi lor sentenza dicean. Doppio talento d’auro è nel mezzo da largirsi a quello 705 che più diritta sua ragion dimostri. Era l’altra città dalle fulgenti armi ristretta di due campi in due parer divisi, o di spianar del tutto

l’opulento castello, o che di quante 710 son là dentro ricchezze in due partito sia l’ammasso. I rinchiusi alla chiamata non obbedìan per anco, e ad un agguato armavansi di cheto. In su le mura le care spose, i fanciulletti e i vegli 715 fan custodia e corona; e quelli intanto taciturni s’avanzano. Minerva li precorre e Gradivo entrambi d’oro, e la veste han pur d’oro, ed alte e belle le divine stature, e d’ogni parte 720 visibili: più bassa iva la torma. Come in loco all’insidie atto fur giunti presso un fiume, ove tutti a dissetarse venìan gli armenti, s’appiattâr que’ prodi chiusi nel ferro, collocati in pria 725 due di loro in disparte, che de’ buoi spïassero la giunta e delle gregge. Ed eccole arrivar con due pastori che, nulla insidia suspicando, al suono delle zampogne si prendean diletto. 730 L’insidiator drappello alla sprovvista gli assalìa, ne predava in un momento de’ buoi le mandre e delle bianche agnelle, ed uccidea crudele anco i pastori. Scossa all’alto rumor l’assediatrice 735 oste a consiglio tuttavia seduta, de’ veloci corsier subitamente monta le groppe, i predatori insegue, e li raggiunge. Allor si ferma, e fiera sul fiume appicca la battaglia. Entrambe 740 si ferìan coll’acute aste le schiere. Scorrea nel mezzo la Discordia, e seco era il Tumulto e la terribil Parca che un vivo già ferito e un altro illeso

artiglia colla dritta, e un morto afferra 745 ne’ piè coll’altra, e per la strage il tira. Manto di sangue tutto sozzo e rotto le ricopre le spalle: i combattenti parean vivi, e traean de’ loro uccisi i cadaveri in salvo alternamente. 750 Vi sculse poscia un morbido maggese spazïoso, ubertoso e che tre volte del vomero la piaga avea sentito. Molti aratori lo venìan solcando, e sotto il giogo in questa parte e in quella 755 stimolando i giovenchi. E come al capo giungean del solco, un uom che giva in volta, lor ponea nelle man spumante un nappo di dolcissimo bacco; e quei tornando ristorati al lavor, l’almo terreno 760 fendean, bramosi di finirlo tutto. Dietro nereggia la sconvolta gleba: vero arato sembrava, e nondimeno tutta era d’òr. Mirabile fattura! Altrove un campo effigïato avea 765 d’alta messe già biondo. Ivi le destre d’acuta falce armati i segatori mietean le spighe; e le recise manne altre in terra cadean tra solco e solco, altre con vinchi le venìan stringendo 770 tre legator da tergo, a cui festosi tra le braccia recandole i fanciulli senza posa porgean le tronche ariste. In mezzo a tutti colla verga in pugno sovra un solco sedea del campo il sire, 775 tacito e lieto della molta messe. Sotto una quercia i suoi sergenti intanto imbandiscon la mensa, e i lombi curano d’un immolato bue, mentre le donne intente a mescolar bianche farine, 780 van preparando ai mietitor la cena. Seguìa quindi un vigneto oppresso e curvo sotto il carco dell’uva. Il tralcio è d’oro, nero il racemo, ed un filar prolisso d’argentei pali sostenea le viti. 785 Lo circondava una cerulea fossa e di stagno unasiepe. Un sentier solo al vendemmiante ne schiudea l’ingresso. Allegri giovinetti e verginelle portano ne’ canestri il dolce frutto, 790 e fra loro un garzon tocca la cetra soavemente. La percossa corda con sottil voce rispondeagli, e quelli con tripudio di piedi sufolando e canticchiando ne seguìano il suono. 795 Di giovenche una mandra anco vi pose con erette cervici. Erano sculte in oro e stagno, e dal bovile uscièno mugolando e correndo alla pastura lungo le rive d’un sonante fiume 800 che tra giunchi volgea l’onda veloce. Quattro pastori, tutti d’oro, in fila gìan coll’armento, e li seguìan fedeli nove bianchi mastini. Ed ecco uscire due tremendi lïoni, ed avventarsi 805 tra le prime giovenche ad un gran tauro, che abbrancato, ferito e strascinato lamentosi mandava alti muggiti.

Per rïaverlo i cani ed i pastori pronti accorrean: ma le superbe fiere 810 del tauro avendo già squarciato il fianco, ne mettean dentro alle bramose canne le palpitanti viscere ed il sangue. Gl’inseguivano indarno i mandrïani aizzando i mastini. Essi co’ morsi 815 attaccar non osando i due feroci, latravan loro addosso, e si schermivano. Fecevi ancora il mastro ignipotente in amena convalle una pastura tutta di greggi biancheggiante, e sparsa 820 di capanne, di chiusi e pecorili. Poi vi sculse una danza a quella eguale che ad Arïanna dallebelle trecce nell’ampia Creta Dedalo compose. V’erano garzoncelli e verginette 825 di bellissimo corpo, che saltando teneansi al carpo delle palme avvinti. Queste un velo sottil, quelli un farsetto ben tessuto vestìa, soavemente lustro qual bacca di palladia fronda. 830 Portano queste al crin belle ghirlande, quelli aurato trafiere al fianco appeso da cintola d’argento. Ed or leggieri danzano in tondo con maestri passi, come rapida ruota che seduto 835 al mobil torno il vasellier rivolve, or si spiegano in file. Numerosa stava la turba a riguardar le belle carole, e in cor godea. Finìan la danza tre saltator che in varii caracolli 840 rotavansi, intonando una canzona. Il gran fiume Oceàn l’orlo chiudea dell’ammirando scudo. A fin condotto questo lavoro, una lorica ei fece che della fiamma lo splendor vincea; 845 poi di raro artificio un saldo e vago elmo alle tempie ben acconcio, e sopra d’auro tessuta v’innestò la cresta. Fur l’ultima fatica i bei schinieri di pieghevole stagno. E terminate 850 l’armi tutte, il gran fabbro alto levolle, e al piè di Teti le depose. Ed ella, co’ bei doni del Dio, come sparviero ratta calossi dal nevoso Olimpo.


Eremo Via vado di sole, L'Aquila, sabato 2 ottobre 2010

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